25 Settembre 2025
Contexto y Action

L’ampliamento della guerra in Ucraina è pronto e ben annunciato

di Rafael Poch*


L’ignoranza della storia e la concezione manichea delle relazioni internazionali di molti politici, militari, esperti e giornalisti europei lasciano presagire un’estensione del conflitto tra Russia ed Europa.

Il 17 luglio, il capo delle truppe degli Stati Uniti in Europa, generale Christopher Donahue, ha dichiarato a Wiesbaden che la NATO ha un piano dettagliato per attaccare e conquistare la regione russa di Kaliningrad «in un lasso di tempo senza precedenti, più rapido di quanto siamo mai stati capaci». Kaliningrad è un punto militarmente vulnerabile della Russia, incastonato tra Polonia e Lituania, territorialmente disconnesso dal resto della Federazione Russa. Per questo Mosca mantiene lì numerosi soldati, 75 navi da guerra, aviazione supersonica da combattimento e missili nucleari tattici Iskander M.

Poiché la Russia attacca sistematicamente l’industria militare ucraina, Kiev sta delocalizzando in paesi della NATO alcune fabbriche. L’azienda ucraina Fire Point aprirà a dicembre uno stabilimento di carburante per missili in Danimarca. Anche la Germania produrrà armi per l’Ucraina. È la prima volta che paesi della NATO ospitano industrie di un paese in guerra o producono armi sul proprio territorio per conto di altri. Tutti dichiarano che i missili che verranno fabbricati e/o forniti all’Ucraina in (e da) Europa possono e devono colpire la profonda retroguardia russa, città come Mosca e San Pietroburgo. Lo affermano il cancelliere tedesco, il suo ministro della Difesa, i principali politici europei, la responsabile degli Esteri dell’UE e i generali tedeschi, i quali prevedono che il conflitto militare aperto dell’Europa con la Russia comincerà nei prossimi quattro o cinque anni.

[…]

Coloro che prendono le decisioni a Mosca, e il presidente Putin in particolare, sono stati finora molto più moderati dei loro strateghi. Ma gli avvertimenti si susseguono. È ovvio che la Russia non lascerà senza risposta attacchi contro le proprie città condotti con missili tedeschi o prodotti in Danimarca. Una risposta che non avverrà in Ucraina, ma contro i paesi d’origine di tale capacità. L’ampliamento/trasformazione della guerra in Ucraina è servito e ben annunciato.

I politici che sostengono la linea della NATO nell’Unione Europea, ovvero la presidente della Commissione Von der Leyen, la responsabile degli Esteri Kallas e gli attuali dirigenti di Germania, Francia e Inghilterra, stanno mettendo a rischio la sicurezza dell’Europa, provocando la Russia e chiedendole di attaccarli. Si tratta di un’intera generazione europea di politici, militari, esperti e giornalisti che, nella loro grande maggioranza, ignorano la storia e hanno interiorizzato una concezione manichea profondamente stupida delle relazioni internazionali, che li porta a perdere di vista la realtà.

«Nei circoli politici e mediatici di Washington, Bruxelles, Parigi e Londra, gli argomenti storici sono diventati inutili. I loro interlocutori semplicemente non capiscono di cosa si stia parlando e mancano sia delle conoscenze di base sia della vitalità intellettuale per provare a comprenderlo. Chi non sa che la relazione tra Russia e Ucraina (a volte molto conflittuale, a volte consensuale) si è protratta per oltre 400 anni, probabilmente non si rende conto che, impegnando i propri paesi a trasformare l’Ucraina in una barriera militare contro la Russia, stanno assumendo un impegno non solo per le generazioni future, ma per i secoli a venire», afferma l’analista britannico Anatol Lieven.

Uno dei grandi malintesi è non accettare la realtà e gli interessi della Russia, il più grande e popoloso paese del continente che (al di là dei motivi endogeni, che esistono) è stato spinto per tre decenni a riprendere il proprio militarismo ideologico ed economico, che Mosca aveva abbandonato durante la fallita trasformazione successiva alla grande riforma democratizzante e alla fine dell’URSS.

L’Europa ha trasferito agli Stati Uniti tutte le decisioni strategiche in materia di sicurezza e politica estera continentale. Il problema era che Washington considerava che la Russia non fosse più una grande potenza, mentre i russi si consideravano e si considerano tuttora una grande potenza e non hanno, né avevano, alcuna intenzione di rinunciare alla propria sovranità e autonomia mondiale.

