di Annarosa Buttarelli
La terza puntata di Conversazioni sull’aborto, con la riflessione della filosofa, saggista, docente e direttrice scientifica della Fondazione Scuola Donne di Governo Annarosa Buttarelli
Chi ha una cultura di base degna di questo nome, sa bene che per le donne e per il femminismo l’aborto non è mai stata un’opzione, ma anzi è considerato un destino crudele che, con pazienza e dolore, milioni di donne hanno dovuto affrontare nel corso della storia conosciuta. Ricordo che perfino le suore dei Balcani hanno cercato la dispensa papale per poter abortire l’esito inaccettabile degli stupri di guerra consumati anche su di loro. Naturalmente è stata negata, nonostante per molte di loro questo diniego potesse significare la morte psichica. E chissà quante donne, oggi, in Ucraina devono affrontare la scelta dilaniante di non accogliere nel proprio corpo e nella propria mente l’esito degli immancabili stupri di guerra.
Se non fosse per mille altri motivi, solamente per questa tragedia infinita, la Corte suprema degli Stati Uniti si è macchiata dell’ennesima crudeltà misogina che la storia del genere maschile non si decide ad affrontare. Le proteste in corso in Usa e in tutto il mondo rilanciano con forza lo sdegno e l’illiceità del regalo di scambio che i giudici della Corte suprema hanno dovuto fare all’innominabile presidente che ha preceduto il debolissimo Biden e la deludente Kamala Harris. Pare che, dopo la Polonia e altri fuochi oscuri, mezzo mondo al potere si prepari a ritirare la tutela della salute delle donne. Ancora una volta la manipolazione delle coscienze, un bene in estinzione, avrebbe ripreso a fondarsi sul famoso quanto bieco fraintendimento: le donne che abortiscono lo fanno per superficialità edonistica o assassina.
Tanto per fare, di nuovo, il punto veritiero circa la posizione del femminismo radicale sull’aborto, basterà ricordare che la massima pensatrice italiana della differenza sessuale, Carla Lonzi, all’epoca delle lotte per ottenere la depenalizzazione dell’aborto e la sua tutela sanitaria, scrisse chiaramente che, per le donne, lo scopo è evitare in tutti i modi di dover abortire. Le sue argomentazioni furono inascoltate sia da parte delle donne che chiedono la libertà d’abortire come un «diritto», sia da parte di uomini come Pasolini che sul Corriere della Sera faceva la lotta solitaria (e misogina) contro il «diritto» di abortire.
In realtà, la prevedibile sentenza della Corte suprema americana, sotto forma di attacco crudele alle donne, parla non certo di noi, ma ripresenta piuttosto in tutta la sua flagranza la «questione maschile» che sta di nuovo raggiungendo soglie di pericolosità assoluta e sta portando alla rovina civiltà, corpi, pianeta, culture, speranze. Il punto centrale da tenere in costante osservazione è: la parte maschile dell’umanità si sta assumendo la responsabilità della «questione maschile»? A seconda della risposta a questa domanda si potrà provare a intraprendere le azioni politiche e culturali preventive dei disastri che saranno prodotti dalla mancata assunzione di responsabilità della loro «questione», da parte degli uomini. A onore del vero, fino ad oggi in generale non si intravede nessuna intenzione di cambiare la traiettoria distruttiva delle donne e dell’umanità, distruzione a cui contribuisce anche la maggioranza dei giudici della Corte suprema americana.
Ogni volta che una donna è aggredita nella sua dignità e inviolabilità psicofisica, è aggredita la radice stessa della vita, in nome del dominio che fratelli, padri, filosofi vogliono ancora avere sulla vita stessa, in nome dell’egemonia della morte sulla vita data.
(https://27esimaora.corriere.it/, 3 agosto 2022)