19 Gennaio 2023
The Guardian

Jacinda Ardern si dimette

di Tess McClure


«Siate forti e siate gentili». Le parole della prima ministra erano arrivate al termine di una conferenza stampa frettolosamente programmata, annunciando il primo blocco della Nuova Zelanda di fronte a un virus sconosciuto e mortale. Per molti neozelandesi sono diventati uno slogan della prima pandemia, quando il Paese è riuscito a eliminare il coronavirus all’interno dei suoi confini. Negli anni a venire, sarebbero diventati anche sinonimo della politica di Jacinda Ardern – per i suoi ammiratori, incapsulando una miscela caratteristica di empatia e forza, e per i critici, un esempio di retorica impennata non sempre sostenuta dalle riforme legislative desiderate.

Nel 2017 Ardern è divenuta la donna leader più giovane del mondo e ha continuato a fare la storia come seconda donna a partorire mentre ricopriva una carica elettiva. Sei anni dopo, questo giovedì, ha fatto un annuncio scioccante: si dimetterà alla fine del mese, ponendo fine al suo incarico di due mandati prima delle prossime elezioni di ottobre.

Ardern è apparsa sulla scena politica della Nuova Zelanda poche settimane prima di un’elezione che i laburisti avrebbero dovuto perdere quasi universalmente. «È stato uno di quei rari momenti in cui tutto cambia grazie alla forza di una sola personalità», afferma lo scrittore politico neozelandese Toby Manhire. «Quando il suo antagonista, l’allora primo ministro Bill English, parlò della sua “polvere di stelle” intendeva insultarla, ma ci aveva visto giusto». Cavalcando un’onda di popolarità soprannominata “Jacindamania”, ha guidato il partito a ottenere una vittoria contro ogni previsione.

Nei sei anni successivi, la sua leadership è stata modellata e definita da una serie di crisi nazionali e internazionali e le sue risposte in quei momenti di pressione, che hanno ripetutamente enfatizzato i valori di empatia, umanità e gentilezza, costituiranno probabilmente l’eredità straordinaria della sua carriera politica.

«È sempre stata… una leader che dà il meglio di sé nei momenti di crisi e, sfortunatamente, di crisi ne ha avuto la sua parte», afferma Madeleine Chapman, autrice della biografia non autorizzata Jacinda Ardern: A New Kind of Leader.

Nel marzo 2019, circa 18 mesi dopo l’elezione di Ardern, la Nuova Zelanda è stata colpita dal peggior attacco terroristico della sua storia, quando un suprematista bianco sparò sui fedeli in due moschee di Christchurch, uccidendone 51. Le parole «loro siamo noi», scarabocchiate da Ardern su un foglio di carta A4 nei minuti successivi all’attacco, ha costituito il fulcro del suo discorso quel pomeriggio, che ha abbracciato le comunità di immigrati e rifugiati presi di mira dall’attacco. Le immagini di lei vestita con un hijab che abbraccia una donna alla moschea hanno fatto il giro del mondo.

La sua risposta politica – denunciare immediatamente il tiratore come terrorista e introdurre una legislazione bipartisan sul controllo delle armi – è stata in netto contrasto con l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump. «La risposta all’attacco terroristico… è stata semplicemente straordinaria», afferma Manhire. «Empatica, umana, ma anche d’acciaio, risoluta nell’affrontare le questioni scomode che ha portato alla luce». Questi attributi avrebbero tracciato un modello per i momenti più significativi della leadership di Ardern negli anni successivi.

«Ha un’intelligenza emotiva estremamente sviluppata – e quella era davvero la qualità di cui avevamo bisogno, in particolare nel periodo di Christchurch, ma anche durante la pandemia», afferma il commentatore politico Ben Thomas, ex membro dello staff del precedente governo nazionale. Nel primo anno della pandemia, ha unito con successo i neozelandesi nei confinamenti straordinari per eliminare il Covid-19, una decisione politica che ha portato la Nuova Zelanda a raggiungere tassi di malattia e di mortalità tra i più bassi al mondo.

In quel periodo ha conquistato la sua enorme popolarità, oltre a «una fama globale decisamente sproporzionata rispetto alle dimensioni della Nuova Zelanda», afferma Manhire. Sulla stampa d’oltremare, ha brillato come una stella, presentando un avvincente esempio di leadership progressista in un’era di crescenti timori per l’ascesa dell’estrema destra, la disinformazione e l’erosione delle norme democratiche.

Una leader rara, un’eredità contraddittoria

Nel suo paese, in particolare con il trascinarsi degli anni della pandemia, la sua eredità e la sua immagine pubblica erano più complesse. Il governo di Ardern ha lottato per avanzare nel contrasto alla crisi degli alloggi, che aveva portato un numero enorme di persone a vivere per strada, in auto o in alloggi temporanei. Una vena di conservatorismo fiscale – che ha escluso una patrimoniale e la tassazione sulle plusvalenze e ha limitato il prelievo e la spesa pubblica – ha limitato le possibilità del suo governo di attuare programmi sociali costosi e su larga scala, a parte la risposta al Covid. Nonostante i grandi impegni sul cambiamento climatico, il paese non è riuscito a ridurre significativamente le proprie emissioni.

