23 Marzo 2023
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Al nono mese di gravidanza

di Stefania Tarantino


Al nono mese di gravidanza, presa dall’ansia che da lì a poco si sarebbero rotte le acque, anelavo disperatamente che qualcun’altra partorisse per me. Il fatto che non fosse possibile e che la mia bambina era lì, senza volto dentro di me e sempre più grande e invadente, mi agitava e mi riportava sempre alla stessa domanda: com’è possibile? Come poteva essere che il mio corpo poteva non solo contenere ma anche espellere una cosa così grande? Ecco, proprio perché non è una cosa, ma una creatura. Ciò significa che si vive anche dentro il suo ritmo, che s’impara a convivere una dentro l’altra sapendo di essere legate da un filo potente. Una carne condivisa, indecidibile come quando il mio piede indugia sulla riva del mare. Nella gravidanza stai sulla riva di te stessa, in bilico tra te e quella creatura ancora sconosciuta. Lo spazio che si apre è non solo fisico, ma anche affettivo, sensoriale, erotico, spirituale. Ci sei tutta dentro. Chiudere ciò che la gravidanza apre, ridurla a una funzione, a un meccanismo riproduttivo, significa perdere un enorme e possente dimensione di libertà. Ritornando all’ansia del parto, quando è arrivato il momento, il mio unico punto d’appoggio è stato il pensiero rivolto a tutte quelle donne che hanno partorito prima di me, a coloro che nei millenni ci hanno messo al mondo con fatica, dolore, difficoltà, derisione, venerazione. Anche io, con loro, ce l’ho fatta! E con loro (e Simone Weil) ho capito anche che l’aiuto, o meglio il sostegno, non è mai la falsa e artificiale (virtuale) liberazione dalla necessità, ma porre tutte quelle condizioni per cui una necessità è trasformata in libertà.


(Facebook, 23 marzo 2023)

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