4 Maggio 2019
27esimaora.corriere.it

L’ecofemminismo di Vandana Shiva

di Giovanna Pezzuoli


L’attivista indiana per «Vetrine di libertà – La Libreria delle donne di Milano, ieri, oggi e domani», la mostra alla Fabbrica del Vapore fino all’8 giugno


Che cosa c’entra Vandana Shiva con quaranta artiste contemporanee esposte alla Fabbrica del Vapore? E che cosa pensa la più celebre attivista indiana dell’apparentemente inarrestabile ondata di proteste scaturite dalla battaglia di Greta Thunberg contro il cambiamento climatico?
La curiosità insieme al mio spirito di militanza mi hanno spinto a partecipare alla conferenza sull’ecofemminismo di Vandana Shiva, ma sinceramente non mi aspettavo una partecipazione così massiccia di un pubblico di tutte le età. Viviamo in tempi strani, pieni di contraddizioni ma che contengono anche, visto che siamo in tema di agricoltura, «semi» di speranza… 

Di seguito una cronaca dell’incontro. 


«È stupefacente che sia proprio la voce dei giovani la più alta di tutte in questo momento di emergenza. E non parlano solo di clima, ma di estinzione di intere specie, di veleni, di diseguaglianze economiche». Accolta come una rockstar da un pubblico di ogni età, Vandana Shiva, visionaria attivista e ambientalista indiana, già ospite in Libreria durante Expo 2015, è tornata per «Vetrine di libertà – La Libreria delle donne di Milano, ieri, oggi e domani», la mostra allestita alla Fabbrica del Vapore fino all’8 giugno. Con un discorso incentrato sull’ecofemminismo, spesso interrotta da scroscianti applausi, la fondatrice di Navdanya International, parla di un’emergenza ecologica, sociale, politica ed economica strettamente dipendente dallo stesso sistema capitalistico e patriarcale che separa e conquista. Ed è chiaro a tutte e a tutti, alle femministe, alle ambientaliste come alle ragazze e ai ragazzi di Fridays for future seduti un po’ ovunque fra le opere suggestive delle artiste esposte al secondo piano della Fabbrica del Vapore che non basta passare dai combustibili fossili alle energie rinnovabili per creare un nuovo paradigma agricolo ed economico, una cultura del «cibo come salute». 

Di radicalità delle scelte e acutezza dell’analisi parla Vita Cosentino della Libreria delle donne raccontando la biografia di Vandana Shiva e descrivendo la fattoria Nove semi (Navdanya) creata nel 1994 a simboleggiare la biodiversità. Oggi ci sono altre duemila varietà di piante e l’Università della Terra ha formato 750mila agricoltori, mente l’appello lanciato nel 1996 per la sicurezza alimentare nelle mani delle donne, si oppone alla politica delle multinazionali. Donne dunque depositarie di un sapere originario, come spiega Vandana Shiva nella sua opera più importante Terra madre. Sopravvivere allo sviluppo. E se oggi il pianeta è sull’orlo del collasso, Greta Thunberg rappresenta la speranza, moltiplicando l’adesione di ragazze e ragazzi che ogni venerdì anche a Milano si ritrovano in piazza Scala, preparando lo sciopero globale del 24 maggio. Con la consapevolezza, come scrive la madre di Greta, nel libro appena uscito La nostra casa è in fiamme che «la battaglia per l’ambiente è il movimento femminista più grande del mondo. Non perché in qualche modo escluda gli uomini, ma perché sfida quelle strutture e quei valori che hanno creato la crisi in cui ci troviamo». 

