10 Novembre 2021
Wired

Le donne pagano un prezzo più alto per la crisi del clima

di Antonio Piemontese


Glasgow – Margaret è nata e vive in un villaggio in Kenya. La responsabilità di procurare acqua alla famiglia è sua. Per dare modo al marito e ai figli di cucinare, bere, lavarsi percorre diverse volte al giorno, a piedi, i due chilometri che la separano dal laghetto vicino. Per questo non può lavorare. Un piccolo prestito da una ong le ha permesso di acquistare un serbatoio per l’acqua piovana grazie a cui si è sgravata dei viaggi quotidiani, ha potuto avviare un’attività di sarta e contribuire diversamente al bilancio familiare, oltre a guadagnare indipendenza economica.

Il legame tra genere e cambiamento climatico

Quella di Margaret non è una storia isolata, come emerge durante i negoziati di Cop26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite in corso a Glasgow. Il nesso tra genere e cambiamenti climatici esiste, anche se poco pubblicizzato. «Oltre il 70% dei poveri del mondo è rappresentato da donne, così come l’80% dei migranti climatici – raccontava a Wired allo Youth4Climate a Milano Julieta Martínez, giovane attivista cilena, citando dati delle Nazioni Unite, oggi in Scozia per seguire i lavori di Cop26  –. Ma queste cose nessuno le sa».

Storie difficili da raccontare, ancora più da credere. «Alle ragazze latinoamericane e asiatiche spesso non viene insegnato a nuotare» scrive la International Union for Conservation of Nature, una ong svizzera. In Bangladesh, prosegue l’associazione, durante le alluvioni molte donne sono morte per annegamento aspettando i mariti, senza i quali non potevano uscire di casa, invece di mettersi in salvo. E l’Europa? Durante l’ondata di caldo del 2003, solo il 25% dei deceduti era di sesso maschile. Non va meglio negli Stati Uniti. Durante l’uragano Kathrina nel 2005, più di metà dei nuclei familiari poveri era costituito da madri single, dipendenti dalle reti sociali e di solidarietà costruite nel quartiere per le esigenze quotidiane. La tempesta ha distrutto questo tessuto, gettando le giovani nella disperazione.

Da inclusione a leadership

«Donne e ragazze sono spesso colpite in maniera sproporzionata dal cambiamento climatico e si confrontano con grossi rischi e difficoltà a causa del suo impatto, specialmente in situazioni di povertà», recita una dichiarazione firmata a Glasgow sotto l’egida di Un Women, l’agenzia delle Nazioni Unite dedicata alle donna, e delle autorità scozzesi.

Non è la prima volta che il tema trova spazio nelle conferenze internazionali. Nel 2014 è stato creato il primo Lima Work Program on Gender per aumentare il bilanciamento e la presenza di tematiche di genere nel lavoro delle parti e del segretariato. Un percorso che pare aver mostrato i suoi frutti. E che esula dalla povertà. «Se anche solo due anni fa, nella Cop25, si parlava di inclusione femminile, a Cop26 si parla di leadership. Mi sembra un bel passo avanti», ha affermato la sociologa Agustina Lo Bianco a Cop26 parlando di donne e scienza. «Ma nel nostro paese una dottoranda che resta incinta è costretta a vivere d’aria per cinque mesi», nota Elena Egidio, giovane candidata al PhD presente in Scozia come osservatrice.

Le delegazioni più rosa

E poi c’è la politica. A Cop26 le donne nelle delegazioni sono aumentate, passando dal 12% in media delle prime edizioni al 38% di oggi. Yemen, Turkmenistan, Corea del Nord e Vaticano hanno compagini completamente maschili. Ma anche il Giappone non brilla: tra 225 delegati, solo 45 sono donne. Maglia rosa, invece, a Moldavia (89%), Samoa (79%) e Messico (78%), che registrano la più alta presenza femminile. E una delle donne che più ha fatto sentire la sua voce è la prima ministra di Barbados Mia Mottley, autrice di un discorso ispiratissimo e potente, in cui ha inchiodato i grandi leader alle proprie responsabilità nei primi giorni dei negoziati.

Se un portato c’è già dal punto di vista del genere, è quello di aver aperto i dati sulle conseguenze della crisi del clima sulle donne. Numeri disponibili da anni che, però, nessuno si era dato pena di leggere. «Vogliamo che sia riconosciuto l’impatto differente del climate change sulla base di fattori come età, genere, disabilità e provenienza», scrive ancora Un Women. Alla luce del nuovo clima politico, riflessioni da lungo attese, in grado di scuotere anche i più tiepidi.


(Wired.it, 10 novembre 2021)

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