24 Gennaio 2022
Deutsche Welle - DW

Aleksievič: «Peccato che la strada per la libertà sia così lunga»

di Vera Nerusch


Il premio Nobel Svetlana Aleksievič parla a DW degli eroi del suo nuovo libro, riflette sugli errori dell’opposizione bielorussa nell’agosto 2020 e considera l’esito finale della rivoluzione in Bielorussia.


Svetlana Aleksievič, la scrittrice bielorussa e vincitrice del Premio Nobel per la letteratura nel 2015, ha lasciato la Bielorussia più di un anno fa, solo per pochi mesi, pensava. Non è andata così. Ora vive a Berlino, dove sta lavorando a un nuovo libro sulle conseguenze delle elezioni presidenziali in Bielorussia del 2020, contestate a livello internazionale.

DW: Signora Aleksievič, cosa si aspettava dalle elezioni presidenziali bielorusse del 9 agosto 2020?

Svetlana Aleksievič: Ero totalmente scettica. Ma consideravo mio dovere andare a votare, anche se era chiaro che era del tutto inutile. Ad essere onesta con lei, personalmente non avevo fiducia nella mia gente. Mi sembrava che non sarebbe scesa in strada e che avremmo continuato a vivere come prima, come se il tempo si fosse fermato.

Dopo tre giorni di percosse e umiliazioni, dopo le granate assordanti e i proiettili di gomma, che hanno l’impatto di un proiettile di fucile quando vengono sparati da 10 metri [33 piedi] di distanza, dopo tre giorni che hanno sconvolto il mondo, quando le donne sono scese in piazza, seguite da centinaia di migliaia di persone, sono stata sopraffatta. Eravamo tutti estasiati.

Cosa hai trovato di più sorprendente e travolgente in quel momento?

Centinaia di persone arrestate sono state detenute nella prigione di via Okrestina a Minsk. Potevi sentirle picchiare. Ma i loro genitori si sedute fuori dalle mura del carcere senza far nulla. Credo che i georgiani avrebbero fatto a pezzi quella prigione pietra dopo pietra. Ma la nostra gente ha semplicemente aspettato i propri figli.

Ciò che è stato travolgente è stato che tanti giovani, quelli di cui ci lamentavamo sempre, hanno preso parte alle proteste. Anche la vecchia generazione è stata sorprendente. Questi eventi riguardano così tanto la dignità umana e voglio scriverci su un libro. Sto raccogliendo testimonianze della nostra dignità. È importante per tutti noi, specialmente ora che siamo nelle mani dei militari e la nostra società civile è stata annientata. Non la descriverei come una sconfitta, quanto piuttosto come un arresto del movimento. Perché tutto quello che abbiamo passato non scomparirà. Ma, come ora capiamo, c’è ancora molta strada da fare lungo la strada della libertà.

Persone come il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko sono in grado di rinunciare al potere?

Non credo. Il potere è sempre stato ciò che ha segretamente sognato. Ma voglio ricordare che la gente manifesta senza assolutamente pensare a una rivolta armata. Per noi è stata una celebrazione, una celebrazione della scoperta e dell’eccitazione. Eccitazione per noi stessi. Ma poi, ovviamente, abbiamo perso tempo. Dobbiamo ammettere che le proteste non avevano una leadership in quanto tale. Il Consiglio di coordinamento [l’opposizione, ndr] non controllava ciò che accadeva. Avremmo dovuto rimanere in strada fino a quando Lukašenko non si fosse dimesso.

Ma non volevo che venisse versato sangue, e lo ripeto ancora e ancora. Altrimenti saremmo giunti a un punto in cui non avremmo più mantenuto la nostra statura morale. Allora abbiamo prevalso attraverso la saggezza e la nonviolenza. È così che abbiamo portato dalla nostra parte l’opinione pubblica internazionale. Era impossibile schiacciarci come in piazza Tienanmen in Cina. Se avessimo agito diversamente, avremmo concesso a Lukašenko il diritto di farlo. Capisco Maria Kolesnikova [politica d’opposizione e attivista per le libertà civili, attualmente in prigione, ndr], che era in prima linea, e ha fermato migliaia di persone a poche centinaia di metri dalla residenza di Lukašenko. Come lei, non ho mai voluto spargimenti di sangue. Sono più solidale con il gandhismo.

Molte persone ora dicono che la rivoluzione bielorussa è perduta. È vero?

No, non credo. In primo luogo, c’è un’élite che sta unendo le forze in un modo completamente nuovo. Poi c’è il popolo bielorusso, che ha aperto gli occhi. Le persone non dimenticheranno mai come si sedevano nei cortili a bere il tè, come uscivano insieme per le manifestazioni. Molti dei personaggi del mio libro dicono questo: «Abbiamo vissuto da una domenica all’altra e ne abbiamo ricavato così tanta energia che ha rafforzato la nostra spina dorsale». Abbiamo iniziato a diventare una nazione.

Secondo: è vero che adesso non possiamo manifestare per strada. Le cose accadono solo nella nostra testa. Ma le persone si aspettano ancora cambiamenti. A un certo punto tutto cambierà, o a causa delle sanzioni, o a causa dello stesso Lukašenko, che è il peggior nemico di sé stesso. Penso che poi accadrà molto velocemente.

Quello che non dobbiamo fare ora è avvolgerci in un bozzolo di impotenza; dobbiamo prepararci per una nuova era. Dobbiamo aiutare coloro che sono in carcere, le loro famiglie e i loro figli. Non esito a dire che sono figli di eroi, i migliori tra noi.

