di Franca Fortunato
Scrivo sollecitata dalla richiesta di notizie, su questa pagina, di Emanuela Mariotto a proposito del matrimonio celebrato da Mimmo Lucano. La stampa e i social hanno parlato di “matrimoni”, manipolando e distorcendo i fatti, costruendo e alimentando false notizie che molte/i hanno dato per buone. Innanzitutto – come lui stesso ha dichiarato davanti alle telecamere e come si può leggere nell’ordinanza cautelare del Tribunale di Locri – si tratta non di “matrimoni” ma di un matrimonio celebrato da Lucano in qualità di sindaco. Chi è la donna? Una bella ragazza nigeriana arrivata a Riace da Napoli, dove era stata prostituita. Le avevano respinto per due volte la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno per cui, in base alla legge Bossi-Fini in cui con il famigerato “pacchetto sicurezza” del 2011 che porta le firme di Berlusconi, allora presidente del consiglio, Maroni, ministro dell’Interno, Alfano, ministro della Giustizia e Mara Carfagna, ministra per le Pari Opportunità, era stato introdotto il reato di “clandestinità”, lei era diventata una “clandestina” e dopo il diniego per due volte del permesso di soggiorno – in base alla legge Minniti-Orlando – doveva essere rimandata nel suo paese. Lei si dispera, non vuole tornare nell’inferno da cui è scappata. Lucano le dà la possibilità di restare da “clandestina” a Riace, le dà una carta di identità, una casa e un lavoro. Ma non può darle il permesso di soggiorno. Allora le consiglia di trovarsi un uomo e sposarsi perché è l’unica strada per poter chiedere il permesso di soggiorno, anche se glielo hanno negato per due volte. Lei segue il consiglio del sindaco ma è una ragazza sveglia, sicura di sé. Dice chiaramente all’uomo che ha scelto che il matrimonio è finto, lui e lei non saranno marito e moglie ma vivranno come sorella e fratello. L’uomo accetta e con questo patto si sposano, consapevoli di quello che stavano facendo. Pensare o dire che ci sia stato uno scambio tra sesso e permesso di soggiorno non solo non è vero ma è offensivo verso la donna che si è sposata solo per ottenere il permesso di soggiorno senza vendere il suo corpo e la sua dignità. Oggi vive ancora a Riace ed è grata all’uomo, con cui condivide la sua casa, per averla aiutata a non essere deportata in Nigeria. Questi sono i fatti. Non c’è niente da rimproverare a questa donna per essersi organizzata un matrimonio finto, pur di non tornare nell’inferno da cui era scappata. Il sindaco le ha semplicemente indicato, suggerito, consigliato – come ci sta scritto anche nell’ordinanza – una strada e lei e lui hanno fatto il resto. Lei è stata brava a gestire il rapporto con l’uomo. Ora però quel matrimonio è finito sotto le lenti della procura. Lucano in un’intervista ha detto che non voleva che facesse la fine di Becky Moses, la giovane nigeriana accolta a Riace che aveva, anche lei, per due volte ricevuto il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno. Lucano le aveva dato la carta di identità, la residenza, una casa e un lavoro, ma per la legge lei era una “clandestina” e doveva essere rimandata in Nigeria. Ha avuto paura di essere scoperta e deportata nel suo paese – non vi ricorda niente questo? – . Decise allora di lasciare Riace forse perché pensava che sarebbe stato più difficile essere scoperta nel campo di San Ferdinando e invece lì vi ha trovato la morte in un incendio della tendopoli, mentre dormiva. Oggi riposa in terra di Riace, per volontà di Lucano. Nessuna legge dovrebbe condannare alla clandestinità un essere umano.
