27 Giugno 2017
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«Libere tutte» Intervista a Giorgia Serughetti

di Barbara Bonomi Romagnoli

«Davanti al Grand Canyon, Thelma e Louise sono costrette a fermarsi. Alle spalle infinite macchine della polizia, di fronte il vuoto. Si guardano, sorridono, intrecciano le loro mani e le protendono verso l’alto, spingendo sull’acceleratore. L’ultima immagine è quella di loro due nell’auto sospesa nel vuoto. […] Muoiono perché quello che è mancato alla loro libertà è la costruzione di un nuovo ordine simbolico, una volta girate le spalle a quello maschile» [pag 13, Libere Tutte]. 

La mancanza come misura della libertà: è forse questa una delle possibili chiavi di lettura di «Libere tutte. Dall’aborto al velo, donne nel nuovo millennio» (Minimum Fax, 2017), volume molto agile e ricco, scritto a quattro mani da Giorgia Serughetti, ricercatrice torinese, e Cecilia D’Elia, attivista romana. La mancanza – variamente declinata – alla base delle diseguaglianze sociali ed economiche che fortemente colpiscono il genere femminile, con conseguenze dirette sulle scelte da fare, sulla possibilità di accedere ai propri diritti, sulla piena cittadinanza ad agire. A partire da qui, D’Elia e Serughetti hanno scelto di affrontare cinque temi in particolare (aborto, gestazione per altri, matrimonio, prostituzione e velo), tutti hanno a che fare con la «libertà» delle donne. Quella facoltà – ma anche un sentimento – così complessa e desiderata, respinta e inseguita, personale e collettiva, che le autrici hanno cercato di dipanare in una riflessione lontana dai soliti estremi del dibattito a cui siamo abituate: Non crediamo né al mito neoliberale dell’individuo proprietario di sé, né alla prescrizione paternalista di qualche bene superiore per le donne – affermano convinte – Potremmo anzi dire che tra il paternalismo dello Stato e il laissez-faire del mercato c’è di mezzo la libertà delle donne», con tutti i suoi dilemmi da sciogliere.

Iniziamo da una delle parole più ricorrenti nel libro, «donne», su cui – come dite anche voi ad un certo punto – è necessario intendersi: quando ad esempio scrivete «le donne hanno rotto l’argine che separava sfera privata e sfera pubblica, esigendo il controllo sul proprio corpo e sulla propria vita» non era forse il caso di specificare «femministe»? Non per escludere ma per riconoscere le differenze in campo?
«Il nostro è un libro femminista percorso da un continuo riconoscimento alle battaglie femministe di ieri e di oggi. Quindi, quando parliamo di conquiste delle “donne” spesso diamo per inteso che stiamo parlando di “femministe”; del resto è un uso comune, quando si parla di movimenti sociali, dire per esempio “precari” o “persone Lgbtq”, pur sapendo che a portare avanti le lotte è un’avanguardia militante. Però c’è anche un elemento in più da ricordare, e cioè che il femminismo ha prodotto effetti dirompenti ben oltre i confini dell’attivismo più o meno organizzato, trasformando non solo le vite delle donne, ma le donne stesse. Che poi le donne siano tra loro differenti, che ognuna si trovi ad agire a partire da una collocazione sociale, che ognuna sia condizionata da reddito, colore della pelle, nazionalità, orientamento sessuale, ecc. è cosa su cui riflettiamo a lungo proprio per evitare di ricadere in una visione indifferenziata del genere femminile».

