20 Febbraio 2021
HuffPost

Pd, è tempo di una corrente femminista per arrivare a contare

di Valeria Valente*


È passata più di una settimana da quando il premier (presidente del consiglio dei ministri! In Italia non esiste il “primo ministro”, che ha attribuzioni diverse: per esempio – ma non solo – può nominare direttamente i ministri e sciogliere le camere, cosa che invece in Italia spetta al capo dello stato, cioè il presidente della repubblica. N.d.R.) Draghi ha annunciato la sua squadra di governo, in cui non siedono ministre del Pd. Lo abbiamo detto in tante, dentro e fuori dal partito: è più di una ferita per noi donne democratiche, più di una sola nostra battuta d’arresto e anche più di un incidente di percorso per il Pd. È qualcosa che rischia di minare la nostra credibilità e di interrompere relazioni di fiducia e affidamento tra donne, Democratiche e non. Qualcuna lo ha definito un fatto simbolico che va oltre il contingente e io sono d’accordo. Un fatto che racconta un limite, un’incapacità, un’insufficienza profonda: una questione culturale e politica insieme.

Non si è trattato di un fulmine a ciel sereno e derubricarlo a questo sarebbe una sottovalutazione. Sul tema della parità di genere, dobbiamo riconoscerlo e riconoscercelo, il Pd ha in questi anni ha fatto molta strada: grazie anche alla battaglia di tante donne ha introdotto nuove regole, cambiato norme e statuto, eletto nei territori e negli organismi assembleari tante di noi, nominato tante donne negli organi esecutivi. Come donne abbiamo al contempo ripreso a organizzare luoghi e spazi autonomi e collettivi di discussione e di organizzazione del nostro agire e abbiamo ricominciato a elaborare pensieri differenti e autonomi e contributi programmatici per esprimere il nostro punto di vista nel partito e sul mondo. Eppure, a dispetto di tutto questo e di quanto accade nella società, in Europa, in America e nel mondo, il Pd fa tantissima fatica a riconoscere e a investire su leadership femminili e così si ritrova guidato da un gruppo dirigente sostanzialmente maschile. La dirigenza del Pd è tutta maschile. Draghi dunque, diciamocelo chiaramente, non ha fatto altro che fotografare e prendere atto della situazione per come si mostrava, inserendo nella squadra di governo quelle che, agli occhi del mondo, sono e vengono riconosciute come le principali leadership del nostro partito: Orlando, Guerini e Franceschini. Tutti sapevamo in anticipo che sarebbe andata così, del resto e non a caso quei nomi si susseguivano da giorni nei circuiti dell’informazione.

Di cosa ci sorprendiamo dunque e perché alzare un polverone che rischia di appannare le tante cose importanti e utili che pure il Pd sta facendo in un frangente delicato e difficile? Perché come donne non accettare di esserci e basta dal momento che, seppure non ai vertici, ci siamo? Forse alla fine gli uomini sono davvero più esperti, capaci e competenti di noi e dobbiamo accettarlo?

No, non è così. Perché oggi anche una donna più brava di un uomo resta indietro. Perché le donne ci sono e sono tante, dentro e fuori dal Pd e sono donne competenti, autorevoli e capaci, perché riconoscerlo è l’essenza di una democrazia reale e compiuta, perché avere un punto di vista delle donne nelle decisioni è prezioso per la qualità del nostro agire, perché avere leadership di entrambi i generi ci rende un partito e una comunità più forti, in grado di rappresentare meglio la società e i suoi bisogni, perché sguardi pratiche e punti di vista differenti nell’assumere decisioni aiutano a prenderle meglio e ad adottare quelle più giuste, perché privarsi di un punto di vista differente nella guida dei processi ci rende invece più fragili, più esposti. Perché il mondo ci sta raccontando un’altra direzione, migliore e più sana della nostra. Perché come donne ce lo meritiamo, perché è giusto.

E allora è necessario riequilibrare la situazione e trasformare davvero il Partito Democratico in un luogo guidato in maniera autentica e vera da donne e da uomini. Lo dobbiamo a noi stesse e alla nostra storia anche femminista, al Pd e al Paese. Cosa possiamo fare dunque, a partire da ora e senza recriminare?

