15 Ottobre 2020
Valigia Blu

Nobel 2020, le scienziate Doudna e Charpentier hanno guardato con occhi nuovi a qualcosa che stava lì da milioni di anni e ne hanno fatto una rivoluzione

di Ettore Meccia


Il Premio Nobel per la chimica 2020 è stato assegnato a Jennifer Doudna e a Emmanuelle Charpentier «per lo sviluppo di un metodo per il genome editing».

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Qualcuno (Il Corriere della Sera) le ha chiamate le “Thelma e Louise del DNA” e questo ha scatenato non poche proteste. Perché l’essere una coppia di donne viene prima dell’essere scienziate? In effetti il titolo è dell’articolo di Anna Meldolesi che scrive: «Le Monde le aveva soprannominate le Thelma e Louise del Dna (ndr il paragone era dovuto alla capacità di rompere gli schemi), ma la loro avventura (a differenza di quel memorabile film) ha il lieto fine più bello…» e chi scrive è una donna, biologa, che gestisce una pagina che si chiama CRISPeRmania e che di editing genomico ne sa. Difficile che volesse sminuire il merito scientifico delle due colleghe.

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Quello che è sicuro è che questa non è, finalmente, una delle troppe storie di grandi donne che “stanno dietro” a grandi uomini. Doudna e Charpentier sono due donne che hanno fatto ognuna la propria carriera, una negli USA, l’altra in Europa, prima di incontrarsi nel 2011 e avviare quella collaborazione che nel 2020 le avrebbe portate a stringere la mano al re di Svezia tra gli ori della Konserthuset di Stoccolma, se un piccolo virus non si fosse messo per traverso. Purtroppo hanno dovuto accontentarsi di un riconoscimento virtuale. E salterà anche il grande banchetto nella Sala Blu della Stadshuset, il municipio di Stoccolma.

Paradossalmente, tutta questa storia nasce tanto tempo fa da un altro virus. Anche se… in verità no, nasce tutto da una salina vicino ad Alicante, in Spagna.

Quindi cosa hanno inventato le due scienziate da Nobel? Inventato, niente. Esisteva già tutto, era lì da molti, molti milioni di anni. Allora lo hanno scoperto? Nemmeno.

In effetti, tutta questa storia nasce dalla scoperta fatta nel 1993 da Francisco Mojica, microbiologo dell’Università di Alicante, di strane sequenze ripetute nel genoma di due archeobatteri del genere Haloferax, isolati nella vicina salina di Santa Pola. Come se in un libro (il genoma) avesse trovato una pagina strana in cui la stessa parola è ripetuta in ogni riga intervallata da un testo normale. Particolare, ma non propriamente una di quelle scoperte che finiscono sulle prime pagine dei giornali, come il nuovo ultimo farmaco che finalmente sconfiggerà il cancro. Che poi il progetto di Mojica inizialmente era un altro, era studiare gli adattamenti all’ambiente salino dei due archeobatteri (la peculiarità di molti archeobatteri, o meglio archea, è di essersi adattati a condizioni estreme di temperatura, salinità, acidità…). Ma qualcuno aveva pubblicato i dati prima di lui, costringendolo a cambiare in corsa.

Francisco Mojica negli anni successivi scopre che quelle ripetizioni si trovano anche in altri archeobatteri – praticamente in tutti – e in molti batteri, e che contengono elementi che si ritrovano nel genoma di molti batteriofagi, ovvero virus che infettano specificamente i batteri. Mojica chiamerà queste sequenze «clustered regularly interspaced short palindromic repeats» (piccoli elementi palindromici ripetuti regolarmente in cluster), più brevemente CRISPR. Ci vorrà molto tempo per capirci qualcosa di più. Se li avessimo scoperti oggi avremmo avuto qualche idea, ma il 1993 nella scala della biologia molecolare è più lontano di quello che sembra.

Col tempo si sarebbe scoperto che i CRISPR sono piccole sequenze di DNA ripetute, alternate ad altri elementi che sembrano avere il ruolo di spaziatori, di spacers, tra le sequenze ripetute. E gli spacers non sono altro che frammenti del DNA di batteriofagi, residuo di infezioni precedenti che il batterio inserisce come fossero trofei nel locus CRISPR e poi trascrive sotto forma di piccole molecole di RNA (crRNA) che manda in giro nella cellula insieme a una endonucleasi chiamata Cas (CRISPR associated system, una endonucleasi è una proteina in grado di tagliare un doppio filamento di DNA come un paio di forbici). Se un crRNA troverà nella cellula un DNA con la sua stessa sequenza, come quello proveniente da una nuova infezione del batteriofago da cui origina, si appaierà a esso, la proteina Cas9 riconoscerà il DNA “taggato” come estraneo dal piccolo RNA guida e lo taglierà eliminando l’invasore.

In fondo, sono l’analogo molto precoce del nostro sistema immunitario, con la differenza che le esperienze della cellula madre si trasmettono in eredità alle cellule figlie. E sono la prova che le cellule, anche quelle più semplici come un batterio, sono impegnate da sempre a combattere una guerra senza tregua con i virus che è in corso da molti milioni di anni, probabilmente dall’inizio della nostra storia di organismi cellulari e poi pluricellulari. Una guerra che nel corso dell’evoluzione si farà sempre più raffinata e micidiale da entrambe le parti, con esiti a sorti alterne, come stiamo vedendo recentemente.

