di Francesca Visentin
Tra mobbing difficile da dimostrare, discriminazioni e gender pay gap, una certezza avevamo: se il capo ti palpa il sedere in ufficio e in più davanti a testimoni, non c’è dubbio che di molestia sessuale si tratta. Adesso però una sentenza della procura di Vicenza pare dare il via libera alle sculacciate del boss alle dipendenti. “Goliardate”, “gesti camerateschi”, “ma che non sfociano in reato”. Queste le motivazioni con cui la procura di Vicenza ha chiesto l’archiviazione, accolta poi dal giudice, di un’inchiesta per violenza sessuale, molestie e ingiurie a carico di un vicentino, direttore amministrativo in un’azienda di Vicenza.
L’uomo era stato denunciato da una dipendente dopo che per tre volte l’aveva sculacciata in ufficio, davanti ad altri colleghi, accompagnando il gesto con frasi del tipo: «Muoviti a finire quella pratica». Sentite le testimonianze, i colleghi avevano confermato le palpate, ma aggiungendo che «lei non si lamentava». E che «le sculacciate non avevano intento punitivo». Insomma, un gesto cameratesco, di fatto condiviso dall’ambiente di lavoro. Un modo di fare «sempre apprezzato da colleghi e superiori», così pare si sia giustificato quel capo vicentino. Dicendo che non intendeva umiliare la dipendente, ma al contrario incoraggiala, motivarla sul lavoro. Che esempio edificante di “moderno welfare”: frizzi e lazzi in ufficio, mani vaganti che piombano sul sedere delle dipendenti, come “gesti motivanti”. E i colleghi stanno a guardare. Al massimo sghignazzano. Si adeguando alla “polis aziendale”.
Un aumento di stipendio adeguato al ruolo e alle competenze? Una promozione? Un avanzamento di carriera? Macché. Vuoi mettere la “simpatica” sculacciata sul sedere? Che rivoluzione nelle “tecniche motivazionali”. E pazienza se la donna ha più volte ripetuto di sentirsi umiliata sia come donna che come professionista, di sentirsi violentata nel corpo da gesti che nulla hanno a che vedere con un rapporto professionale. Per la procura di Vicenza, che ha accolto l’archiviazione del caso, non c’è reato. Matte risate, semmai. Un po’ di goliardia tra colleghi. Anzi, tra un capo e la sua diretta sottoposta. In una posizione gerarchica (lei) di sudditanza, quindi.
“Goliardia”, così viene liquidata una palpata sul sedere (ripetuta) di un capo alla dipendente sul posto di lavoro, in nome di quell’imprinting culturale patriarcale per cui la femmina è possesso del maschio. E quindi quando è a portata di pacca sul sedere, che male c’è ad allungare la mano? E poi lei, mica si è lamentata. Già. Ha solo denunciato per molestie sessuali. Ogni rapporto non consenziente, dalla pacca sul sedere allo stupro, alla violenza verbale, è ingiustificabile e andrebbe condannato, indipendentemente dal risvolto penale. Così come ogni relazione o rapporto sessuale asimmetrico, cioè fra due persone in una relazione di potere non paritaria, è un rapporto non consenziente.
Ma ripeterlo, ribadirlo, evidentemente non serve. Se a una procura un boss che sculaccia una dipendente sul posto del lavoro suscita matte risate.
(27esimaora.corriere.it 17 gennaio 2018 )