10 Gennaio 2018
27esimaora.corriere.it

Noi maschi sappiamo qual è il confine. Impariamo a rispettare i no. E a dirceli

di Pierluigi Battista

Ma allora, a chi dobbiamo dar retta, noi esseri umani di genere maschile, insomma maschi? Stare dalla parte delle star che hanno sfilato in nero sul red carpet della gloria al Golden Globe 2018 oppure con le tre Catherine – Deneuve, Millet, Robbe Grillet – che invece denunciano il clima da caccia alle streghe, il nuovo puritanesimo, l’attacco alla libertà sessuale che si celerebbe dietro la campagna del #MeToo? Cosa fare, come comportarsi, fin dove è lecito spingersi? Adeguarsi, sì va bene. Ma se stessimo esagerando, dicono tanti di noi? E se si salda pericolosamente in un’unica catena la predazione ricattatoria di Weinstein, e poi la molestia, e poi il tentativo di un bacio e di un abbraccio spinto, e poi l’insistenza nel corteggiamento, e poi la seduzione audace e poi il corteggiamento stesso, e poi la timida avance, insomma il «provarci» che è l’antefatto stesso di una relazione? E poi, «provarci», esattamente cosa significa, qual è il limite? E poi, dobbiamo rassegnarci davvero a una infinita, straziante, snervante guerra tra i sessi?

Da qualche mese a questa parte i maschi sono frastornati. Lo sono sempre, ma da qualche mese più del solito. Si sentono sotto attacco, addirittura. Più semplicemente, non sanno più bene, o fingono di non saperlo, qual è il confine, il limite, la soglia da non oltrepassare in una vita che mica è ingabbiata in uno schema lineare e asettico, è complicata, torbida, confusa, fangosa talvolta. Edoardo Albinati ha scritto che essere maschi «è una malattia incurabile». Ma almeno possiamo consolarci con qualche cura palliativa. Proviamo a soffocare il primitivo che è in noi, civilizziamoci. E soprattutto, proponiamo di delimitare il campo della discussione, di mettere un po’ di ordine, si circoscrivere il discorso. Articolandolo in tre capitoli.

Primo capitolo, quello più tremendo: la volenza sessuale, lo stupro. Non facciamola troppo complessa: è, inequivocabilmente, stupro la costrizione a un rapporto sessuale che non potrebbe aver luogo se si rispettasse la volontà della donna che lo subisce. Possiamo renderla più mossa e articolata, ma la violenza sessuale è riconoscibile, netta, chiara. Noi maschi dovremmo tracciare una linea di demarcazione invalicabile con chi commette uno stupro, allontanare i giustificazionisti dall’area della rispettabilità: non sono eccentrici politicamente scorretti, sono dei cialtroni. Chi dice o pensa «se l’è cercata» incarna lo stereotipo dell’imbecille, dice una cosa falsa. Recentemente qualcuno ha avuto l’ottima idea di mettere in mostra i vestiti indossati dalle donne al momento della violenza sessuale: la stragrande maggioranza erano vestiti normalissimi, dimostrando ancora una volta l’assoluta inconsistenza dello pseudo-argomento «se la sono cercata». E se anche fosse, anche chi se ne va vestita in modo cosiddetto «provocante» cerca di apparire bella, desiderabile, seducente, attraente, esercita semplicemente un diritto inalienabile nelle società moderne. Chi sostiene il contrario e nega questo diritto è un imbecille. È troppo dirlo? No, se l’è cercata.

Secondo capitolo, quello più scivoloso: la zona grigia, che poi è quella che attira il maggior numero di maschi, e che non sono nemmeno potenti produttori di Hollywood. Qui i confini, esclusa la violenza come da capitolo uno, sono davvero poco chiari. O forse no: diciamocelo, noi maschi ce la cantiamo, perché lo sappiamo benissimo, lo sappiamo per intuito, sensazione, esperienza, dove sta il confine. E il confine è il consenso. Tutto è più difficile nelle relazioni dove non entra lo squilibrio gerarchico, il rapporto di potere crudo e brutale, nei piccoli uffici, nei negozi, nelle cliniche, negli studi professionali, in tutto il mondo che non ha i riflettori addosso. Tutto diventa più macchiato e sconnesso, c’entrano passioni, ambivalenze, attrazioni, il fascino, la trasgressione, il desiderio senza nome, persino la sfera del dominio e della sottomissione. E qui si capisce l’appello delle tre Catherine: non riduciamo la vita a un freddo decalogo, questo sì, questo no, questo si dice, questo non si dice. Ma si capisce anche che noi maschi facciamo finta di non capire quando il no è no. E se insistiamo, non è perché siamo presi da impulsi sessuali veementi e incontrollabili, ma semplicemente perché mal sopportiamo l’umiliazione del rifiuto. «Ma come, osa resistere al mio fascino?», «Dice no ma in realtà è un sì» e via consolandoci con questa rappresentazione grottesca e auto-millantatrice, se così si può dire, di noi stessi. Questo capitolo si può tenere fuori dalla discussione? La zona grigia può restare grigia, ma il punto del consenso è quello fondamentale. Spingersi oltre, forzando la resistenza altrui, non è un eccitante gioco di ruolo, è una carognata. Tanto lo sappiamo dove si situa quell’«oltre».

Terzo capitolo, il vero punto dolente, quello che è e deve restare il vero oggetto della disputa: l’abuso di potere. Il ricatto per cui o ti adegui alle mie condizioni oppure perdi il lavoro è una roba che noi maschi dovremmo considerare con aperta ripugnanza. Si è sempre fatto? Basta, non si fa più. Il produttore o il regista che scarta la giovane attrice perché non ha ceduto fa schifo, punto. O il luminare medico che fa cacciare la giovane infermiera precaria. O il super capoufficio che estorce un disgustato sì alla sua segretaria. O il direttore di un supermercato con la cassiera con contratto a tempo determinato. Ci sono momenti della storia in cui quello che appariva normale un minuto prima, un minuto dopo appare come una porcheria. Il momento attuale è uno di questi e non credo che ne venga messa a rischio la nostra virilità o la libertà sessuale di tutte e di tutti. Fare i minimizzatori su questo punto è sbagliato. Poi, certo, c’è anche, in qualche caso, il fascino del potere. Poi ci sono quelle che si sono adeguate. Ma tra i diritti fondamentali c’è anche quello di non essere eroiche, di temere le conseguenze, di non saper o di non voler prendere a ceffoni il predatore. Questo diritto è incoercibile. E capirlo è indispensabile, meglio tardi che mai.

(27esimaora.corriere.it, 10 gennaio 2018)

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