Declinate la questione della libertà su alcune tematiche fondamentali: una su tutte la maternità, nella doppia faccia della medaglia…
«Ogni volta che menzioniamo la libertà di diventare madri, menzioniamo anche quella di non diventarlo, non solo nel senso della scelta di ricorrere all’interruzione di gravidanza ma anche in quello di non desiderare figli nella propria vita. Di più, riconosciamo una conquista essenziale della soggettività femminile libera la non coincidenza tra l’essere donna e l’essere madre. È senz’altro un punto fondamentale. Ma ogni tempo fa i conti con i propri dilemmi, e la questione degli ostacoli alla scelta di maternità (sia di natura economica e sociale, sia legati all’accesso alle tecnologie riproduttive) non si può eludere. Se è vero che ancora facciamo i conti con una forte pressione sociale verso il ruolo di madre, va detto che la pressione è verso un unico modello di maternità e genitorialità. L’abbiamo visto nella terribile legge che l’Italia si era data sulla procreazione assistita, come cura della sterilità di coppia eterosessuale, addirittura con il divieto di eterologa, o ancora sulla gestazione per altri».

Pensate anche voi che sarebbe il caso di avviare una seria riflessione sull’adozione – da aprire anche alle single – delle migliaia di bambine/bambini che potrebbero goderne? 
«Noi pensiamo che il desiderio inappagato di genitorialità non possa essere trattato con sufficienza né da chi è già genitore (con la sorta di pietà mista a disprezzo che leggiamo troppo spesso) né da chi genitore non lo vuole diventare. Perché non siamo tutte e tutti uguali, abbiamo desideri diversi. Detto ciò, noi sosteniamo che la genitorialità è cosa diversa dalla procreazione, e consideriamo la battaglia per le adozioni sacrosanta. Ricordando però che non elimina i dilemmi di cui abbiamo parlato».

Quali le reazioni al vostro testo dai diversi femminismi italiani? Voi in quale dei tanti vi riconoscete?
«Abbiamo letto o ricevuto commenti da donne diverse, sia appartenenti a gruppi femministi, sia esterne al movimento. Spesso ci è stato detto che è un libro “necessario”, e adatto anche a lettrici e lettori giovani. Per noi questa è la migliore ricezione possibile, perché “Libere tutte” discute questioni complesse ma cerca di farlo ricostruendo storie e scenari, spiegando i termini, facendo capire le posizioni in gioco, così da offrire un quadro di riferimento a chiunque sia interessata a questi temi. Noi due autrici abbiamo storie diverse da questo punto di vista, quindi ci sarebbe difficile definirci dentro un certo femminismo. Ma non è la prima volta che ci viene rivolta la domanda: quale femminismo sostenete? Quel che senz’altro possiamo dire è che per noi la battaglia di questo tempo è quella contro le diseguaglianze economiche e sociali, e pensiamo che un femminismo che non assuma in pieno questo problema si condanni a battaglie di facciata o vuote. Molte questioni “divisive” che trattiamo nel libro, pensiamo alla gestazione per altri o alla prostituzione, possono essere lette in un quadro di diseguaglianze globali. Pensare di intervenire invocando divieti penali anziché la lotta alle diseguaglianze e allo sfruttamento ci sembra profondamente sbagliato».

Perché secondo voi i movimenti progressisti misti ancora non assumono nella loro interezza le questioni legate alla «libertà delle donne»? All’assemblea promossa da Falcone e Montanari a Roma non spiccava certo la presenza femminista: sono i primi che non invitano le seconde o le seconde che non riescono a stare dentro certe cornici? Secondo voi è una scelta di libertà di sottrazione o una imposizione? 
«Che i movimenti o partiti misti assumano nella loro interezza le questioni legate alla libertà delle donne forse è impossibile. Ci sarà sempre uno scarto, un’asimmetria del femminismo rispetto alla scena politica data, di cui anche i progressisti, nelle loro varie componenti, fanno parte. Certo in Italia sembra esserci una difficoltà in più ad assumere il carattere sessuato dei conflitti. Noi lo denunciamo nel libro riguardo al modo in cui nel nostro Paese si è discusso della sconfitta di Hillary Clinton, in cui il suo essere donna, e da sempre una dichiarata sostenitrice dei diritti delle donne, è stato derubricato a dettaglio assolutamente ininfluente. E nel nostro campo progressista abbondano le leadership maschili, con conseguenti parricidi e i fratricidi, in un tempo in cui tutto sembra giocarsi nei conflitti tra gruppi dirigenti».

