È morta a 105 anni la corrispondente che diede al mondo la notizia dell’invasione nazista in Polonia, e che ebbe una vita straordinaria
Clare Hollingworth, reporter di guerra britannica che ebbe una grande carriera, e che è ricordata tra le altre cose per essere stata la prima persona a dare la notizia dell’invasione della Germania nazista in Polonia del 1939, è morta martedì. Aveva 105 anni e viveva a Hong Kong. Nel corso della sua lunga vita raccontò per diversi giornali britannici – tra cui il Daily Telegraph, il Guardian e l’Economist – la guerra del Vietnam, il conflitto in Algeria e quello israelo-palestinese. Hollingworth era considerata una pioniera del giornalismo per le donne.
Era nata vicino a Leicester nel 1911, e si era appassionata alle guerre dopo aver visitato con suo padre molti siti di battaglie storiche inglesi. Dopo la scuola frequentò un corso di economia domestica, che la portò a odiare le mansioni domestiche. All’inizio Hollingworth voleva fare carriera in politica, e diventò segretaria della League of Nations Union, un ente britannico per la promozione della giustizia nel mondo. Contemporaneamente sviluppò anche una passione per la scrittura, che coltivò nonostante l’opposizione della madre pubblicando articoli per varie riviste. Cominciò a frequentare l’università, prima a Londra e poi a Zagabria, e si sposò nel 1936 con un ex collega alla League of Nations Union: i due si allontanarono durante la Seconda guerra mondiale e divorziarono qualche anno dopo.
Alla fine degli anni Trenta, Hollingworth era a Varsavia, in Polonia, per distribuire aiuti umanitari ai profughi che avevano lasciato il Sudetenland, l’area della Repubblica Ceca annessa dalla Germania alla vigilia della Seconda guerra mondiale. In questo periodo aiutò molte persone a scappare dalla Germania nazista, occupandosi dei loro visti per il Regno Unito. Fino ad allora aveva scritto alcuni articoli per il New Statesman, ma durante una sua visita a Londra fu assunta dal direttore del Daily Telegraph, che era rimasto impressionato dalla sua conoscenza ed esperienza in Polonia. Il confine tra Germania e Polonia in quel periodo era bloccato per tutti tranne che per i mezzi diplomatici: Hollingworth prese in prestito un’auto dall’ambasciata britannica a Katowice ed entrò in Germania esponendo una bandiera del Regno Unito. Tornando indietro, dopo aver comprato vino e pellicole per la macchina fotografica, passò per una zona dove erano stati sistemati enormi teli mimetici. Il vento ne buttò giù uno e Hollingworth vide che dall’altra parte c’erano moltissimi soldati tedeschi, insieme a carri armati e all’artiglieria.
Il giorno dopo, il 29 agosto 1939, il Telegraph uscì con in prima pagina il titolo “1.000 carri armati ammassati al confine con la Polonia. Dieci divisioni sono pronte per colpire”. L’articolo non era firmato, come succedeva spesso a quei tempi. Hollingworth era diventata giornalista a tempo pieno meno di una settimana prima e aveva già fatto quello che è stato definito poi “lo scoop del secolo”. Tre giorni dopo, il primo settembre 1939, Hollingworth vide i carri armati attraversare il confine e cominciare l’invasione: telefonò al segretario dell’ambasciata britannica a Varsavia, che però non le credette, convinto che le trattative tra Germania e Regno Unito fossero ancora in corso. Hollingworth allora mise il telefono fuori dalla finestra, per far sentire al segretario il rumore dei cingolati.
Passò la Seconda guerra mondiale a scrivere dalla Turchia, dalla Grecia e dall’Egitto. Entrò a Tripoli con il generale britannico Bernard Montgomery, che però non sopportava di avere una donna con sé e la rimandò al Cairo: Hollingworth allora si unì alle truppe del generale americano Dwight Eisenhower. Durante la guerra si era fatta conoscere come una reporter molto tosta: tra le altre cose si era gettata in diverse occasioni con il paracadute, per seguire le truppe Alleate.
Finita la guerra, il 22 luglio 1946 si trovava con Geoffrey Hoare, reporter del Times con cui si sarebbe poi sposata. Poco dopo mezzogiorno era a un centinaio di metri dall’hotel King David, che fu fatto esplodere da alcuni militanti del gruppo sionista di destra dell’Irgun, uccidendo 91 soldati britannici. Nel 1963 era a Beirut per il Guardian, quando sparì l’ex agente dei servizi segreti britannici Kim Philby, che aveva iniziato a collaborare con l’Observer. Hollingworth si convinse che Philby era il cosiddetto “Terzo Uomo”, cioè il terzo agente del KGB, i servizi segreti sovietici, che aveva fatto il doppio gioco, dopo Guy Burgess e Donald Maclean, che erano già stati scoperti. Quello di Philby, Burgess e Maclean, a cui si aggiunsero Anthony Blunt e John Cairncross (i “cinque di Cambridge”) divenne uno degli scandali di spionaggio più famosi del Novecento, che interessò tutta l’Europa e finì su tutti i giornali. Hollingworth scoprì che Philby era scappato in Unione Sovietica su una nave per Odessa, e preparò un articolo con lo scoop per il Guardian. Il direttore però decise di affossare la notizia, temendo una causa per diffamazione. Tre mesi dopo il Guardian pubblicò la notizia in una pagina interna e poco in vista: lo scoop fu ripreso il giorno successivo dal Daily Express, che lo mise in prima pagina costringendo il governo britannico ad ammettere che Philby era una spia.
In Vietnam, Hollingworth imparò il vietnamita per parlare con le persone locali, e fu una delle prime a prevedere che gli Stati Uniti non avrebbero vinto nonostante la loro superiorità militare. Nel 1973 diventò la corrispondente del Telegraph da Pechino. Nel 1981 andò in pensione e si trasferì definitivamente a Hong Kong, dove passava buona parte delle sue giornate al Foreign Correspondents’ Club, un locale per giornalisti stranieri dove era praticamente venerata. Nel 1990 sperava di essere mandata in Iraq per seguire la Guerra del Golfo, e dormì cinque giorni sul pavimento per prepararsi: aveva 79 anni. Ma quella fu una delle poche guerre del Novecento a cui non assistette. Lo stesso anno pubblicò la sua autobiografia, intitolata Front Line, nella quale parlò poco di se stessa e molto dei fatti a cui assistette, confermando una delle sue qualità più apprezzate nel corso della sua lunga e rispettata carriera. Suo nipote Patrick Garrett scrisse una sua biografia nel 2015, nella quale rivelò che sua prozia aveva smesso di bere birra a colazione solo per via dell’età, ma che continuava a portare le scarpe a letto, nel caso avesse dovuto uscire in fretta. I suoi colleghi e amici hanno raccontato che fino a pochi anni fa teneva pronto il passaporto e uno zaino, in caso fosse chiamata per scrivere un reportage.
(Il Post, 11 gennaio 2017)