di Carlo Formenti
Fra la fine degli anni Novanta e i primi del Duemila Marisa Fiumanò, psicanalista lacaniana non sospetta – per cultura e biografia – di nutrire sentimenti bacchettoni, pubblicò una serie di libri e saggi sul tema della fecondazione assistita. Nei suoi scritti (per una bibliografia completa consultare il suo sito) ebbe il coraggio di andare controcorrente rispetto alla vulgata femminista che vedeva in quella pratica un nuovo strumento di “emancipazione” della donna, oltre che un mezzo per soddisfare il desiderio delle coppie infertili. In particolare, mise in luce come dietro quel fenomeno si nascondesse: 1) un’alleanza fra tecnologia e mercato finalizzata ad alimentare e sfruttare un bisogno umano; 2) un nuovo, pericoloso passo verso l’oggettivazione/mercificazione del corpo; 3) un altrettanto pericoloso passo verso la neutralizzazione della differenza e del desiderio sessuali; 4) la scarsa, per non dire nulla, attenzione nei confronti del “prodotto” (il bambino) e del suo diritto a “sapere” della propria origine.
Prevedibilmente, la sua battaglia – che non mirava tanto a proibire una pratica, quanto a diffondere la consapevolezza dei suoi probabili effetti controintuitivi – ebbe scarsi effetti: la fecondazione assistita fa ormai parte nella consuetudine e nessuno si pone più problemi in merito. Il fatto è che la potenza del binomio tecnologia-mercato, associata al trionfo dei valori individualisti e consumisti generati dalla società neoliberale, è assai difficile da contrastare. Infatti, qualche anno dopo, quando la filosofa Luisa Muraro osò criticare quegli atteggiamenti della gender theory che negano qualsiasi radice “naturale” delle differenze di genere, denunciando il diffondersi di una cultura del “travestitismo generalizzato” che, mentre si illude di essere sovversiva, è al contrario del tutto funzionale alla logica del tardo capitalismo e della sua ideologia liblab, fu accusata di omofobia. Accusa reiterata – assieme a quella di essere portavoce del cattolicesimo più retrivo – quando criticò Vendola e il suo compagno per avere fatto ricorso alla maternità surrogata (la nuova frontiera della colonizzazione del corpo da parte del mercato).
In quella occasione Muraro scrisse tre cose importanti: 1) la complicità fra desiderio diritto e mercato generano dismisura, esattamente come la legge dell’accumulazione allargata dell’economia capitalista (e come insegnavano i miti greci la dismisura, aggiungerei, è fonte di sventura); 2) l’estensione incontrollata dei diritti alimentata dal riconoscimento di desideri individuali rimuove il fatto che quei diritti si fondano in ultima istanza sulla legge del mercato e alimenta la disuguaglianza (il desiderio può essere soddisfatto solo da chi può permetterselo); 3) legittimare la maternità surrogata in base allo slogan “L’utero è mio e lo gestisco io” è mistificatorio perché quello slogan mirava a difendere le ragioni di una maternità liberamente desiderata, mentre qui si tratta di subordinare la fecondità personale a un progetto di altri che sono titolari del “prodotto” (il bimbo) e dettano le condizioni della produzione (la gestazione).
Sul tema intervenne anche Alessandro Visalli sul suo blog. Insistendo, fra le altre cose, sul fatto: 1) che il nostro corpo, e le sue facoltà, non possono essere considerati “oggetti” di cui si possa disporre liberamente in quanto nostre “proprietà”: questa è un’aberrazione tipica dell’individualismo liberale, che ignora la nostra natura di esseri sociali, in cui tutto – corpo, mente, sensazioni, emozioni, ecc. – è prodotto di relazioni con altri soggetti, quindi non ci “appartiene” nel senso economico del termine; 2) che ciò è tanto vero che la legge proibisce la vendita dei propri organi, ma quello che vale per un rene vale a maggior ragione per l’utero (che questo non venga venduto ma affittato non cambia la mostruosità della riduzione del corpo della donna a “contenitore”); 3) Il rapporto commerciale che si istituisce è inevitabilmente sospetto di essere ineguale, cioè fonte di sfruttamento. La donna non è in miseria? Sceglie “liberamente” di vendere il proprio corpo come contenitore, di erogare un “servizio”? Tutto ciò somiglia terribilmente all’operaio che vende “liberamente” la sua forza lavoro a un padrone; 4) in tutti questi discorsi è sistematicamente assente la terza figura, il bambino, ridotto a prodotto.
La trincea dell’utero in affitto non è ancora caduta vittima della logica che equipara desideri e diritti, come era avvenuto anni fa con la fecondazione assistita, ma l’attacco si fa sempre più deciso, così assistiamo allo scontro fra opposti disegni di legge che vorrebbero vietare la maternità surrogata o al contrario chiederne la legalizzazione. Non entro nel merito del dibattito in corso, perché gli argomenti restano quelli che ho appena richiamato. Segnalo solo l’ipocrisia di quelle parti del DDL per la legalizzazione che pongono come condizione che la donna che “si offre” sia in età fertile e “non abbia difficoltà economiche”, e prevedono solo “rimborsi spese” per i controlli medici e le eventuali perdite di reddito. Solo i gonzi non capiscono che qui sono già previsti tutti gli espedienti per aggirare questi vincoli e liberalizzare quello che si prospetta come un nuovo “lavoro” (per inciso: non si capisce perché, una volta legalizzata la vendita dei corpi, si voglia mantenere l’interdetto sulla prostituzione).
Resta da porsi un quesito: perché a farsi portabandiera della legalizzazione della maternità surrogata sono le sinistre (sia pure non senza voci discordanti)? Temo che la risposta giusta l’abbia data il segretario del Partito Comunista Marco Rizzo, in un’intervista che ha suscitato scandalo negli ambienti “politicamente corretti” perché rilasciata all’Associazione Pro Vita e Famiglia (la correttezza politica è l’ultimo argomento quando si vuole delegittimare una verità scomoda). Rizzo prima ha sintetizzato così le critiche fin qui esposte: “Nessuno mette in dubbio che una coppia etero o gay possa avere il desiderio di avere un figlio. Sarebbe però barbaro permettere che questo desiderio vada a schiacciare i diritti di una donna povera, obbligata ad abbandonare il figlio appena partorito mercificando la propria gravidanza e diritti del bimbo appena nato”. Poi ha affondato il dito nella piaga: se la sinistra neoliberale investe tutte le sue energie nelle battaglie per promuovere ogni sorta di diritti individuali, è perché queste battaglie sono armi di distrazione di massa rispetto a quei temi sociali che non fanno più parte del suo programma politico.
(micromega.net, 21 aprile 2021)