6 Marzo 2024
Gruppo FB “Movimento per i diritti delle donne”

Che cosa può offrire oggi Carla Lonzi

di Naxarena Bernardi


Il 6 marzo 1931 nasce Carla Lonzi. In una foto del 1968 (apparsa nella copertina del saggio di Giovanna Zapperi Carla Lonzi. Un’arte della vita, Derive e Approdi 2017, ndr.) Carla si mostra circondata da un’aureola, quasi nelle vesti di una santa, seppur evidentemente dei giorni nostri: sorridente e felice, sullo sfondo una costruzione luminosa che, appunto, le incorona la testa come una Madonna di un dipinto medievale. Il sorriso, però, non ha niente di quello delle figure ieratiche e distaccate dal mondo delle sante e vergini che la tradizione pittorica ci ha consegnato. È l’espressione di una donna che, come dirà lei qualche anno dopo parlando di se stessa, ha la capacità di dominare gli avvenimenti e costituire la propria storia.

Non sembri fuori luogo questo accostamento tra una delle principali femministe della nostra epoca e le donne della nostra tradizione religiosa. È lei stessa a raccontare quanto, fin da bambina, adorasse i libri autobiografici di sante: “attraverso le loro parole prendeva consistenza ciò che, in caso contrario, avrei dovuto respingere come conseguenza di emozioni morbose e irreali”.

Ciò da cui Carla era affascinata e attratta era la capacità di indagare e di dubitare di queste donne, che riuscivano a trovare dentro di sé le risorse, rinunciando talvolta a tutto, riuscendo però a non rinunciare a ciò che lei chiama l’essenziale.

Alla ricerca di questo essenziale, ricerca guidata dal bisogno vitale di fedeltà a se stessa, Carla Lonzi ha dedicato la sua intera esistenza, fin dai suoi esordi come critica d’arte, professione che svolse mettendo in discussione e sovvertendo l’usuale impostazione di un rapporto che voleva l’artista e l’opera al centro e tutti gli altri, e soprattutto – dirà lei – tutte le altre, ai margini, nel ruolo di spettatori/spettatrici passive.

È facile cogliere negli scritti di Carla Lonzi questa assoluta incapacità di rinunciare a se stessa: “abbandonare era niente, rispetto al dolore di tradire me stessa. E questa facilità a lasciare appena si richiedesse da me qualcosa che non si accordava con la mia coscienza, è stato l’elemento che più di tutto mi ha impedito di perdermi nella emancipazione e nelle riuscite apparenti”.

Già, perché nonostante i riconoscimenti che non le sono e non le sarebbero mancati, se fosse stata capace di accontentarsi del ruolo che un mondo ormai in parte disposto ad aprirsi alle richieste di emancipazione femminile le offriva, Carla non ha mai confuso le libertà con la libertà: “il femminismo mi si è presentato come lo sbocco possibile tra le alternative simboliche della condizione femminile, la prostituzione e la clausura: riuscire a vivere senza vendere il proprio corpo e senza rinunciarvi. Senza perdersi e senza mettersi in salvo”.

Lascerà così il suo lavoro di critica d’arte e si dedicherà totalmente al femminismo, al gruppo di Rivolta Femminile, di cui fu fondatrice, alla pratica delle relazioni con le diverse donne che condivideranno con lei un percorso tanto intenso quanto fruttuoso. Di questo percorso, che per lei si interrompe precocemente (quando una terribile malattia la porterà via a soli 51 anni), resta testimonianza nei suoi scritti, che sono ciò che di più prezioso il femminismo italiano ha prodotto. L’intelligenza della realtà, la profondità delle analisi, la dote di saper cogliere nel reale ciò che limita la libertà femminile e ciò che invece è in grado di realizzarla, la capacità di mettere al mondo ciò che l’ordine dato non ha previsto, sono la sostanza della sua riflessione, qualcosa da cui è difficile non essere travolte quando ci si accosta al suo pensiero. Per le donne della sua e della mia generazione che hanno avuto la fortuna di conoscere la sua riflessione, Carla Lonzi ha significato molto. Per me personalmente è stato l’incontro giusto al momento giusto: ricordo ancora oggi, con smisurata gratitudine, l’effetto che produsse in me, ancora ragazza, alla ricerca di uno sbocco per la mia sete di giustizia e il mio bisogno di impegno politico, la lettura (ma forse prima ancora il solo titolo) del suo breve saggio Sputiamo su Hegel che seppe ri-orientare e dare senso al mio individuale percorso, in cui già le frustrazioni e gli spaesamenti non mancavano.

Ma, occorre chiedersi, che cosa può offrire ancora Carla Lonzi alle più giovani, a quelle che sono cresciute nell’epoca dell’emancipazione (più o meno) compiuta? Qualcosa di prezioso e irrinunciabile, ritengo, proprio oggi, nel momento in cui la politica pare ridotta a una cosa piccola piccola, a mera gestione di interessi, per di più spesso individuali. Oggi, quando la necessità (economica, politica, sociale) sembra aver ridotto gli spazi per un’azione realmente libera, tempi in cui il mondo sembra qualcosa di tanto immodificabile quanto pieno di pericoli. Un’epoca in cui l’altro sembra incombere soprattutto come presenza minacciosa.

Leggere Carla Lonzi può insegnare che il riferimento femminile al proprio genere crea lo spazio in cui le donne intrecciano le relazioni in grado di far venire al mondo la libertà che sembra a rischio; e la libertà femminile riconosce le differenze (e prima ancora la differenza, quella tra i sessi) e sa che l’alterità è ciò che costituisce la soggettività. È una libertà radicata nel presente, proprio perché nasce nella relazione, che è sempre in qualche modo presenza, di corpi e di parole. È inerente a un soggetto incarnato, uomo o donna, che quindi – come dice Maria Luisa Boccia, una delle principali interpreti del pensiero di Carla Lonzi, parlando della politica delle donne – non solo non prescinde dal proprio sesso, ma anzi rovescia la naturalità della propria determinazione sessuata nella condizione di possibilità della libertà stessa.

Carla Lonzi, con la sua esistenza e con i suoi scritti, che della sua vita sono il frutto, sa mostrare che la libertà femminile è l’imprevisto che apre ad altri imprevisti. È lei – guidata dal suo grande amore della libertà – che ci ha mostrato la via di accesso a un mondo nuovo possibile, facendoci vedere che amore del mondo e amore di sé non divergono.

Questa la strada che apre all’imprevisto, essa si offre a chiunque – donna o uomo – sappia rivolgersi all’essenziale: “Adesso esisto: questa certezza mi giustifica e mi conferisce quella libertà in cui ho creduto da sola […]. Tutte le distinzioni, le categorie che esprimevano appunto il costituirsi della mia identità a partire dal dissenso – non vedevo altra via in quanto donna – non mi appartengono più: faccio ciò che voglio. Questo è il contenuto che mi appare in ogni circostanza, non aderisco a altro che a questo. Capisco quanto posso avere lasciato cadere nel percorso fatto finora, ma capisco che niente mi avrebbe dissuaso dal rivolgermi all’essenziale. Ora il superfluo attira tutta la mia attenzione e i miei desideri”.


(Post in “Movimento per i diritti delle donne”, gruppo facebook, 6 marzo 2024)

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