Svetlana Aleksievič prima e dopo il 2020 è sempre la stessa persona?

Non credo sia un caso di personalità diverse, perché le mie convinzioni non sono cambiate. Ho semplicemente capito che la vita è breve e che è un peccato che la strada per la libertà sia così lunga.

Sa, sogno che i miei compagni bielorussi possano vivere come in Germania. Quando mi alzo dalla scrivania ed esco in strada, vedo i tedeschi seduti nei caffè, a ridere. Questa nonchalance sarà mai la norma per noi? I tedeschi parlano della loro vita. Noi invece ci sediamo a un tavolo e non parliamo di quello che abbiamo letto, di dove siamo stati, di chi ci siamo innamorati o di chi abbiamo lasciato; parliamo di Lukašenko, dell’incubo nel nostro Paese. Non avrei mai pensato che i veicoli militari ci avrebbero affrontato per le strade della mia città natale, e che io stessa avrei dovuto vivere in esilio.

Lei ha detto che, giorni prima di lasciare il paese, ha notato dei minivan con i vetri oscurati e poliziotti in borghese fuori casa sua.

A settembre 2020, le forze di sicurezza in borghese sono state di stanza fuori casa mia per 10 giorni. Anche il portiere mi ha chiamato e mi ha raccomandato di non uscire: «Qui non è sicuro, ci sono strane persone che si aggirano e pulmini in giro». In un paio di occasioni sono venuti da me a casa dei diplomatici di paesi europei, diciotto in tutto. Poi ciascuno di loro, a turno, ha passato una notte a casa mia. Sono molto grata a tutti loro per questo e per tutto quello che stanno facendo per tutti noi.

Quando ho lasciato il Paese non ero da sola: sono stata scortata dai diplomatici. Altrimenti non mi sarebbe stato possibile prendere l’aereo. Sono stata fermata per circa un’ora al confine. Mi è stato confiscato il passaporto. Mi dicevano: «Oh, il computer si è impiantato. Oh, non riesco a parlare al telefono». Io chiedevo: «Qual è il problema?» Silenzio. Ma alla fine mi hanno lasciato andare.

Il fatto che lei sia un premio Nobel è stato d’aiuto?

Sono stata almeno in grado di lasciare il Paese, proprio mentre veniva avviato un procedimento penale contro il Consiglio di coordinamento. Lukašenko mi odia. Quando ho compiuto 70 anni, nessun giornale ne ha parlato.

Attualmente vive a Berlino. Si sente a casa lì?

Ho già vissuto a Berlino, negli anni del mio primo esilio, quando io e Vasil Bykau [scrittore bielorusso, ndr] abbiamo dovuto lasciare il paese. Amo lo spirito di Berlino e la diversità della vita qui. Amo la Germania e le sono grata. Durante il mio primo esilio ebbi la possibilità di avere un appartamento a Vienna e di restarci. Ma voglio vivere in Bielorussia. Viaggio in giro per il mondo con interesse e ho visto molto, ma tornare a casa è importante per me.

Se il regime di Lukašenko dovesse garantire la sua sicurezza, tornerebbe?

Quando sei una scrittrice, puoi vivere nel tuo mondo, e non importa dove si trovi fisicamente. Ho già sentito idee o suggerimenti in questo senso da diplomatici, ma ho risposto che era impossibile. Come potevo guardare negli occhi le persone che hanno dovuto lasciare bambini piccoli e madri malate in Bielorussia? Loro rimarrebbero in esilio e io andrei a casa? Non riesco a immaginarlo; sarebbe un tradimento.

Da un anno sta lavorando a un nuovo libro. A quali domande sta cercando risposte?

Ce ne sono molte. La questione della guerra e della pace è una. Avevamo ragione nel cercare di evitare spargimenti di sangue? Lo chiedo a tutti. Per inciso, le persone danne risposte diverse. Vorrei scrivere degli uomini mascherati e della tentazione del buio; del perché viviamo ancora come se fossimo nei libri di Aleksandr Solženicyn. Perché tutta la nostra storia è affiancata da persone in arresto, con buste di plastica sopra la testa? Perché alcune persone hanno nascosto i manifestanti, mentre altri gli hanno mandato le forze speciali?

E un’altra domanda: dovremo convivere con coloro che ci hanno picchiato e torturato, come possiamo comprenderli in modo da non degenerare nell’odio? E così via, e così via… Da dove vengono, tutte queste persone meravigliose che sono scese in piazza? Come hanno fatto a diventare le persone che sono? Chi sono i loro genitori? Per me è importante raccontare il più possibile su di loro.

Com’è scrivere un libro quando la storia non è ancora completa e la fine deve ancora venire?

Spero che la fine arrivi mentre scrivo il libro.


La scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievič è stata insignita del Premio Nobel per la letteratura 2015. Aleksievič è nota per la sua opposizione al regime di Lukašenko, ma dopo aver ricevuto il premio Nobel è tornata dall’esilio per vivere nella capitale bielorussa, Minsk. Durante le proteste del 2020, ha fatto parte del Consiglio di coordinamento dell’opposizione, i cui membri sono stati perseguitati dal regime bielorusso. Nel settembre 2020, Aleksievič è andata in esilio in Germania.


(Deutsche Welle – DW, 24 gennaio 2022; traduzione di Laura Minguzzi)

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