10 Ottobre 2019
HuffPost

«Fermate la mano di Erdoğan, per noi curdi e per la democrazia». Intervista a Dalbr Jomma Issa

di Umberto De Giovannangeli


L’appello alla comunità internazionale della comandante militare dell’Unità di Protezione Popolare (Ypg): «Costringere la Turchia a sedersi al tavolo per una soluzione pacifica o l’Isis tornerà in gioco»


«Al governo italiano e alla comunità internazionale chiediamo di far sentire la sua voce, di agire in tutti gli ambiti internazionali, perché la Turchia non invada il Nord della Siria. In gioco non c’è solo la vita della popolazione curda, ma anche quei valori di libertà e di democrazia che sono a fondamento di un mondo libero». A sostenerlo è una donna coraggiosa, una comandante militare: Dalbr Jomma Issa. La sua storia racchiude quella di tante ragazze, donne che hanno combattuto la guerra contro lo Stato islamico, sacrificando la loro vita per la liberazione di Raqqa e di Kobane. Dalbr Jomma Issa è comandante delle Unità di Protezione Popolare (Ypg) ed è stata comandante in capo delle Forze democratiche della Siria (Fds), l’alleanza curdo-araba, nelle operazioni a Raqqa e a Kobane.

A Roma, la comandante delle Ypg è stata sentita in audizione alla Camera e ha partecipato a un meeting internazionale. «Siamo per una soluzione pacifica, diplomatica, fondata sulla legalità internazionale – dice Issa -. Noi abbiamo combattuto le milizie del Daesh per difendere il nostro popolo ma anche una idea di democrazia che può valere per l’intero Medio Oriente».

Le notizie che giungono dalla Nord della Siria sono drammatiche: Ankara si sta preparando a invadere. Quale sarà la vostra risposta?

La comunità internazionale deve fermare questa invasione e costringere la Turchia a sedersi a un tavolo negoziale, a essere parte di una Conferenza di pace che definisca una soluzione politica, pacifica. Una cosa è certa: noi eserciteremo il nostro diritto a difendere la nostra libertà, il nostro popolo, il nostro territorio. Per questo sono nate le Ypg, per queste ragioni abbiamo dato vita alle Fbs, una coalizione di forze che va oltre i curdi, una coalizione plurale, fondata sulla condivisione di una idea confederale della nuova Siria, dove siano rispettati i diritti di ogni minoranza e rispettati i principi universali di uguaglianza e di giustizia. Lo abbiamo fatto contro il Daesh. Lo faremo contro l’esercito turco se verremo invasi. Noi ci difenderemo, la resistenza è pronta a fare il proprio dovere. Le minacce turche non nascono in questi giorni, vanno avanti da tempo. Quando c’era da combattere lo Stato islamico, la Turchia non ha mosso un dito, semmai ha favorito l’infiltrazione dei foreign fighter che hanno ingrossato le fila del Daesh. Noi eravamo in prima linea per la liberazione di Raqqa e di Kobane. E ancora oggi siamo impegnati in combattimenti con miliziani dell’Isis che ancora sono presenti nel Nord della Siria. La guerra all’Isis non è affatto terminata e un indebolimento del nostro controllo del territorio finirebbe per rimettere in gioco quelli del Daesh. L’America lo sa bene, lo sa bene l’Europa. L’invasione della Turchia farebbe il gioco di al-Baghdadi.

In questi giorni, in queste ore si è parlato e scritto del “tradimento” degli Stati Uniti.

Il presidente Trump e il Pentagono hanno sostenuto, anche sulla spinta della comunità internazionale, di essere contrari a un’invasione da parte della Turchia del Nord della Siria. Hanno corretto il tiro. Prendiamo atto di queste affermazioni, che devono però essere supportate dai fatti. Il tradimento verrebbe consumato se l’esercito turco dovesse invadere. Se la comunità internazionale dovesse sottostare ai ricatti di Erdoğan. Ma, sia chiaro, in quel caso non sarebbe solo il tradimento del popolo curdo e di quanti hanno combattuto contro l’Isis, sarebbe tradire quei principi, oltre che gli interessi, che hanno portato gli Stati Uniti a supportare le nostre azioni sul campo contro il Daesh. Abbiamo chiesto al Parlamento italiano e al governo italiano di operare per una Conferenza internazionale di pace con tutti gli attori regionali. Se questo impegno dovesse venir meno, vorrebbe dire che la coalizione era in Siria solo per combattere l’Isis e non per garantire una transizione pacifica, democratica. Subire la minaccia turca non stabilizza la Siria, non pone fine a otto anni di guerra, ma provocherà destabilizzazione e altre vittime.

Lei parla di una transizione democratica. Quali forme dovrebbe assumere?

Questo dovrebbe essere oggetto della Conferenza: ricercare una soluzione condivisa, che come tale non deve guardare solo agli interessi di parte, siano essi turchi ma anche i nostri. Di certo, non può essere una soluzione condivisa quella imposta con la forza dalla Turchia, con la creazione di una “fascia di sicurezza”, che significa l’occupazione di una parte della Siria e una pulizia etnica nei confronti della popolazione curda insediata in quei territori. Esiste il terrorismo dell’Isis, ma esiste anche il terrorismo di Stato. Per noi la prospettiva che più si avvicina al rispetto di questi principi e valori è quella di un confederalismo democratico.

Cosa ha chiesto oggi al Parlamento e al governo italiano?

Di prendere una posizione netta, chiara, contro la prova di forza che la Turchia sta portando avanti. Le Nazioni Unite hanno messo in guardia sulla tragedia umanitaria che l’invasione turca provocherebbe. L’Italia, non solo le sue istituzioni, ma il popolo italiano, ci è stato vicino, concretamente, quando combattevamo per la liberazione di Kobane. È stato uno dei Paesi che più ci ha sostenuto. È un impegno che oggi va confermato e rafforzato, quando è in gioco la vita di migliaia di persone e il futuro della Siria e del Medio Oriente. Un futuro che noi vorremmo di pace e di libertà. Per questi principi ci siamo battuti. Per essi continueremo a farlo se verremmo invasi”.


(huffingtonpost.it, 10 ottobre 2019)

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