La storia del CRISPR/Cas9 è anche una storia della conoscenza scientifica moderna: dimentichiamo l’immagine romantica del grande scienziato chiuso nel suo laboratorio che fa la scoperta che cambierà il destino dell’umanità, dimentichiamo i più grandi virologi, immunologi o quello che vi pare, del mondo. È la storia lunga, anche decenni, di conoscenza cumulativa, condivisa all’interno della comunità scientifica, fatta anche di piccole scoperte, a volte fortuite, a volte apparentemente senza storia né gloria che restano lì, fino a che, anni dopo, qualcuno scoprirà che era il pezzo mancante del proprio puzzle e tutto prenderà un senso nuovo.

Ecco, Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier hanno avuto la capacità di guardare con occhi nuovi a qualcosa che stava lì da milioni di anni – ed era stato scoperto già da parecchi anni – e ne hanno fatto uno strumento rivoluzionario grazie alle competenze dell’una e dell’altra messe insieme. Hanno capito che quel sistema nato per difendere si poteva usare per modificare, si poteva esportare e inserire in altre cellule perché diventasse, dentro la cellula, le nostre mani sufficientemente piccole e precise da fare esattamente quello che volevamo noi, dove volevamo noi. Un metodo per il genome editing. Questo è il motivo per cui hanno avuto il premio Nobel.

Chi vuole qui trova più dettagli https://science.sciencemag.org/content/337/6096/816

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Un archeobatterio isolato in una pozza di acqua salata vicino ad Alicante ha spalancato la porta a un mondo insospettato.

Le prime reazioni dei biologi molecolari sono state quelle del bambino nel negozio di giocattoli. Per decenni abbiamo lavorato su DNA, RNA e proteine che stanno dentro le cellule usando strumenti di lavoro trovati nel mondo dei microorganismi, degli enzimi e delle proteine batteriche e virali in grado di riconoscere sequenze specifiche di DNA, in grado di tagliarlo, di rincollarlo, di rimuovere o aggiungere nucleotidi, di modificarli, in grado di copiare un pezzo di DNA o di RNA, in grado di tradurlo in proteina.

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Ma poi, data l’opportunità, le occasioni si sono moltiplicate, il sistema CRISPR/Cas9 identificato nei batteri si è evoluto, si è adattato a nuove esigenze, si è moltiplicato: nuove porte si aprono in continuazione. E dallo studiare si è passati a modificare, correggere, migliorare. Si va dalle applicazioni in biotecnologie (piante modificate tramite il CRISPR, in cui nessun gene estraneo è stato introdotto, secondo le nostre normative quindi non sono OGM, per cui le normative si sono dovute adeguare) a quelle per migliorare i sistemi di immunoterapia dei tumori, alla diagnostica. Recentemente, è stato messo a punto dal team di Jennifer Doudna un sistema di diagnostica per Sars-CoV-2 che promette di essere molto più semplice e rapido della PCR (i test diagnostici basati sulla Reazione a Catena della Polimerasi), grazie alla specificità di Cas13 di tagliare l’RNA a singolo filamento.

A volte, tuttavia, si aprono porte in un mondo di cui ancora non conosciamo i limiti, che dovremmo esplorare con grande prudenza, e forse in certe zone sarebbe il caso di non andare per niente. Ma inevitabilmente, se una cosa si può fare, qualcuno la farà. E così le enormi potenzialità del CRISPR hanno creato questioni di natura etica oltre che tecnica, da cui Jennifer Doudna si è sentita particolarmente coinvolta: «Una parte del percorso da seguire da qui in avanti è la formazione: va insegnata ai giovani la tecnologia dell’editing genetico: cos’è, come funziona e come pensare di usarla in modo responsabile».

Difficile non associare quel monito a quanto successe agli albori delle tecnologie del DNA ricombinante quando con ben altre tecnologie, molto meno potenti, si iniziava a lavorare sul DNA di batteri, virus, cellule animali, si scopriva che i tumori erano provocati dall’attività di geni fuori controllo… Quel mondo ebbe paura, si fermò, si riunì nella conferenza di Asilomar, si diede delle regole.

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L’ultimo aspetto da affrontare sarebbe quello della guerra sui brevetti che ovviamente c’è stata, della commercializzazione, delle quotazioni in borsa, ma è una porta per cui stavolta non passeremo. Preferisco rimanere con l’immagine della salina di Santa Pola con i suoi fenicotteri, il sale lasciato ad asciugare al sole, i suoi archeobatteri lì da sempre, che sembra quasi di sentire il vecchio Qfwfq raccontare dell’inizio dei tempi nei racconti di Italo Calvino, e pensare che in quell’acqua c’era tutto quello che serviva per arrivare a meritare un premio Nobel, ma chi ci avrebbe pensato…


(valigiablu.it, 15 ottobre 2020)

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