di Mazal Mualem
Dopo anni di preparazione e promozione, la nuova legge israeliana che criminalizza l’accesso alla prostituzione è finalmente entrata in vigore
La nuova ed epocale legge israeliana contro l’accesso alla prostituzione entra in vigore oggi, 10 luglio 2020, un anno e mezzo dopo la sua approvazione. «Le donne non sono merce e i loro corpi non sono a disposizione per essere usati da chiunque sia disposto a pagare», ha scritto questa mattina su Twitter il Ministro della giustizia Avi Nissenkorn, del partito Blu e Bianco. Il suo tweet è la risposta a giorni di forti pressioni perché venisse posposta l’entrata in vigore della legge.
Per la prima volta nella storia di Israele la responsabilità della prostituzione grava sui clienti. La polizia può ora multarli con migliaia di shekel (moneta israeliana, ndt) senza dover prima punire gli sfruttatori. La legge stabilisce inoltre che, nel caso di infrazioni multiple, chi paga donne prostituite potrebbe essere processato penalmente, con multe che a quel punto aumenterebbero a decine di migliaia di shekel.
Fino a ieri il diritto israeliano non aveva considerato la prostituzione in sé un reato, a meno che non fossero coinvolte minori. Le attività legate alla prostituzione invece, incluso lo sfruttamento e la pubblicizzazione dei servizi sessuali, erano illegali. Con il risultato che, mentre gli sfruttatori e i manager dei bordelli venivano arrestati e indagati, gli utilizzatori finali non venivano mai sanzionati.
Questa legge è storicamente significativa perché finalmente riconosce la fondamentale immoralità dello sfruttamento economico a fini sessuali delle donne prostituite e il fatto che le vere vittime sono coloro che vendono il proprio corpo per sopravvivere. Stabilisce che sono i clienti a trasformare il sesso in merce e che sono loro a dover essere puniti per questo.
È una legge rivoluzionaria che rappresenta una vittoria importantissima dopo anni di sforzi per far approvare norme che riducano la realtà della prostituzione e vietino a terzi di trarne vantaggio. Se non fosse stato per la seconda ondata di coronavirus, la legge che oggi entra in vigore sarebbe stata sui titoli di tutti i giornali, invece di perdersi tra le notizie del collasso economico o degli ospedali di nuovo stracolmi di ricoverati.
Ma anche senza l’attenzione dei media, la legge è qui per restare. Sarà ancora operante quando la pandemia sarà passata e rappresenterà un cambiamento profondo nel senso di una significativa riduzione della prostituzione.
Secondo la maggioranza delle statistiche, circa dodicimila persone sono coinvolte nell’industria del sesso qui in Israele. Di loro, il 95% sono donne e il 5% uomini, incluse 1.100 ragazze e più o meno 40 ragazzi. In totale, questa industria genera circa 1,3 miliardi di dollari all’anno.
Fino al 2016 Israele non aveva mai cercato di adottare un approccio sistemico per contrastare la prostituzione nel paese. Quell’anno, il Ministro del lavoro e del welfare promosse uno studio di tale realtà, scoprendo che l’industria della prostituzione in Israele aveva cambiato volto negli ultimi anni. Nei primi anni 2000 era composta perlopiù di donne provenienti dall’ex Unione sovietica. Oggi invece coinvolge migliaia di donne israeliane, la maggior parte delle quali madri, adolescenti a rischio o donne transgender. Il report concluse che le difficoltà economiche sono il primo motivo che porta le donne a rivolgersi alla prostituzione. E sono anche il motivo per il quale così tante donne fanno fatica a uscirne.
Nel 2018 una potente coalizione di uomini e donne di tutti i partiti si unì per la prima volta in Parlamento per combattere questa realtà. E fece la storia. A guidare questo sforzo fu la precedente Ministra della giustizia Ayelet Shaked, che fu anche capo della Commissione ministeriale per la legislazione. Lei formulò la proposta di legge e portò avanti il procedimento per la sua approvazione fino a quando il Parlamento non venne sciolto e nuove elezioni vennero annunciate.
Shaked reclutò l’allora Ministro degli Interni Gilad Erdan, recentemente nominato ambasciatore di Israele presso le Nazioni Unite. I due hanno lavorato insieme e non si sono fermati finché la legge non è stata approvata. Avevano l’appoggio delle parlamentari di tutti i partiti, inclusi quelli religiosi. Il giorno di approvazione della legge, la ex-parlamentare Shelly Yachimovich (Labor), che era stata in prima linea per questa battaglia, ha affermato: «La battaglia per la fine della prostituzione è come la guerra per la fine della schiavitù».
Insieme alla legge il governo ha approvato un programma perché le persone che vivono nella prostituzione possa uscirne. Uno stanziamento di 30 milioni di shekel (8,7 milioni di dollari) è stato destinato a fornire loro sostegno.
Il provvedimento è ispirato al modello nordico, che attribuisce ai clienti la responsabilità della prostituzione. Nel 1999 la Svezia divenne il primo paese al mondo a sanzionare i clienti della prostituzione, e i dati raccolti negli anni successivi hanno dimostrato che nel paese il numero di donne prostituite crollò di circa due terzi, e che sempre meno donne entravano nell’industria del sesso. Il successo di questo modello ha portato a adottarlo altre nazioni, come Norvegia, Francia e Irlanda. Nel ventennio successivo le organizzazioni israeliane per i diritti delle donne, che seguivano gli sviluppi nella lotta internazionale alla prostituzione, e un ristretto gruppo di parlamentari provarono a fare lo stesso, ma i loro sforzi vennero bloccati.
Ora sta ai Ministeri della giustizia e della pubblica sicurezza assicurare l’effettività della legge nel mezzo dell’attuale caos politico e della pandemia. Molto lavoro ricadrà sulla polizia, che ci si aspetta perseguirà attivamente chi vìola le disposizioni. Ogni cliente fermato dovrà pagare una multa di 2000 shekel (580 dollari). La polizia sarà inoltre dotata di un computer dove verranno archiviati i dati di questi clienti, e chiunque venga fermato di nuovo verrà multato il doppio. Come già detto poi, infrazioni multiple potrebbero portare anche a sanzioni penali.
Ayelet Dayan, la responsabile della taskforce che si occupa di tratta e prostituzione, afferma che la legge aveva già avuto un impatto da quando era stata approvata due anni fa, anche prima che entrasse in vigore: c’era già stata una riduzione della prostituzione e un aumento di richieste di sostegno per uscirne, con sempre più donne che vogliono uscire da quel circolo vizioso. «Questa è una decisione storica del governo israeliano», commenta. «Lo sfruttamento delle donne nella prostituzione non è più accettabile». E spiega anche: «La legge non è concentrata solo sui clienti, che per la prima volta sono ritenuti responsabili per quel duro sfruttamento che prevale nel mondo della prostituzione. Ma è rivolta anche a tutte le donne e agli altri popoli nel mondo. Ciò che il governo sta dicendo loro è: “Vi vedo, e vi tendo una mano per uscirne”».
(www.al-monitor.com, 10 luglio 2020, traduzione di Chiara Calori)