2 Giugno 2023
La 27esimaora.corriere.it

Fabio Roia sui femminicidi: «Manca ancora la condanna sociale. Anche tra i giovani c’è l’idea del predominio maschile»

di Elisa Messina


«Quando si parla di prevenire la violenza sulle donne si commette spesso l’errore di pensare a come aiutarle a difendersi. Ribaltiamo il messaggio: facciamo capire agli uomini che non devono aggredire e insultare le donne, che devono rispettare la loro autonomia, la bellezza della loro diversità e accettare la possibilità che i legami vengano interrotti anche in modo unilaterale». Fabio Roia, presidente vicario del Tribunale di Milano, esperto di violenza di genere, è netto nel definire la radice culturale dei femminicidi. Come quelli recenti di Giulia Tramontano a Milanoincinta di sette mesi e massacrata dal fidanzato, o della poliziotta Pierpaola Romano a Roma e di altre centinaia che, ogni anno, vengono uccise per mano del partner o dell’ex.

Il numero degli omicidi, in generale, cala in modo costante negli anni, quello dei femminicidi no. Il perché è nel mancato cambiamento culturale?

«Purtroppo sì, nel nostro contesto culturale è ancora incrostata l’idea che la donna sia qualcosa di mia proprietà di cui posso disfarmi. Lo squilibrio di potere nei rapporti tra i sessi è ancora forte. Un cambiamento c’è ma è lento, non c’è stata ancora una svolta. Perché i messaggi che arrivano dalla società sono contrastanti».

Per esempio?

«Partiamo dalla comunicazione dei media che non è sempre corretta quando si parla di femminicidi, anche nella scelta delle parole: si tende ancora a voler trovare una giustificazione, un’attenuante al gesto dell’uomo. E poi, manca ancora una vera condanna sociale della violenza: quella che si costruisce nella quotidianità. Per esempio, e parlo ai miei “colleghi di genere” maschi, reagendo alle battute sessiste o a tutte le situazioni in cui la donna è oggettivizzata».

La cultura maschilista non si è attenuata con il passaggio generazionale?

«I dati purtroppo ci dicono di no: la fascia di età di chi commette questi reati va dai 18 ai 35 anni. Quindi anche ai giovani viene trasmesso il messaggio del predominio maschile sulla donna».

Scendendo nel concreto, che consiglio possiamo dare oggi a una donna che oggi si trova a vivere una situazione di disagio?

«Il primo è quello di rivolgersi a un centro antiviolenza dove figure competenti, avvocate e psicologhe, sono pronte ad ascoltare: focalizzare il problema, riconoscere la violenza è il primo passo. Non dimentichiamo che le donne che ne sono vittima spesso non la vedono, anzi la sminuiscono perché sono manipolate psicologicamente da un partner o un ex maltrattante. Addirittura se ne addossano la colpa, si sentono inadeguate su qualcosa e si attribuiscono la responsabilità delle violenze, fisiche o psicologiche che subiscono. La denuncia è, se necessaria, un passo successivo».

A proposito di denuncia: la risposta in termini giudiziari oggi è migliorata rispetto a qualche anno fa?

«Sì, grazie a leggi come il “Codice Rosso” che hanno semplificato le procedure e accorciato i tempi di reazione da parte della magistratura. E sappiamo quanto il fattore tempo sia cruciale per mettere in sicurezza una donna che subisce violenza. Infatti i dati ci dicono che sono in calo i femminicidi di donne che avevano sporto denuncia in precedenza. Attenzione, con questo non voglio spostare la responsabilità dei delitti sulle donne – che è e resta degli uomini – ma sottolineare che gli strumenti di contrasto sono diventati più efficaci».

Le donne che subiscono violenza in ambito familiare o di coppia spesso temono di non essere credute, in primis dalle forze dellordine…

«Nei centri antiviolenza tutte le donne possono trovare luoghi di ascolto non giudicanti. Oggi anche nelle forze dell’ordine le cattive pratiche sono diminuite ed esistono professionisti specializzati. A Milano abbiamo aumentato il numero dei magistrati che si occupano di violenza di genere proprio perché la Procura chiede sempre maggiori misure cautelari a protezione delle vittime».

Lultima relazione della commissione parlamentare sui femminicidi denunciava una mancata specializzazione da parte di magistratura e forze dellordine. È ancora così?

«Le cose stanno migliorando: secondo un rapporto del Consiglio superiore della magistratura, abbiamo magistrati specializzati sulla violenza nel 90% dei presidi giudiziari. Insomma, gli strumenti legislativi e la normativa internazionale – come la Convenzione di Istanbul – ci sono. Quello che manca, non mi stanco di ripeterlo, è il cambiamento culturale: dovremmo indignarci di più per queste tragedie e invece siamo come assuefatti».

Una caratteristica comune a molti femminicidi è che vengono commessi durante un incontro richiesto dalluomo: un “ultimo appuntamento” per parlare dopo la rottura da parte di lei.

«Ecco, questo è un altro consiglio importante: quando si rompe una relazione tossica è bene evitare di cedere alla richiesta di un ultimo incontro, in primis per evitare di subire nuove manipolazioni psicologiche e inoltre perché dietro un “ti chiedo scusa parliamo” può nascondersi un agguato».


(La 27esima Ora, 2 giugno 2023)

Print Friendly, PDF & Email