È evidente, ed è un pregio, lo sforzo di traduzione fatto per arrivare ad un pubblico vario, eppure avete scelto la forma saggistica, sembra quasi un manifesto di intenti: vi candidate a «guidare» un movimento? 
«Non ci pensiamo minimamente! Ma non ci pare nemmeno di aver fatto un libro manifesto. È un libro pieno di apparati critici, che mette a confronto posizioni diverse, prendendo sul serio tutte le parti, e solo alla fine prova a dare indicazioni per strade nuove da percorrere. Lo sforzo è stato quello di opporre al clima da tifoserie rivali che spesso si respira nel conflitto tra diversi femminismi una riflessione distesa, che lasci il tempo e anche la voglia di interrogarsi ancora. Più che una chiamata alla piazza, quindi, è un invito a pensare, rivolto ad un pubblico vario perché pensiamo che ci sia nella società più femminismo di quanto riesca a rappresentarsi politicamente e nello stesso tempo che il sapere e la riflessione femminista possano essere una risorsa per la società nel suo complesso».

Chiudete letteralmente con ottimismo: quali i passi da fare nell’immediato?
«Chiudiamo con lo sguardo ottimista di Mariella Gramaglia, amica alla quale abbiamo dedicato il libro, perché pensiamo che la libertà delle donne viva nel mondo. Che i conflitti in corso per controllare le scelte riproduttive femminili e rimettere le donne al loro posto, compresa la ferocia di molta violenza e i femminicidi, siano il segno di una guerriglia contro questa libertà. Donne diverse e in varie parti del mondo agiscono e quotidianamente negoziano i loro spazi di libertà. E ci sono uomini interessati a questa libertà femminile che libera tutti. Nell’immediato c’è però una cosa che ci preme: in Parlamento è ferma una legge sul cognome materno, e rischia di non essere discussa né approvata entro la fine della legislatura. Sembra che se ne siano dimenticati tutti quelli che ora chiedono di portare fino in fondo le leggi «di civiltà» che sono in sospeso. Riconoscere alle donne il diritto di trasmettere il proprio cognome ai figli è una misura di civiltà, che modifica rapporti secolari di potere tra i generi. Dovremmo fare pressione perché non sia lasciata cadere».

Il libro e l’appuntamento

Libere tutte. Dall’aborto al velo, donne nel nuovo millennio
di Cecilia D’Elia e Giorgia Serughetti,
(ed. Minimum Fax, 218 pp., 15 euro )

Dalla Polonia agli Stati Uniti di Trump, la libertà di scelta sull’aborto è sotto attacco. In tutto il pianeta la violenza di genere fa le sue vittime, portando le donne di nuovo nelle piazze. Su temi vivi e controversi che riguardano i corpi femminili – la prostituzione, la gestazione per altri, l’uso del velo islamico – si diffonde la tentazione di risposte repressive e punitive. Il femminismo del Novecento ha prodotto un cambiamento irreversibile, ma nel nuovo millennio le lotte delle donne non sono finite. La libertà femminile vive nel mondo, ma si scontra con resistenze e paternalismi di ogni sorta. Come riconoscere, difendere e promuovere l’autodeterminazione in un tempo in cui l’avanzata di forze conservatrici e integraliste mira a controllare la sessualità delle donne e la riproduzione, mentre il mercato cerca di trarne profitto? C’è ancora bisogno di femminismo. Questa parola, che alcuni hanno archiviato troppo presto, ritrova oggi il suo significato di battaglia per la libertà. Per tutte le donne. E per tutti gli uomini che vogliono camminare con loro.

Libere tutte sarà presentato martedì 27 giugno alla Casa Internazionale delle Donne di Roma

(27esimaora.corriere.it, 27 giugno 2017)

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