18 Maggio 2021
Corriere.it

Le «magnifiche 4» del digitale che combattono i pregiudizi dell’algoritmo

di Irene Soave


Foxglove è il nome inglese della digitale, pianta che secondo le dosi è mortale o curativa. L’hanno scelto quattro professioniste per il loro collettivo contro gli usi antidemocratici della tecnologia. E a noi piace pensare che sia la digitale a curare qualche stortura del digitale.

(La redazione del sito)


Le fondatrici di Foxglove sono Cori Crider, avvocata texana e autrice di un documentario sull’intelligenza artificiale per Al Jazeera, 39 anni; Rosa Curling, avvocata britannica, 42, e Martha Dark, 33, già manager in diversi gruppi per i diritti umani. Già da prima, colleghe e amiche. A loro si è poi unita una ricercatrice, la 27enne Hiba Ahmad. «Tutto è nato nel 2019, durante una serie di brunch nelle nostre case», racconta Dark. «Discutevamo sempre più spesso casi di lavoro che mostravano l’uso antidemocratico della tecnologia». La rete è nata rapidamente.

La prima causa intentata da Foxglove è stata vinta ad agosto 2020. L’Home Office britannico si è visto costretto dal giudice a dismettere un algoritmo chiamato Streaming Tool, che dal 2015 divideva le richieste di visti sulla base di una serie di fattori, primo fra tutti la nazione di provenienza, che risultavano «discriminatori». I richiedenti da Paesi «sospetti» (che più probabilmente avrebbero cercato di restare in Regno Unito) ricevevano un rating negativo. «Stava diventando una corsia preferenziale per bianchi», aveva commentato la direttrice Cori Crider.

Algoritmi simili sono usati dalle amministrazioni pubbliche di molti Paesi europei in ogni ambito, dal welfare alla scuola, e vari gruppi di cittadini come Foxglove ne discutono l’equità. Nei Paesi Bassi ad esempio il governo ha dovuto cessare di usare Syri, un algoritmo che «schedava» i cittadini a basso reddito determinandone l’idoneità a ricevere sussidi e la possibile tendenza a frodare il fisco. «E ad Amsterdam l’amministrazione cittadina ha accettato di informare sempre il pubblico sugli uffici pubblici che si avvalgono di algoritmi», spiega Dark. «Sarebbe un traguardo avere ovunque un obbligo così. Spesso non sappiamo in quali ambiti il governo usi servizi tech di grandi aziende, e che criteri imposti. La tecnologia, che serve in teoria per rendere la burocrazia più efficiente, diventa un modo fintamente neutrale di applicare politiche a svantaggio dei deboli».

Questi temi sembrano spesso astratti o tecnici. «Ma è stato con la causa per gli esami di maturità che abbiamo visto la gente davvero protestare, per la prima volta, contro gli algoritmi», spiega Dark. La scorsa primavera, causa Covid, il governo britannico ha sospeso gli esami. Gli studenti sarebbero stati valutati da un algoritmo, studiato dall’agenzia governativa Ofqual, che avrebbe tenuto conto delle loro performance di tutte le superiori. Il punteggio finale sarebbe servito per l’ammissione all’università. L’algoritmo però, dati alla mano, sembrava favorire gli studenti delle scuole private rispetto a quelli di alcune pubbliche: Foxglove fornì assistenza legale non profit a Curtis Parfitt-Ford, uno studente che ha poi raccolto 250mila firme contro il piano, e il governo lo sospese. Ora Foxglove sta preparando una causa al governo: alcuni funzionari, e anche Boris Johnson, comunicano tra loro su app di messaggi «a scomparsa» come Signal, «in modo contrario alla trasparenza».

Un altro ambito d’azione di Foxglove, infine, sono i diritti dei lavoratori di aziende tech come Uber o Facebook: da un anno ad esempio supportano i moderatori di Facebook, nella sede irlandese dell’azienda, perché ottengano migliori condizioni di lavoro e un risarcimento per i danni psichici dovuti – fra l’altro – alle immagini che passano il tempo a rimuovere, perlopiù di violenza, sessuale e non, anche su bambini e animali. «Che siano i governi o le big tech, ogni giorno chi è in posizione di potere usa la tecnologia a svantaggio di tutti noi, trattandoci come numeri e non esseri umani, detentori di diritti. Il nostro compito è ricordare che i diritti li abbiamo, e farli valere».


(Corriere.it, 18 maggio 2021)

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