29 Aprile 2022
Eredibibliotecadonne

C’è una terza via

a cura di Betti Briano


Proponiamo un articolo di Betti Briano pubblicato sul n.1/2022 del periodico dell’ANPI di Savona e Provincia “I Resistenti”, nel quale l’autrice svolge alcune riflessioni sugli attuali avvenimenti bellici, alla luce di alcuni luminosi contributi femminili al pensiero politico del ’900 sul tema della guerra. Con l’auspicio che sia di stimolo per ulteriori riflessioni e altri interventi su un accadimento destinato, come già la pandemia, a sconvolgere e trasformare le nostre vite


(Redazione Eredibibliotecadonne).


Come sempre quando il flusso emotivo rischia di sovrastare il pensiero occorre ancorarsi solidamente alla propria esperienza e alla propria storia per poter sviluppare un punto di vista a partire da sé libero e scevro da suggestioni facili e condizionamenti insidiosi. Nel momento in cui una guerra da tempo preannunciata e preparata si è fatta realtà con l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, prima ancora della paura mi sono sentita prendere da quello scetticismo e senso di estraneità che avvertivo prima che nelle stanze del potere nell’Unione Europea entrasse un po’ di saggezza femminile e che ciò contribuisse, in occasione della pandemia, ad una inversione di prospettiva politica impensata: il mettere le ragioni della vita e della salute dei cittadini e delle cittadine davanti a quelle dei conti, dei bilanci e della finanza. Mi era parso l’avvio di un percorso di inveramento della visione profetica maturata nel pieno della seconda guerra mondiale da Simone Weil (filosofa a me carissima) di un’Europa definitivamente pacificata che, alla luce dell’esito disastroso della centenaria storia degli Stati Nazione, non si costituisse come ‘stato degli stati’, ma traesse sovranità e forza costituente prima ancora che dal bisogno di patria dall’assunzione dell’umanità di ogni uomo e ogni donna; un’entità sovrannazionale che ponesse pertanto a fondamento della propria costruzione politica il riconoscimento non già dei diritti in quanto appartenenti a uno stato o nazione ma degli obblighi universali verso i ‘bisogni dell’anima’ di cui ogni essere umano è portatore in ogni tempo e in ogni luogo (1). Ci ritroviamo invece precipitati in una contesa novecentesca, giocata proprio sui principi che la costruzione europea, e non solo secondo Simone Weil, avrebbe dovuto tendenzialmente superare (nazione, sovranità, autodeterminazione ecc..) e sulle contraddizioni della convivenza di ‘patrie’ diverse in un medesimo stato nazione; un salto indietro della storia cui ha certo contribuito l’inazione della UE nei confronti delle istanze di popoli che guardavano all’Europa come ‘patria’ d’elezione e l’indifferenza verso quelli che guardavano invece alla Russia. I fatti lasciati alla loro dinamica purtroppo hanno portato alla deflagrazione delle contraddizioni non affrontate e quindi, con l’aggressione della Russia, allo scoppio di un incendio spaventoso nel cuore del continente. Gli stati europei anziché recuperare il terreno perso sul piano della politica e unirsi in un grandioso sforzo diplomatico atto a circoscrivere e spegnere l’incendio scelgono invece di alimentarlo schierandosi da una parte e armandola contro l’altra; col risultato che l’avventata rinuncia alla neutralità oltre a mettere a rischio la sicurezza dei cittadini europei preclude alla UE la possibilità di mediare tra i belligeranti e di avere voce autorevole in un auspicato processo di pacificazione. L’Europa quindi ha rinunciato a fare l’Europa, a svolgere cioè la missione per cui è stata pensata e creata; Donatella Di Cesare in un recente articolo ha parlato giustamente di “suicidio dell’Europa”.

La storia dunque ha fatto un salto indietro di quasi un secolo e ci ha ripiombati dentro una crisi di civiltà non dissimile da quella che Simone Weil aveva individuato come prodromica alla Seconda guerra mondiale e che la politica illuminata che lei aveva immaginato avrebbe dovuto scongiurare per sempre. Mi tocca con grande delusione ammettere che nemmeno la presenza di donne ai vertici del potere pare essere in grado di arrestare la dinamica della guerra quando questa si mette in moto e mi tocca constatare altresì che millenni di dominio maschile ottenuti con la violenza e con le armi non si cancellano in pochi decenni, nelle stanze della politica, nella società e neppure nelle teste. Pare infatti che il ‘risuonar dell’arme’ abbia riportato a galla desideri e sentimenti inconfessati covati a lungo nell’intimo in attesa di essere liberati e che abbia rimesso pertanto in gioco quel virilismo che la crisi del patriarcato aveva fiaccato se non proprio represso. La guerra ha rimesso al centro della scena quella che una femminista della prima ora con un’espressione forte ma quanto mai appropriata chiama “cultura del cazzo” (2). Prova ne è che all’improvviso il linguaggio fallico-militarista ha invaso ogni ambito della scena pubblica: sparite parole come cura, salute, ambiente, clima, istruzione per far posto a bombe, missili, attacco, difesa, conquista, resistenza, sacrificio, ecc.; ogni discussione ormai deve passare attraverso le dicotomie belliciste amico/nemico. alleato/avversario, aggredito/aggressore, vittoria/sconfitta, dove è d’obbligo dire che il bene sta dalla prima ed il male dalla seconda parte della coppia dicotomica. L’informazione di conseguenza si trasforma in propaganda e la sfera del parlabile si restringe alla demonizzazione del nemico e alla santificazione dell’amico; se fuoriesci dallo schema divieni bersaglio di attacchi, contumelie quando non di rappresaglie e tentativi di cancellazione della parola e oscuramento del pensiero; a stabilire cosa si può dire e cosa no un circo politico e mediatico da tempo moscio e ripetitivo a cui il vento di guerra è arrivato come una botta di testosterone a riportare in vita pulsioni falliche da tempo sopite. Si militarizza persino l’idea di pace, sottoponendola ad una trasmutazione di senso: da stato esistenziale opposto e contrario alla guerra, a ‘bene’ da conquistare invece come bottino di guerra e difendere con le armi; appare ormai una bestemmia il sostenere l’evidenza che da che mondo e mondo le armi portano guerra prima o poi e che soltanto il dialogo e la comprensione possono stabilire e mantenere la pace.