Così Vandana Shiva è soprattutto contro una «monocultura della mente», ovvero contro la disposizione a ridurre tutto a uno, dove la perfezione coincide con il maschio occidentale bianco, riversando disprezzo verso tutto ciò che è difforme. Ed è proprio qui il punto di contatto con il «pensiero della differenza» che ha smascherato la presunta neutralità del pensiero maschile. Ed anche qui che si svolge l’intreccio con l’arte perché, come scrive nel bel catalogo Francesca Pasini, curatrice della mostra, «l’arte non è universale perché supera la differenza fra uomini e donne ma perché la rappresenta attraverso l’ineliminabile movimento tra chi crea e chi guarda». Incontro con l’arte e con le artiste, che hanno accompagnato la nascita della Libreria delle donne nel 1975, sostenendola economicamente con i doni delle loro opere, oggi in mostra in una cartella di grafiche, ideata con Lea Vergine, che raccoglie i lavori di Carla Accardi, Mirella Bentivoglio, Valentina Berardinone, Tomaso Binga, Nilde Carabba, Dadamaino, Amalia Del Ponte, Grazia Varisco, Nanda Vigo. Accanto a queste, sono esposte le opere delle trenta artiste contemporanee che hanno fatto parte del progetto «Quarta vetrina», ideato dal 2015 da Francesca Pasini con la Libreria delle donne. 

Al secondo piano della Fabbrica del Vapore si sistema dunque l’eterogeneo pubblico venuto per ascoltare Vandana Shiva, con molti giovani seduti per terra tra i preziosi lavori esposti, che Francesca si raccomanda di non urtare… 

Chi sta accoccolato proprio sotto il collage di Marta dell’Angelo con «le sue cariatidi, donne di età e nazionalità diverse, che alzano gli occhi, le braccia, le mani in sincronia», mentre altri si siedono accanto al lenzuolo appeso di Concetta Modica che evoca un’antica cultura artigianale con quegli strani ricami fatti di linee. Sopra al palco colpisce la serie di «bandierine» appese di Margherita Morgantin che utilizzano l’alfabeto internazionale nautico per scrivere «inviolability of female body», mentre sul lato sinistro si staglia la tenda con strisce di Pvc nei colori primari rosso, giallo, blu, ovvero il «Soggetto imprevisto» di Annie Ratti, con «la striscia verde che si forma quando il blu si sovrappone al giallo ed è la chiave per collegare la figura al titolo». In fondo alla sala domina la grande tela di Angela Passarello, dipinta fronte e retro, e intitolata «Rupe affine», a ricordare la Rupe Atenea sopra Agrigento, dove Angela è nata. 

Una location davvero unica e affascinante per Vandana Shiva, che nella sua appassionata conferenza si rivolge alla mente e al cuore dei presenti. E ripercorre cinque o sei secoli di storia per smontare le «false narrazioni» di imperi costruiti grazie alla tecnologia e non fondati invece su colonialismo, guerre e violenza. Così come svela l’abbaglio che gli Ogm siano indispensabili per nutrirci. «I combustibili fossili e l’anidride carbonica nell’atmosfera non sono gli unici problemi – ribadisce l’attivista, che ha ricevuto nel 1993 il Right Livelihood Award, ovvero il Premio Nobel alternativo –. Secondo le nostre ricerche l’emergenza più grave è legata alla distruzione delle specie di insetti, api, farfalle. È la sesta estinzione di massa, e gli avi dei pesticidi e delle sostanze chimiche oggi utilizzati in agricoltura sono gli stessi gas usati nei campi di concentramento di Hitler. L’ho capito quando sono tornata in India nel 1984, vedendo il disastro ambientale di Bhopal, nel distretto di Madhya Pradesh, avvenuto a causa della fuoriuscita dallo stabilimento di 40 tonnellate di isocianato di metile, che provocò la morte di settemila persone ed è ancora oggi responsabile della nascita di bambini con malformazioni. Per questo ho cominciato ad interessarmi all’agricoltura. Chi produce i veleni? Ora la Bayer ha comprato la Monsanto. Ero a Parigi la scorsa settimana seduta con i giovani che scioperavano per il clima e poi in 600 hanno protestato davanti alla sede della Bayer. Un unico processo sta uccidendo la vita e modificando il clima… E l’azoto nell’atmosfera è ancora più pericoloso dell’anidride carbonica. La Bayer ci dice che creeremo cibo dall’aria, intanto hanno distrutto la terra che è diventata grigia e sperperato l’acqua per creare fertilizzanti». 

