di Alessandra Pigliaru
Si intitola Femminismo e politica ed è il numero monografico che il «Calendario del popolo» dedica al tema (Sandro Teti Editore, pp. 90, euro 9), a cura di Stefano Ciccone e Alberto Leiss. Si tratta di un utile spaccato di ciò che è stata – ed è – la relazione complicata tra femminismo e sinistra, percorsa da alcune tappe importanti che tuttavia mutano secondo le esperienze politiche di chi le ha affrontate. Diverse sono infatti le voci che animano il numero della rivista e altrettanti i rispettivi posizionamenti.
Comincia Letizia Paolozzi chiarendo come femminismo e politica «avrebbero potuto – e dovuto – convolare a giuste nozze, tuttavia la promessa di matrimonio è stata tradita. Non sappiamo per colpa di chi. I sospetti si appuntano sulla sordità della componente maschile della politica». Se è difficile esaurire in poco spazio non tanto la relazione tra femminismo e sinistra ma proprio la storia di uno e dell’altra, il pregio del «Calendario del popolo» è quello di dare parola a esperienze spesso inconciliabili capaci però di consegnare un quadro interessante di ciò che la sinistra ha significato in Italia prevalentemente in relazione alla forma-partito e di come il femminismo italiano abbia prodotto al proprio interno alcune significative divaricazioni, con strade diverse ed esiti opposti.
I curatori sono anzitutto consapevoli che parlare di sinistra in relazione al femminismo implichi di necessità l’interrogazione della questione maschile.
Nell’editoriale Ciccone appare netto: «possiamo pensare che quello sguardo prodotto dal femminismo ci riguardi? Quella domanda di libertà può riguardare anche le vite degli uomini?». Chiosa Leiss individuando una resistenza evidente che deriva dalla difficoltà maschile a riconoscere la realtà del proprio corpo, ovvero «del come questo corpo sia determinato da una dialettica tra istinto, desiderio, impossibilità a generare direttamente la vita, condanna storica all’esercizio della forza e della violenza». Questione che configura incontri mancati, ieri come oggi, ma anche possibilità di confronto.
Come nota Nichi Vendola nell’intervista rilasciata allo stesso Leiss, il femminismo è «un corpo a corpo» liberante e necessario. Sono solo alcuni dei punti di vista che appaiono, insieme a molti altri, e che tracciano una mappatura di come sia stata interpretata e rimessa in discussione la faglia creata dal movimento femminista, nel Pci prima, in Sel e Tsipras poi e fuori. A tal proposito Bia Sarasini mostra «la complessa relazione logica e sociale tra pubblico e privato», ovvero la differenza semantica e di scenario politico attuale, soprattutto dal momento in cui le donne hanno portato l’esperienza del femminismo anche all’interno della politica partitica. Sarasini verifica che «anche il femminismo soccombe alla logica con cui vengono guardati tutti i movimenti nell’epoca della frammentazione politica». Ci sono di riferimento a partire da ciascuna collocazione. Per esempio il 1987, quando viene presentata nel Pci la Carta delle donne, insieme alle esperienze più recenti. Ma appunto, il «Calendario del popolo» è una rassegna politica di avvistamento ed esperienziale e tra gli interventi si potranno leggere la disamina di Catia Papa inerente femminismo e socialismo di inizio ‘900; l’esperienza dell’Udi e del nodo sinistra-emancipazione di Vittoria Tola; il confronto politico raccontato da Maria Serena Sapegno riguardo l’avvio di snoq; la fisionomia del progetto intorno all’educazione di genere segnato da Monica Pasquino. E il processo che ha portato all’autoriforma della scuola — nel dialogo tra Vita Cosentino e Alessio Miceli — nato dal taglio che alla fine degli ‘80 la Pedagogia della differenza ha saputo significare seguito dal «mescolamento» del ‘95 nell’incontro «senza compiacenza, né reticenze» con alcune reti della sinistra.
Un desiderio forte di politica che molte hanno preferito – e preferiscono — giocarsi non dentro ai partiti ma fuori, nell’irriducibilità della differenza sessuale, della libertà femminile e delle relazioni tra donne, come ricordano finemente Laura Colombo e Sara Gandini. Cosa succede infine in quel «fuori», nei collettivi e nei movimenti? C’è una «doppia» relazione mancata, come si domanda Anna Simone?
Trappole del femminismo di Stato o radicalità non negoziabile? Doppia militanza o politica prima e seconda? Definitiva neutralizzazione del conflitto o strada accidentata di una forma-partito che ha solo collassato diverse volte per poi riprendersi? Retoriche neoliberali d’accatto o potere versus autorità femminile? Insomma, tutto è compiuto o esiste ancora un nodo da risolvere tra femminismo e sinistra?
Fa da sfondo il bel reportage di Jamila Campagna Le donne della Tacconi Sud, realizzato in occasione dell’assemblea permanente portata avanti tra il 2011 e il 2012 dalle operaie, in seguito al ricevimento della lettera di licenziamento collettivo e poi della chiusura della fabbrica. Scritture del corpo e sul corpo delle stesse donne.
Nella seconda metà della rivista ampio spazio a Luciano Canfora sul lascito Gramsci e poi sul carteggio Togliatti-Donini, con interventi – alcuni dei quali si spostano su dibattiti e rassegne internazionali — di Nicolò Cavalli, Francesco De Palo, Dario Coletti, Alvise Masto, Antonio Canovi, Pietro Molteni, Chiara Zappalà, Michele Bernardini, Dede Korkut, Alberto Negri, Mauro Olivi, Sandro Teti e Rachele Masci.
(il manifesto – 24/12/2014)