6 Ottobre 2016
27esimaora

La gestazione per altri trasforma la gravidanza in lavoro. E non può mai essere «etica»

di Daniela Danna

Per chi non avesse ancora dimestichezza con gli acronimi che vorrebbero sterilizzare le relazioni umane, GPA sta per “gestazione per altri”, ed è un concetto giuridico che da alcune parti si vuole introdurre in Italia, importandolo dagli Stati Uniti del mercato selvaggio. La “gestazione” sarebbe un servizio – non è “maternità”, come se non si concludesse con essa – ed è per altri, cioè la gravidanza non è la propria. La donna incinta è un contenitore di embrioni altrui, che secondo la legge californiana sono anche giuridicamente proprietà di altri. Evoco gli Stati Uniti perché è lì che il concetto di “maternità surrogata” è nato negli anni settanta, inventato da un avvocato, Noel Keane, che cominciò per primo a reclutare “portatrici” lucrando sui loro contratti. “Surrogazione” si è poi evoluto in “GPA” per la cattiva stampa che questa parola aveva avuto con il caso Baby M, dibattuto in tutto il mondo a metà degli anni ottanta. A fine settembre una serie di associazioni, tra cui per l’Italia Famiglie Arcobaleno e i radicali, hanno esplicitato che cosa intendono per “GPA etica”. Yuri Guaiana, portavoce di Certi Diritti, ha sostenuto che il tipo di GPA proposta è etica perché «i diritti della portatrice sono tutelati» (in un confronto radiofonico con la sottoscritta). La donna che si presta a promettere i figli ad altri è chiamata “portatrice”, e il suo “diritto” è quello di essere separata, separarsi dal suo neonato o neonata, altrimenti detto “figlio” (punto 4).

Questo non è un diritto, è un dovere. In questa “GPA etica” (le parole hanno veramente perso ogni significato) una donna non può cambiare idea nel corso dei nove mesi di gravidanza o dopo il parto: si è obbligata alla consegna firmando un contratto e “prendendo razionalmente una decisione”, secondo Guaiana. Il suo vero diritto, esplicitato ai punti 8 e 9, è quello di essere pagata come qualunque altra o altro prestatore d’opera, che certo non può tenersi il risultato del suo impegno se lavora sotto contratto. Ovviamente non si usa il linguaggio del lavoro ma del “rimborso”, in Israele infatti si risarcisce il danno biologico cui la “portatrice” si sottopone, non la si paga ufficialmente per vendere i bambini prodotti su ordinazione. Ma le relazioni umane non devono obbedire a contratti – che giustamente in Italia sono proibiti se hanno oggetto la GPA. Perché una madre non deve poter continuare ad essere madre dei neonati che ha partorito, se cambia idea? Nel maggio 2015 una corte britannica ha tolto la figlia di sei mesi a S. (la stampa ha mantenuto l’anonimato della donna) che voleva continuare ad essere madre nonostante la promessa fatta, per darlo alla coppia committente: è questa un’altra forma di “GPA etica”? In Inghilterra infatti, si dice nella legge di quel paese, è ammessa solo la GPA “altruistica”. Le parole hanno perso ogni significato. Manteniamo allora l’invalidità di questi scambi “razionali” – la dimostrazione faustiana di razionalità delle donne è ancora l’argomento che venne usato da Carmen Shalev nel 1989, contribuendo a introdurre la GPA nel suo paese, Israele. Le donne devono essere razionali: se hanno previsto di separarsi dalle loro creature, lo faranno. Questa non è razionalità, questo è un obbligo inumano se la donna cambia idea. E non cambia idea, come sento dire, per gli ormoni femminili, ma perché ha una relazione con la creatura che farà nascere.

Noto anche che la “GPA etica” è riservata a chi non ha un utero: tutti possono mettere sotto contratto una donna perché fornisca loro figli, tranne le donne stesse (con l’eccezione di quelle nate senza l’utero). Questo è il prodotto del lavoro di ben nove associazioni, tra cui Men having babies (che fornisce anche “aiuto finanziario” a chi vuole comprarsi un bambino) ma sembra che nessuno in realtà ci abbia lavorato un granché. Facciamo un altro sforzo di riflessione su cosa significa rendere la gravidanza un lavoro, quali saranno le conseguenze di questo passo – che possiamo vedere in Gran Bretagna, Stati Uniti, Grecia, India… ve ne prego.

(27esimaora, 6 ottobre 2016)

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