9 Maggio 2021
Facebook

Barbara Stiegler e il complottismo della rassicurazione

di Massimo Lizzi


Secondo Barbara Stiegler, filosofa francese, i liberali assumono i concetti chiave di Darwin: adattarsi per sopravvivere, seguire le mutazioni, prendere parte all’evoluzione. Così formano il darwinismo sociale: tutti competono, i deboli periscono. Ma, con la crisi del 1929, i liberali capiscono che l’umanità si è adattata solo a società stabili e chiuse. Bisogna riadattarla alla concorrenza globale, attraverso istituzioni benevole, per le pari opportunità: tutti competono, i deboli sono aiutati. Le nuove tecnologie permettono di partecipare alla competizione globale anche da casa. Dai pazienti dimessi presto dagli ospedali, agli studenti connessi via Zoom durante la pandemia. Ma Zoom distrugge l’insegnamento come atto collettivo e interattivo; riduce la lezione «in presenza» a una opzione; nega l’interruzione del processo pedagogico. Perché davanti al disastro niente si può fermare. In questa dinamica, si riadatta anche il manicheismo progressisti vs. populisti, che passa dal sostenere o contrastare il sapere economico asservito alla globalizzazione, al sapere medico asservito al distanziamento sociale. Che rende impraticabile la democrazia.

Questo, in sintesi, il contenuto di una intervista di Barbara Stiegler all’Espresso (28 aprile 2021), intitolata: «Con la scusa del virus il potere dà scacco all’istruzione e alla democrazia». Fa parte di quel filone antagonista al neoliberismo che sotto la pandemia si lascia andare a proiezioni distopiche. Fino a bordeggiare il populismo nel «complottismo della rassicurazione», nominato dalla stessa filosofa. Un modo di pensare che esercita più di una suggestione nel mio ambiente di riferimento; e che io invece voglio avversare, perché di ostacolo alla coscienza della necessità. La pandemia, oltre ai difetti del potere, mostra i limiti del radicalismo, dell’opposizione e della critica al potere, somiglianti al ribellismo degli adolescenti.

È interessante che Barbara Stiegler sia professoressa all’Università di Bordeaux-Montaigne e si riferisca alla situazione francese. I sostenitori italiani delle scuole aperte, nonostante il contagio, hanno sempre indicato la Francia come modello aperturista ed elogiato Macron, un presidente che capisce il valore civile e prioritario dell’istruzione pubblica. In effetti, la Francia ha tenuto le scuole aperte più dell’Italia. Ma, le scuole tenute aperte sono state lo stesso decimate dalle quarantene di classi e istituti. Il virus non riconosce il valore dell’istruzione; se il potere non riconosce il virus, il contagio dilaga. Cosa significa, nel contagio, elogiare lo scambio in presenza tra studenti e insegnanti? È come elogiare il nutrimento della dieta completa di carboidrati, proteine e vitamine, in presenza della gastroenterite, supponendo che il potere voglia farci mangiare solo pastina in brodo e riso in bianco.

Durante la pandemia, riunioni telematiche si svolgono a ogni livello. Anche se meno agevoli delle riunioni in presenza, è un eccesso retorico affermare che annullino la dimensione collettiva. Capita invece di incolpare il mezzo telematico di problemi antichi. Che la scuola si riduca a nozionismo, autoritarismo, ossessione per il voto, lo abbiamo già sentito dire. La critica al potere che non vuole fermarsi di fronte al disastro ha senso, ma allora cosa è giusto fare? Pare che la filosofa voglia fermare le cose cattive, la globalizzazione e il commercio, e far procedere le cose buone, l’istruzione e la democrazia. Poiché il virus non distingue, penso invece sia giusto fermare tutto, tranne il necessario per sopravvivere. I paesi che hanno fatto questo, sono già tornati a vivere.

Il principio di adattamento si può contestarlo in rapporto alla politica, all’economia, a qualsiasi attività umana. Possiamo confliggere con la rivoluzione agricola, industriale, informatica. Teorizzare o praticare altri modi di vivere. Ma di fronte a un fenomeno biologico, anche se provocato dalle attività umane, il rifiuto di adattarsi è un suicidio. Contestiamo l’industria e l’inquinamento, perché non vogliamo lo sfruttamento e il surriscaldamento del pianeta. Ma quando la temperatura aumenta, i ghiacciai si sciolgono, il livello del mare sale, gli abitanti delle coste non devono resistere. Possono solo ritirarsi. Sarebbe assurdo rappresentare alluvioni e desertificazioni come una scusa per sgomberare popolazioni, anche se esistessero governi che hanno pianificato lo sgombero. Se adattarsi alla politica della globalizzazione, significa far perire i più deboli nella forzata competizione individuale, non adattarsi alla biologia significa far perire i più deboli nel rifiuto della necessaria cooperazione collettiva.


(Facebook, 9 maggio 2021)

Print Friendly, PDF & Email