18 Gennaio 2019

Magnificat

di e con Lucilla Giagnoni

 

collaborazione ai testi Maria Rosa Pantè

musiche Paolo Pizzimenti

luci e video Massimo Violato

assistente alla regia Daniela Falconi

 

 

«Un giorno esisterà la fanciulla e la donna,

il cui nome non significherà più soltanto un contrapposto al maschile,

ma qualcosa per sé,

qualcosa per cui non si penserà a completamento e confine,

ma solo a vita reale: l’umanità femminile.

Questo progresso trasformerà l’esperienza dell’amore,

che ora è piena d’errore,

la muterà dal fondo,

la riplasmerà in una relazione da essere umano a essere umano,

non più da maschio a femmina.

E questo più umano amore somiglierà a quello che noi faticosamente prepariamo,

all’amore che in questo consiste,

che due solitudini si custodiscano, delimitino e salutino a vicenda.»

 

Rainer Maria Rilke

 

Come artista il mio compito dovrebbe essere interrogare e interrogarmi, più che dare risposte. Ogni mio spettacolo è il tentativo di dare una risposta alle domande lasciate aperte dallo spettacolo precedente e di porre sempre nuove domande. Per questo un filo lega tutti i miei lavori, da quando, nel settembre del 2001, alla visione delle Torri gemelle, ho maturato lo spettacolo “Vergine Madre”, il primo della “Trilogia della Spiritualità”, fino a quest’ultimo che chiude la “Trilogia dell’Umanità”, “Magnificat”.

Da Vergine madre a Magnificat: il filo rosso è una preghiera che, forse, porta una risposta.

 

I grandi testi su cui ho lavorato, dalla Divina Commedia alla Bibbia, ci parlano dell’essere umano come una creatura mancante, desiderante, facendoci intuire che qualcosa in questo nostro mondo è stato trascurato, abbandonato e, alla fine, esiliato. Perciò ne sentiamo la mancanza.

In Vergine madre dicevo che sentiamo nostalgia di Dio.

Non so cosa sia ciò che chiamiamo Dio.

Ma ora so che c’è una forza vitale, capace di generare e perciò divina, che è anche parte di noi, di cui sentiamo la mancanza, a cui è molto difficile dare un nome ma che possiamo chiamare il “Femminile”. Che cosa sia questo “Femminile” lo spiega bene Dante nelle terzine della preghiera/poesia alla Vergine del XXXIII canto del Paradiso, l’ultimo della Commedia: “Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura”. Il “Femminile” è quella forza che può fare l’impossibile, unire gli opposti, dare armonia ai contrari. Figlia e Madre, è relazione, nel bene e nel male.

 

Nell’ultimo mio lavoro “Furiosa mente” racconto che dall’essere mancanti e irrisolti emerge la necessità di essere in relazione, “in connessione” gli uni con gli altri, (il Femminile) ma anche la necessità di “combattere”, di agire sulla realtà per trasformarla (il Maschile): gli orientali conoscono meglio di noi queste due realtà, le chiamano Yin e Yang, e sanno che devono essere in armonia.

 

Ma queste due forze, “Maschile” e “Femminile”, negli ultimi millenni, noi esseri umani, che ci siamo chiamati Homo sapiens e non Donna sapiens, le abbiamo messe in contrapposizione, facendo sì che il “Maschile” soffocasse sempre più il “Femminile”, creando una condizione patologica, votata alla distruzione, di guerra perenne, spacciata per inevitabile e connaturata all’essere umano.

 

MAGNIFICAT

“Femminile” e “Maschile” sono degli archetipi, cioè stanno all’origine di ogni pensiero conscio e inconscio di ogni essere umano, iscritti nel nostro codice più profondo, sono il substrato di tutta l’umanità.

Le fiabe che ci sono state narrate da bambini sono scrigni di archetipi.

La fiaba in cui la fanciulla circondata dalle benedizioni e maledizioni delle fate si punge col fuso e cade addormentata per cento anni, parla di un archetipo del “Femminile” addormentato, nascosto, coperto da rovi (che in alcune versioni mentre è addormentato viene addirittura stuprato e genera figli).

In altre fiabe è mandato in esilio e condannato a vagare per sette lunghi anni (sette camice da sudare, sette paia di scarpe di ferro da consumare) oppure mangiato dal lupo (che bocca grande hai!), o avvelenato e risvegliato con un bacio…

Anche gli antichi miti sono depositi di archetipi: la dea della terra e delle messi vaga per il mondo piangendo il rapimento della figlia prigioniera nel mondo di sotto, quello dei morti, ma ride quando una vecchia contadina le mostra il suo seno e il suo sesso.

I grandi testi poetici raccolgono questa sapienza: il cammino di Faust, sollecitato da Mefistofele, termina precipitando nel mistero (che può essere salvifico e terribile) delle Madri.

Non so ancora a quali testi farò riferimento, certo è che c’è molto da scavare perché ciò che cerco è sotterrato da millenni. Sta sotto come le dee primigenie che hanno accolto Edipo facendone un eroe che dà la salvezza e che disvela la verità sull’essere umano.

 

A questa Terra che custodisce dentro di sé, sotterranea, la forza generatrice del “Femminile”, fanno riferimento le ultime parole di un’altra straordinaria preghiera/poesia, che è anche il finale di “Furiosa Mente”.

“Laudato sii mi signore per sora nostra matre Terra”: canta San Francesco. Terra è Humus, da cui la parola Homo, e non invece Donna che viene da Domina, Signora, quasi a compensare con un titolo ciò che non è. O non è ancora. Come non è che Homo, Humus, conosca e pratichi l’Humilitas, l’umiltà, cioè l’essere in armonia con la Terra. E così, dopo l’invito alla lode, al rendere grazie e alla cura, è proprio l’umiltà ciò a cui ci chiama il “Cantico delle creature”: Laudate e benedicete mi signore e rengraziate e serviateli cum grande Humilitate.

 

Ma l’umiltà, insieme alla lode, al ringraziamento, al servizio è tra le prime parole di una preghiera/ poesia ancora più antica: il “Magnificat”. “L’anima mia magnifica il signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore perché ha guardato l’umiltà della sua serva”.

Proprio perché Serva è Signora e Regina. Vergine, Madre.

“D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata”. Felice, grande in greco.

 

Forse, questa è una risposta: le Generazioni, cioè la Storia, cioè il nostro agire, dovranno d’ora in poi riconoscere tutto questo. Solo se dalla Terra riemergerà il “Femminile”, che oggi ci manca, ci sarà una possibilità per tutti di futura convivenza, non solo nella sopravvivenza, ma nella beatitudine, cioè nella felicità.


www.lucillagiagnoni.it

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