27 Luglio 2021
Feminist Post

FtM e MtF, le due facce della transizione

di Marina Terragni


Il fenomeno della transizione appare profondamente cambiato negli ultimi trent’anni. Il cambiamento principale – anche se non l’unico – riguarda il sesso biologico delle persone che decidono di transizionare, oggi più femmine che maschi.

Un tempo le FtM, da donna a maschio, erano una rarità assoluta. Le proporzioni erano grossomodo una FtM ogni cento MtF, e già allora erano due mondi antropologicamente diversi e lontani tra loro. Oggi le FtM costituiscono la netta maggioranza delle transizioni precoci – 7-8 casi su 10 – e i criteri di lettura vanno aggiornati.

Una differenza importante: mentre tra gli MtF il ricorso a terapie ormonali e chirurgia – castrazione – è sempre più raro in favore di un’autoidentificazione che mantiene il corpo intatto (self-id) le FtM ricorrono molto frequentemente al supporto chimico e alla doppia mastectomia o top surgery (molto meno frequentemente alla costruzione di uno pseudo-sesso maschile).

Sul piano del simbolico, tuttavia, entrambi i tipi di transizione raccontano la stessa storia. Si tratta sempre di cancellazione del corpo femminile.

Nel caso delle FtM, una vera e propria fuga dal destino di essere donne inteso come disempowerment, perdita di libertà, rinuncia, subordinazione, miseria. Il movimento è lo stesso delle emancipate e – in una fase successiva – delle anoressiche (vedere qui). Come raccontano spesso le detransitioner, più che di essere uomini si tratta di fermare il processo del diventare donne, con tutto ciò che ne consegue. L’obiettivo è “fuggire dalla casa in fiamme” (vedere qui).

Nel caso degli MtF si tratta invece di sostituzione delle donne biologiche con i propri “nuovi” corpi di pseudo-donne, autoginefilicamente e cosmeticamente ricostruiti, quando lo sono, secondo i canoni che si ricollegano ai più consolidati stereotipi di genere, ovvero assecondando le pretese dello sguardo maschile.

Quello delle FtM è quasi sempre un gesto di resistenza politico sul quale, quindi, è possibile intervenire politicamente: il lavoro con le detransitioner è infatti un lavoro prevalentemente politico. Il caso degli MtF si presenta invece come un movimento prevalentemente intrapsichico.

In apparenza quindi le transizioni FtM e MtF si presentano come movimenti simmetrici, uguali e contrari, in qualche modo “compensati”: fuga dal femminile nel primo caso, volontà di farne parte nel secondo. In realtà entrambi i movimenti non fuoriescono dal raggio dello sguardo maschile normativo che nega la libertà femminile e impone la gabbia degli stereotipi di genere. In altre parole, in entrambi i casi restiamo nel recinto del fallogocentrismo. Il fallo resta il principio ordinatore.

Il femminismo ha sempre lottato contro gli stereotipi di genere e questa battaglia oggi va ripresa e intensificata, soprattutto per la salvezza delle bambine e dei bambini. L’uso sempre più diffuso di bloccanti della pubertà, che anticipa e diffonde a macchia d’olio il fenomeno della transizione producendo danni irreversibili in corpi di minori perfettamente sani e mai “sbagliati”, ha cambiato radicalmente lo scenario e richiede il massimo dell’attenzione.

Le bambine e le ragazze, che oggi sono il bersaglio principale della propaganda, vanno salvate dalla brutalità di queste pratiche ultimative nel solco dell’emancipazione. Emanciparsi significa liberarsi dalla schiavitù, fuoruscire dal dominio. Ma essere donne non è una schiavitù, è il patriarcato che per non crollare non può fare a meno di intenderci come subordinate.

Si tratta di convincere bambine e ragazze a sottrarsi all’oppressione, resistendo in se stesse, e dell’“indicibile fortuna di nascere donna (Luisa Muraro).


(https://feministpost.it/, 27 luglio 2021)

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