Su alcune delle questioni più care alla premier ci sono state concrete conquiste legislative. La povertà infantile, il problema a cui ha attribuito il merito di averla spinta a impegnarsi in politica, si è ridimensionata enormemente in Nuova Zelanda, anche durante la crisi del Covid 19 e la recessione economica che ne è conseguita. Il governo può rivendicare le principali vittorie laburiste per i lavoratori: occupazione record, 26 settimane di congedo parentale retribuito, aumento del congedo per malattia, maggiore potere contrattuale per i settori a basso salario, salario minimo aumentato di oltre il 30%. Ma gli altri tentativi di riforma, quelli per aumentare drasticamente il numero di alloggi popolari, per innovare la gestione dei corsi d’acqua e stabilire un meccanismo per valutare le emissioni agricole, si sono impantanati nelle difficoltà.

«Quando si è trattato di progettare e produrre una legislazione complessa o una sofisticata riforma legislativa, i progressi sono stati molto, molto più lenti», afferma Thomas. Questa eredità contraddittoria rivela alcune delle possibilità e dei limiti di “essere gentili” come principio politico guida. «L’idea di gentilezza ed empatia può avere dei limiti perché la politica riguarda spesso i compromessi», afferma Thomas, in particolare nelle lotte quotidiane di gestione, costruzione di coalizioni e compromesso.

Mentre la pandemia continuava, sono emerse nuove sfide: è emersa una piccola ma molto rumorosa frangia di gruppi no vax e antigovernativi, che è culminata in un’esplosione di violente rivolte nei giardini davanti al parlamento e ha diretto un flusso tossico di minacce di morte e retorica violenta contro la prima ministra. L’elevata inflazione e i venti contrari economici – molti dei quali di origine internazionale, ma fortemente sentiti in Nuova Zelanda – hanno inasprito l’umore generale dell’elettorato, portando a un calo di popolarità di Ardern e del Labour durato mesi. Entro la fine del 2022, diversi sondaggi successivi avevano indicato il partito nazionale di centrodestra come l’opzione più probabile per formare un nuovo governo, insieme a una coalizione di destra libertaria.

Le imminenti elezioni – previste per ottobre – sarebbero state probabilmente una battaglia molto più ardua di quanto Ardern avesse mai affrontato in precedenza. Nel 2017, è stata scelta come leader laburista a poche settimane dalle elezioni, scavalcando i duri mesi dello scontro elettorale. Nelle ultime elezioni generali del 2020, il sostegno schiacciante alla risposta al Covid ha portato i laburisti a una vittoria quasi senza precedenti. Fin dai suoi primi giorni nell’arena politica, Ardern ha sempre espresso la sua avversione per gli aspri scontri e la caccia al voto associati alle competizioni politiche, afferma Chapman. «Aveva sempre detto che non le piaceva quel tipo di politica, quel tipo di campagna elettorale. Ed è esattamente ciò che sarebbero state queste elezioni, quindi non sono sorpreso che non si sentisse incredibilmente entusiasta».

E c’erano altri fattori in gioco. Dopo sei anni di crisi e calamità, la Ardern era rimasta senza benzina. «So che ci saranno molte discussioni all’indomani di questa decisione su quale ne sarà stata la cosiddetta “vera ragione”. Posso assicurarvi che quello che vi sto dicendo oggi è l’unico aspetto veramente rilevante: dopo sei anni di grandi sfide, sono umana», ha detto. «So cosa richiede questo lavoro e so che non ho più abbastanza benzina nel serbatoio per rendergli giustizia. È semplicemente così».

Sua figlia Neve, che ha accompagnato Ardern all’assemblea generale delle Nazioni Unite, sta per iniziare la scuola. Ardern ha detto giovedì che quello che ha sacrificato di più è stata la sua famiglia. Concludendo le sue dichiarazioni, si è rivolta direttamente a loro. «Neve: la mamma non vede l’ora di esserci quando inizierai la scuola quest’anno». E a Clarke: «Sposiamoci, finalmente».

Mentre ha annunciato le sue dimissioni – con la voce che ogni tanto si spezzava per l’emozione – Ardern è tornata sui principi che hanno costituito i pilastri centrali del suo mandato. «Spero di lasciare ai neozelandesi la convinzione che puoi essere gentile, ma forte, empatica ma decisa, ottimista ma concentrata», ha detto. «E che puoi essere il tipo di leader che vuoi, anche una che sa quand’è il momento di andarsene».


Versione originale:

https://www.theguardian.com/world/2023/jan/19/from-stardust-to-an-empty-tank-one-of-a-kind-leader-jacinda-ardern-knew-her-time-was-up


(The Guardian, 19 gennaio 2023, traduzione a cura della redazione del sito della Libreria delle donne. Titolo originale: From stardust to an empty tank: one of a kind leader Jacinda Ardern knew her time was up)

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