Per significare il mio stato d’animo a fronte di questo repentino salto nell’inciviltà, preferisco ricorrere al genio di Christa Wolf una tra le più grandi scrittrici del ’900, nata e vissuta nella Germania Est, che ha visto da vicino la dittatura nazista e quella sovietica, la costruzione del muro di Berlino e il suo abbattimento; le sue parole assai meglio delle mie rappresentano l’ottundimento degli animi che la forza bestiale della guerra produce avvolgendo nel medesimo vortice amici e nemici; esse raffigurano altresì mirabilmente la storica estraneità femminile all’imbarbarimento della società apportato dall’ordine patriarcale con la ‘civiltà della guerra’. In una delle sue opere più celebri, Cassandra, presenta la principessa troiana prigioniera prossima alla morte in un monologo accorato che fluisce con la lucidità di chi ha lo sguardo già rivolto all’al di là. Le sue ultime parole consegnano ai posteri il racconto della rovina di Troia, spogliata dal mito, nella nuda verità della cieca rincorsa verso la rovina, dove la superbia dei Troiani e la ferocia dei Greci convergono irresponsabilmente nel disastro finale, non viene assolto Agamennone ma neppure Priamo, non si salvano vincitori né vinti. La vicenda di Troia assurge ad archetipo dell’assurda barbarie della guerra e la voce inascoltata di Cassandra diviene simbolo del potere profetico delle donne sconfitto dal patriarcato insieme alla civiltà della pace orientata dai saperi femminili (3). Quanto l’archetipo sia tuttora attuale e parlante lascio giudicare a chi legge.

Quando non ci si può sottrarre all’attraversamento di tragedie come la guerra, è di vitale importanza, come dicevo all’inizio, raccogliere tutte le risorse disponibili per ripartire da sé e riuscire a guardare i fatti senza farsi sopraffare dall’orrore e ad agire con lucidità e secondo la propria intelligenza del reale. Anche in questo caso la mia risorsa è una grande letterata e maestra, Virginia Woolf, che in prossimità della Seconda guerra mondiale scrive Le tre ghinee, un saggio che diventerà una pietra miliare del pensiero politico delle donne (4). L’autrice immagina di rispondere a un amico pacifista che le ha chiesto di sostenere la sua associazione nella lotta contro il fascismo ed il pericolo della guerra; la sua risposta è che essendo la guerra un prodotto della cultura e del pensiero maschile, il migliore contributo che le donne possono dare per prevenire la guerra, non è di seguire gli “uomini colti” e ripetere le loro parole ma di trovare invece parole nuove e differenti percorsi; la ghinea destinata alla lotta contro la guerra pertanto andrà ad una associazione di donne che si impegni a trovare parole di pace in fedeltà alla propria esperienza. Celeberrima l’esortazione della scrittrice alle donne a pensare in proprio: «Pensare, pensare, dobbiamo. Noi non dobbiamo mai smettere di pensare dove ci conduce il corteo degli uomini colti». Son passati più di ottant’anni ma l’esortazione suona più che mai attuale ed appropriata; occorre tenere la barra dritta del pensiero, non farsi irretire dalle false verità degli ‘uomini colti’, di quelli che vorrebbero convincerci che la guerra è ineluttabile, che le armi possono essere buone o cattive a seconda di chi le imbraccia, che la pace si può costruire con la guerra, che è giusto uccidere il nemico o sacrificare l’amico e il fratello oppure bello morire per difendere la patria, la nazione come qualsivoglia ‘libertà’. A tutti costoro vorrei semplicemente contrapporre le parole che Christa Wolf fa pronunciare a Cassandra prossima alla morte: «Tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere». E dal momento che sto con tutta la radicalità possibile dalla parte della vita, coerentemente scelgo di devolvere la mia simbolica ghinea alle donne ucraine che hanno scelto la fuga per la vita propria e dei figli.


1. Simone Weil, Una costituente per l’Europa. Scritti londinesi, Castelvecchi 2013

2. Daniela Pellegrini, Liberiamoci della bestia. Ovvero di una cultura del cazzo, VandAedizioni 2016

3. Christa Wolf, Cassandra, Ed E/o 2011

4. Virginia Woolf, Le tre ghinee, Feltrinelli 2010


(Eredibibliotecadonne, 29 aprile 2022)

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