Noi donne sappiamo cosa significa essere clandestine, rischiare la vita a causa di una legge ingiusta e criminale. Generazioni di donne lo hanno fatto quando l’aborto era un reato. Non c’è legge più ingiusta di quella che costringe un essere umano ad agire da clandestino con la paura di essere scoperto e mandato in carcere o ributtato nell’inferno. Quest’estate, alla fine di luglio, come ricorderete, il cadavere di una donna e di un bimbo nudo di 4/5 anni, molto probabilmente madre e figlio, galleggiavano tra i rottami di un’imbarcazione al largo della Libia. Tra quei rottami, aggrappata a pancia in giù a una tavola, veniva trovata un’altra donna, ancora in vita, Josefa, scappata dal Camerun perché il marito la picchiava in quanto sterile. Le due donne ritrovate in mare erano state abbandonate dalla Guardia libica e il loro gommone affondato «per non permettere ai trafficanti di usarlo di nuovo, perché si erano rifiutate di tornare nei campi di detenzione libici». Nessuna donna immigrata può essere costretta a tornare nell’inferno da cui è fuggita e se una legge, come quella italiana, lo prevede allora va combattuta, aggirata, disattesa, abrogata. E vengo al presunto matrimonio che per alcune, male informate, sarebbe una vergogna per chi l’ha celebrato, quello tra una giovane ragazza e un vecchio di 70 anni. Dico presunto, perché alla fine quel matrimonio non c’è stato per volontà di Lucano. Chi è la donna? Una giovane nigeriana prostituita e raccolta sulla strada da un’altra donna che viveva a Riace. A lei il rinnovo del permesso di soggiorno, scaduto da due anni, era stato negato per tre volte per cui, anche lei, doveva essere deportata in Nigeria da dove era scappata. Anche lei non voleva tornare indietro, voleva vivere a Riace e dare una svolta alla sua vita. Anche a lei viene suggerito di sposarsi e in un primo tempo, la donna che l’aveva raccolta per strada si offre di sposarla lei, ma il matrimonio tra due donne non è valido ai fini della richiesta del permesso di soggiorno e così non se ne fa nulla. Qualcuno propone alla ragazza il vecchio di 70 anni, che da tempo voleva sposarsi. Lei è disponibile a tutto, anche a fare sesso con lui e vivere come marito e moglie. Lucano cerca di dissuaderla: «Vedi che è pericolosa quella cosa lì… perché lui vuole che tu stai con lui, capito? Poi se tu non vuoi ti ammazza pure, tu non hai preoccupazione, non hai paura?», «Non ho paura», «Non hai paura…? Vuoi stare con lui…? Questo vuole stare a dormire con te, tu sei d’accordo?». «Sì, io sono d’accordo», «Questo è un animale. Questo è umiliare un essere umano». Fatte le pubblicazioni, Lucano il giorno del matrimonio si rifiuta di sposarli perché «lui non sapeva neanche come si chiama lei… io ho detto no, scusatemi, io non posso, ve lo dico chiaro davanti a tutti, c’erano almeno 30/40 persone, non è possibile che tu ti sposi e non sai come si chiama la tua fidanzata, tua moglie». E così il matrimonio è saltato, per volontà di Lucano. Quella donna ha poi lasciato Riace, è tornata da dove era venuta ed è rientrata nel giro delle prostituite. Questi sono i fatti. Mimmo Lucano non ha niente di cui vergognarsi, come ha scritto in un messaggio indirizzato e letto da Chiara Sasso di Recosol, la rete dei Comuni solidali, alle e ai manifestanti accorse/i, ieri, a Riace da ogni parte d’ Italia in segno di solidarietà. C’ero anch’io a quella manifestazione, insieme alle donne della rete delle Città Vicine. Se vergogna c’è, e c’è, questa è solo di tutti/e coloro che hanno approvato, firmato, mantenuto, inasprito con i tanti “decreti sulla sicurezza”, compreso l’ultimo di Salvini, una legge sull’immigrazione ingiusta, disumana, criminale verso l’essere umano e che ha aperto le porte e preparato il clima di violenza, razzismo, sessismo e xenofobia, che sta dilagando nel nostro paese.
(https://suddegenere.wordpress.com, 8 ottobre 2018)