Altri applausi accolgono l’affermazione che distruzione della terra e crisi dei rifugiati sono interconnesse anche perché vent’anni di globalizzazione hanno cancellato ovunque le economie locali. Se ne parla nel nuovo libro di Vandana Shiva che uscirà in Italia con il titolo «Il pianeta appartiene a tutti», e non soltanto a quei 388 miliardari che nel 2010 controllavano metà della ricchezza del mondo, un gruppo di ladri e baroni, li definisce lei, che si assottiglia sempre di più, se sono soltanto 8 nel 2017 e nel 2020, secondo le previsioni, diventeranno una persona sola!

Conclude Vandana Shiva, facendo appello alla grandezza vera che è la solidarietà espressa dai grandi numeri di persone, capaci di portare il cambiamento, sostituendo un’identità fondata sull’odio, l’idea di Samuel P. Huntington ne Lo scontro delle civiltà, con un’esperienza di vita dove «sai chi sei solo se sai chi ami». Perché non è affatto vero, come sostiene Mark Zuckerberg, che l’Intelligenza Artficiale renderà inutili il 99% delle creature viventi… «Per questo – dice ancora Vandana Shiva – ho fondato l’Università della Terra, e saranno i giovani a dirci come curarla. Invece di scappare su Marte, restiamo e prendiamoci cura del pianeta. È questa la transizione eco femminista, un cambio totale di paradigma che, secondo gli scienziati, abbiamo solo 12 anni di tempo per mettere in atto, passando all’economa circolare che protegge la vita. A Navdanya sosteniamo che bisogna partire dal cibo e da un’agricoltura priva di veleni e combustibili fossili». 

Tra le domande rivolte a Vandana Shiva, vale la pena di citare quella, un po’ ingenua, di un ragazzo di Fridays for future, che chiede un consiglio «per far cambiare le persone, perché sono le persone che cambiano la politica», ricevendo la giusta risposta che prima, come insegnava Gandhi, occorre cambiare noi stessi. Quanto a chi chiede come possiamo a Milano nutrirci di cibi non avvelenati, la risposta sta nella difesa dei piccoli agricoltori affinché non abbandonino la terra e nella pianificazione di una cintura di fattorie attorno alla città per la produzione di cibo sano.

Tornando, infine, alla mostra, dedicata a Ida Farè, con la direzione creativa di Chitra Cinzia Piloni, è impossibile nominare tutte le artiste, ma vogliamo ricordarne alcune che ci hanno particolarmente colpito, come Christiane Löhr che crea le sue sculture usando semi d’edera, gambi di piante, crini di cavallo, soffioni. Altrettanto emozionante l’opera «My escape» di Ina Otzko, un’artista che viene dal Nord e nelle sue immagini «mette a fuoco un’inaspettata alleanza tra la luce di Sandnessjøen (Norvegia del Nord) e di Positano, due luoghi tra i quali vive e che fanno da sponda alla ricerca di un luogo ideale, mai raggiungibile». Ancora impressiona «L’enigma e la Sfinge» di Maria Papadimitriou, che espone una giovane donna nella posa della Sfinge, ritagliata nella sua fisicità reale, in mutande, pudica, con occhi che diventano il fuoco dell’immagine. Caterina Saban, infine, in «Profondo bianco» accentua il mutismo delle immagini di piccoli «peluche» che mettono in primo piano il ricordo infantile, mentre Bruna Esposito crea migliaia di «Segnalibro» in cartoncino, utilizzando i colori base della stampa: ciano, magenta, giallo, bianco, nero, aggiungendo carta a specchio. Come scrive Francesca Pasini: «Il segnalibro è il punto fra ciò che si è letto e ciò che si attende. Un memo d’intimità che a volte rimane, per anni, nascosto tra le pagine, ma che fa riaprire il libro in quel punto».


(27esimaora.corriere.it, 4 maggio 2019)

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