A questo punto, il lettore potrebbe pensare: «ma non è forse la Russia che in questi giorni ha lanciato droni sulla Polonia e sulla Romania, disturbando gli aeroporti di Oslo e Copenaghen, e violando lo spazio aereo dell’Estonia?» Sì, probabilmente si tratta di avvertimenti alla cosiddetta “coalizione di volontari” che proclama la propria intenzione di intervenire militarmente in Ucraina e di test della loro posizione militare, che mettono in evidenza la loro grande vulnerabilità per assenza di sistemi di difesa aerea e antimissile. Tutto ciò dovrebbe invitarli a riflettere sulle conseguenze delle loro azioni.

In realtà, considerate nel loro contesto, tutte queste “provocazioni” sono state piuttosto innocue. I droni sulla Polonia non erano armati e, nel quadro generale, la presunta violazione dello spazio aereo estone è stata una minuzia. L’Estonia cerca di ampliare la propria zona economica esclusiva aerea e marittima nel Baltico, cosa che la Russia non riconosce, e i dodici minuti di violazione dichiarati impallidiscono rispetto alle oltre 200 violazioni turche dello spazio aereo greco registrate nel 2022 intorno all’isola di Samos. La Turchia e la Grecia sono membri della NATO, ma tali incidenti non hanno mai generato grandi titoli mediatici né accese dichiarazioni o convocazioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e del Consiglio della NATO, come è stato invece per l’Estonia, coincidente proprio con l’annuncio del Pentagono di ridurre l’aiuto degli Stati Uniti nel Baltico…

Il problema è che la retorica aggressiva fa parte della natura stessa di una spirale bellica. «A qualsiasi violazione militare della frontiera si risponderà con mezzi militari, incluso l’abbattimento di aerei da combattimento russi», ha detto il politico della CDU tedesca Jürgen Hardt. «Sono stati avvertiti: se un altro missile o aereo entra nel nostro spazio aereo senza permesso, sia deliberatamente sia per errore, e viene abbattuto, non venite qui a lamentarvi», ha dichiarato mercoledì il ministro degli Esteri polacco Radoslav Sikorski durante la sessione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Una volta che iniziano gli spari, anche in modo fortuito e indesiderato da tutti, la pressione è sempre verso una maggiore distruzione. E ci troviamo chiaramente in quella situazione.

Man mano che maturano le condizioni per un ampliamento territoriale del conflitto militare in Ucraina o per il previsto secondo attacco israeliano contro l’Iran cresce allegramente l’accettazione politica e mediatica dello scenario di una grande guerra con possibile uso di armi nucleari tattiche. La stessa dottrina nucleare russa è stata significativamente riformata in tal senso. La dottrina del governo britannico, approvata quest’anno nella National Security Strategy, avverte che «per la prima volta dopo molti anni dobbiamo prepararci attivamente alla possibilità che il nostro territorio sia oggetto di una minaccia diretta in un potenziale scenario di guerra». La cronaca europea è ormai piena di questo tipo di preparativi e annunci: la spesa del 5% in “difesa”, la fine degli statuti di neutralità (Austria, Svizzera), la ricerca di risorse nucleari (Polonia) o l’avvio del dibattito in Germania… Ma il fenomeno va oltre l’Europa.

Dalla sua Legge di Pace e Sicurezza del 2015, il Giappone ha archiviato la nozione di “autodifesa” che aveva caratterizzato l’interpretazione della Costituzione del dopoguerra. Ora si giustifica l’uso della forza militare non solo in caso di attacco diretto al Giappone, ma in qualsiasi eventualità di “crisi esistenziale”, un concetto ampio e ambiguo che include, ad esempio, la chiusura dello stretto di Ormuz (via di approvvigionamento energetico del paese) e persino cyberattacchi. Perfino la prudente e sempre moderata Cina ha dovuto mostrare i muscoli con un’insolita esibizione delle sue armi di ultima generazione nella recente parata dell’anniversario della vittoria a Pechino. Tutto indica l’ampliamento del conflitto e delle tensioni militari. E non solo in Europa.


(*) Rafael Poch-de-Feliu (Barcellona) è stato corrispondente de La Vanguardia a Mosca, Pechino e Berlino. Autore di vari libri: sulla fine dell’URSS, sulla Russia di Putin, sulla Cina, e di un saggio collettivo sulla Germania della crisi dell’euro.


(Contexto y Action, https://ctxt.es/es/20250901/Firmas/50300/rafael-poch-guerra-de-ucrania-drones-rusia-alemania.htm , traduzione di Luigi Mosca, 25 settembre 2025)

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