di Anna Foa
Sì, Israele è in pericolo. Il pericolo di perdere il carattere democratico di cui, almeno fino a poco tempo fa, si è fatta vanto: l’unico Stato democratico del Medio Oriente. Ora, certo può anche fare a meno di farsene vanto, dal momento che non è proprio questa l’etichetta che si può attribuire a quei discepoli del rabbino Kahane, espulso dalla Knesset, e certo non sotto un governo di estrema sinistra, per razzismo e negazione del carattere democratico dello Stato, che sono ora ministri del governo Netanyahu e che, invece di darsi un’etichetta democratica, si fanno vanto di essere razzisti, antidemocratici e perfino omofobi.
È davvero impressionante la velocità con cui il governo nato intorno a Netanyahu dalle recenti elezioni sta distruggendo ogni residuo di possibilità di arrivare un giorno o l’altro, per quanto lontano, ad una pacificazione fra ebrei e palestinesi ed insieme, sta minando, con la legge sulla Corte Suprema, le basi democratiche dello Stato. Ormai non si tratta più soltanto, e non era certo poco!, del conflitto tra israeliani e palestinesi. Ciò che si sta distruggendo è ormai la natura stessa dello Stato di Israele, i principi su cui era nato, la sua politica, per quanto complessa e problematica, in particolare dopo il 1967, essa sia stata.
Dopo l’attentato terroristico del 26 febbraio, il governo ha decretato, come riferisce Haaretz, l’istituzione della pena di morte per i terroristi. Come non ricordare, pensando a questa tragica svolta, l’orgoglio con cui asserivamo l’inesistenza in Israele della pena di morte per i civili, comminata solo ad Adolf Eichman, e ricordavamo come nel Talmud la pena di morte fosse talmente circondata di paletti e regole da risultare inapplicabile. Da oggi in poi, potrebbe non essere più così. Mi direte che questo riguarda solo i terroristi. Ma chi è il terrorista per il governo israeliano di oggi? Chi spara e mette bombe come nell’attentato di Hawara o anche chi, palestinese, sogna ed immagina di avere uno Stato? Le Università israeliane, a cominciare dalla Hebrew University, sono in agitazione perché vengono dal governo segnali di una spinta ad eliminare, come sospetti terroristi, gli studenti palestinesi dalle Università.
Le grandi manifestazioni che, con numeri sempre crescenti, si succedono da otto settimane in Israele contro la riforma giudiziaria portano in piazza non solo le sinistre ma anche moderati e religiosi. Intellettuali e accademici, certo, ma non solo: persone di tutte le categorie e di tutte le età, tutti uniti nel difendere Israele contro questa degenerazione che rischia di diventare la sua rovina e di farlo assomigliare, come scriveva Haaretz, più all’Afganistan che all’Ungheria.
Credo che denunciare ad alta voce questa situazione sia oggi mio dovere imprescindibile: come ebrea, come fautrice dei diritti umani, come persona impegnata nella politica portata avanti da Gariwo per creare solide catene di responsabilità, per prevenire violenze e fenomeni genocidari, per difendere deboli ed oppressi. È il mio un appello a tutti, cittadini israeliani ed ebrei della diaspora, ebrei e non ebrei, a non lasciare distruggere la democrazia in Israele senza levare almeno alta la nostra voce. Il dolore e la preoccupazione per quanto succede rendono forse le mie parole troppo retoriche, troppo urgenti. Ma il momento è grave e l’ora è buia.
(Gariwo la foresta dei giusti, 27 febbraio 2023)