16 Novembre 2023
27esimaora.corriere.it

Eve Ensler: «V come vittoria. Non ho più voluto il nome scelto da mio padre violento»

di Letizia Rittatore Vonwiller


La sua opera I monologhi della vagina del 1996, rappresentata nei teatri di più di 140 Paesi e tradotta in 48 lingue, è stata la scintilla che l’ha spinta a promuovere progetti a favore delle donne e delle bambine abusate: come il V-Day, organizzazione mondiale che raccoglie fondi per associazioni in assistenza alle donne che subiscono violenza e One Billion Rising, manifestazioni nelle piazze di Paesi per ballare insieme in segno di protesta. Eve Ensler sarà in Italia dal 24 al 26 novembre per presentare il suo libro «Io sono un’esplosione». Le date: venerdì 24 novembre, ore 20.30, al Teatro Niccolini di Firenze. Domenica 26 novembre, ore 11, al Piccolo Teatro Grassi di Milano.


Ora V (Eve Ensler), settant’anni, drammaturga, una delle «150 donne che hanno cambiato il mondo» secondo Newsweek, ha dato alle stampe Io sono unesplosione. Una vita di lotta e di speranza (Il Saggiatore): racconto dei suoi quarantacinque anni di vita come artista e attivista attraverso poesie, lettere, saggi e appunti dai suoi diari che affrontano temi personali e sociali, come il suo tumore all’utero, le continue atrocità nei confronti delle donne in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Repubblica democratica del Congo, la crisi climatica, le storture del capitalismo.

Nelle pagine ricorre anche il dramma degli abusi paterni, esperienza raccontata nel libro Chiedimi scusa (2019), in cui ha deciso di scrivere lei le scuse che aveva bisogno di sentire da suo padre, anche dopo la sua morte, avvenuta trentuno anni prima. In questa intervista ci spiega il motivo che l’ha spinta ad assumere una lettera, la V, come nome e perché dovremmo impegnarci tutte per un cambiamento della cultura patriarcale dall’impronta distruttiva.

Perché ha deciso di chiamarsi V?

«Quando ho scritto Chiedimi scusa, le immaginarie scuse di mio padre per i suoi abusi nei miei confronti, ho scavato profondamente dentro me stessa. Ho avuto la sensazione che finalmente se ne fosse andato, ho anche capito che non nutrivo più rabbia perché quella persona non esisteva più. Così non ho più voluto il nome che mi aveva dato. V è una bella lettera nella mia vita, vagina, vittoria, e ha una forma straordinaria».

Che significato ha la parola esplosione del titolo del nuovo libro?

«L’ho presa da una mia poesia, ha tanti significati: riguarda l’arte, il teatro, il dire la verità, il fare i conti. Purtroppo è una parola che ha anche a che fare con quello che stiamo vivendo ora con la guerra in Israele e Palestina. Ovviamente il mio cuore è spezzato e soffre per tutte le persone che muoiono e che sono state prese in ostaggio e per quello che succede in Gaza. Il mio pensiero va anche alle palestinesi. Sono stata in West Bank, e ho visto una cultura patriarcale che ritiene la donna un oggetto di possesso, che si può ucciderla per privarla della libertà, per impedirle l’autodeterminazione. Bisogna guardare dentro questa violenza, affrontare la questione, aprire la mente a qualcosa di diverso. Insomma, fare i conti è molto difficile, ma è la sola cosa che si può fare».

In una poesia scrive che a trentanove anni è riuscita a dire a sua madre che suo padre laveva violentata. Lei non aveva sospettato niente?

«Non l’ho fatto prima perché pensavo che non mi avrebbe creduto, non trovavo le parole per dirlo. Mio padre mi adorava ma non era in grado di esprimere il suo amore. Quando mia madre ha cominciato a capire, lui ha iniziato a picchiarmi. La sua sensazione patriarcale di privilegio, combinata con l’alcol, è stata distruttiva e io ne sono stata la vittima».

Abusi di questo genere lasciano effetti psicologici devastanti, oggi può dire di esserne uscita?

«Penso di sì, il mio scopo era di non sentirmi più parte della narrativa di mio padre. E più lavoro su di me, più provo sensazioni di libertà. Ho avuto un marito e un compagno per quindici anni, ora sono sola, ma con tanti amici, ed è il mio periodo migliore. Finalmente ho guadagnato in autonomia e indipendenza. Ho imparato attraverso la terapia, la scrittura e l’attivismo, che potevo indirizzare i miei sentimenti intensi su progetti per determinare un cambiamento positivo per me e le altre persone e dare voce a quelle emozioni creando bellezza e spettacoli. L’empatia sarà il fulcro della nostra sopravvivenza».

Lei dice che la cultura patriarcale è alla base della violenza contro le donne. Come cambiarla?

«Finché gli uomini non capiscono che il paradigma patriarcale è pericoloso anche per loro, sarà difficile che succeda. Basta guardare la situazione di oggi, continuiamo a distruggere aria, acqua, mari e siamo incapaci di nutrire milioni di persone. Patriarcato e capitalismo hanno raggiunto il massimo della devastazione. Abbiamo bisogno disperatamente di un altro paradigma, diverso da quello maschile che è oppressione e dominazione. La nuova cultura dovrebbe iniziare con la fine del patriarcato e con la promozione di una cultura di cooperazione, in cui l’arte è centrale, che rispetta i sentimenti e che punta su uguaglianza, inclusione, diversità e ricchezza condivisa».

Ma si può modificare la mentalità maschile?

«Ho sempre cercato di dialogare con gli uomini per creare un nuovo mondo, oggi non lo faccio più. Però mi domando: come fa un uomo che ha madre, moglie e figlia che ama ad abusarne o a permettere che vengano maltrattate? Non lo capisco. L’unica ragione forse è che ribellarsi al metodo patriarcale della violenza vuol dire per lui rinunciare al potere e a una situazione di superiorità. L’unica cosa che possiamo fare noi donne è cercare di cambiare, oltre che il sistema di trattare noi stesse, anche il mondo in modo che diventi attraente».


(Corriere della Sera, 27esima ora, 16 novembre 2023)

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