13 Ottobre 2021
Wired

Dovresti farlo anche tu

di Maria Cafagna


Sarà capitato anche a voi di ricevere consigli non richiesti sulla vostra immagine social. Quelli che sono arrivati a me sono stati i più svariati e spesso mi sono stati posti in buona fede, anche se il più delle volte mi sono state rivolte osservazioni sul mio corpo e per essere specifici sul fatto che non lo faccio vedere. Una mia (ex) amica mi soprannominò “Suor Maria Calzetta” perché su Instagram sono troppo abbottonata, un’altra mi fece un corso intensivo di autoscatto e pose conturbanti, la stessa che si stava per strozzare con l’acqua gasata quando le dissi che non usavo Face-app: mi sono sentita ripetere spesso che «lo fanno tutte, dovresti farlo anche tu» perché «funziona così» e confesso che più di una volta mi sono chiesta: potrei avere più follower (non giriamoci intorno, contano eccome, se ne avessi 400 non mi stareste leggendo) se mostrassi di più il mio corpo?

Ci ho ripensato questa settimana dopo l’indignazione che ha travolto Marco Montemagno, personalità social, youtuber e divulgatore. Montemagno ha pubblicato e cancellato il video in questione ma alcuni estratti di quello che ha detto sono ancora visibili in questa IGTV di Valeria Fonte.

[…]

Ogni donna dovrebbe poter essere libera di disporre del proprio corpo ma nessuna lo è davvero. In particolare, con l’avvento dei social network i nostri corpi, sia che decidiamo di mostrarli sia che decidiamo di nasconderli, sono motivo e oggetto di discussione. Non che in passato non fosse così, basti ricordare lo scalpore suscitato dal documentario Il Corpo delle donne di Lorella Zanardo, ma la pervasività con cui i social network sono entrati nella nostra vita, nell’immaginario e nel sistema di relazioni ha fatto sì che la nostra immagine sia diventata ancora più determinante nel definire il nostro posto nel mondo.

Non è tanto e non è solo l’essere belle che conta, ma quanto e come si è disposte a mostrare di noi, di chi siamo e di quello che facciamo: bisogna avere il coraggio di mostrare e mostrarsi, meglio se veicoliamo un messaggio positivo, guai a non mettere chi ci segue al pari con la nostra vita, con chi usciamo, a quali eventi abbiamo partecipato e in compagnia di chi.

Questo modo di fare ha generato quella che in molte oggi chiamano FOMO – Fear of Missing Out – che potremmo tradurre con Paura di non essere sul pezzo, una specie di ansia da prestazione formato social che coglie chi non si sente mai abbastanza belle, impegnate, performative.

Per fare qualche esempio: se una sera decidi di rimanere a casa e scrollando Instagram ti senti inadeguata perché scopri che tutte sono in giro a fare qualcosa di divertente, sappi che non sei l’unica; se un post con la tua faccia prende decisamente meno like del post in cui qualcuna mostra il corpo, non sentirti sola; se ti senti a disagio perché non sei riuscita ad andare in vacanza e la tua timeline è invasa dalle belle foto di tramonti vista mare dei tuoi amici, sei in buona compagnia.

Gli esempi da fare sarebbero milioni e molti potrebbero riguardare corpi e volti che suscitano in noi i complessi più disparati: non sono abbastanza magra, non sono abbastanza in forma, non ho la pelle abbastanza liscia e così via.

Montemagno allora aveva ragione? No, perché Montemagno fa un ragionamento moralista e sessista e del resto come potrebbe affrontare il tema dell’ansia da performatività se egli stesso è parte di quell’ingranaggio?

In una recente intervista, l’attrice Jamie Lee Curtis ha lanciato un appello: «Tutte le foto di chi lavora nello showbusiness sono ritoccate. E quando guardate una di queste foto e pensate “io non sono così”, beh, nemmeno loro sono così». Se abitiamo i social network, anche la nostra vita è diventata uno show ad uso e consumo di chi ci segue: ricordiamoci allora che nulla è come appare, è tutto filtrato, alterato, modificato per renderci più attraenti. Ci riguarda tutte, nessuna si senta esclusa.


(Wired-newsletter, 13 ottobre 2021)

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