Credo che sia arrivato il momento di capire se e come noi donne vogliamo davvero metterci in gioco, forse rischiando qualcosa di più e chiedendo ancora di più a noi stesse rispetto a quanto fatto finora, che non è poco. Perché il potere è per ora solo nelle mani degli uomini e nessuno lo cederà per gentile concessione. E non è solo una questione di regole interne – che pure esistono – e di pari condizioni di accesso alle candidature e alle cariche. Si tratta di ripensare al nostro stesso agire, che può e deve diventare, nell’agone politico, anche accettare il conflitto verso un sistema di potere consolidato. Ma come, con quale forza? Con quali strumenti per evitare semplicemente di esporci e restare schiacciate, ottenendo così l’effetto contrario? Donne autorevoli che hanno segnato la nostra storia direbbero, ora: «dalle donne la forza delle donne». Serve qualcosa di più forte e inedito di quanto sperimentato finora, qualcosa che scardini da dentro le regole del gioco per cambiare il sistema è al contempo preservare e promuovere così la nostra autenticità e differenza: una corrente femminista nel nostro partito, una corrente che, nel rispetto pure del pluralismo interno che (e ci mancherebbe altro) anche le donne esprimono, scelga di anteporre a quel tipo di appartenenza quella DI un pensiero e uno sguardo femministi.

Non so se il presidente Draghi con quel “farisaico” riferito al modo di intendere le quote si riferisse anche a questo, ma mi piacerebbe pensarlo, e comunque di sicuro ciò potrebbe rappresentare un modo per dare un senso più profondo anche alle quote.

Quindi per me la risposta a questo interrogativo è sì: come Democratiche possiamo provare a cambiare e contare davvero. L’unica strada possibile per gettare il cuore oltre l’ostacolo è però quella di un’azione collettiva basata sul reciproco riconoscimento tra noi ma soprattutto, e prima di ogni altra cosa, sul riconoscimento della nostra autorevolezza. Solo così possiamo sperare di scardinare un sistema ingessato che si presenta per ora impermeabile, solo così potremo ambire realmente a scalare i vertici della nostra organizzazione e predisporre le condizioni affinché l’intero sistema politico affronti il non più rinviabile cambiamento di paradigma culturale nel Paese in favore delle donne.

So già quali critiche si alzeranno alla mia proposta, tra cui la principale: le donne non devono far politica solo in quanto donne, possono e devono avere una visione complessiva dell’agire politico che, in quanto tale, si organizza in un partito anche attraverso correnti di idee e visioni. Dico subito che capisco questa argomentazione. Ho praticato e vissuto nel pluralismo per tanti anni e non potrei non riconoscerlo. Ma viviamo in una fase storica senza precedenti, in cui si rendono necessarie scelte chiare e punti di vista forti. Per questo affermare uno sguardo diverso sul mondo da donne e da femministe mi pare che possa essere anteposto, almeno per ora, a molte altre prospettive e punti di vista: può essere e rappresentare un significante molto più forte di tanti altri. La condicio sine qua non è però lavorare sulla consapevolezza della nostra autorevolezza ed esercitare tra noi la capacità di stringere un’alleanza politica per contare di più, essendo in grado di diventare all’occorrenza un soggetto politico collettivo capace di parlare con una voce sola. Si tratterebbe, infatti, di costruire un luogo da cui muovere per intercettare tante donne che si sentono strette in logiche e pratiche che non riconoscono come quelle più adatte al loro agire. Dal quale poi intrecciare forza e relazioni anche con altre donne che invece faranno scelte diverse, con la consapevolezza che da quel luogo potremo trarre una forza utile e comune a tutte. Un luogo per sfidare insieme, a viso aperto, gli uomini a capire e a cambiare modo di stare dentro le relazioni con noi costruendone di più equilibrate ed effettivamente paritarie.

È una proposta, uno spunto di riflessione per tutte noi in vista anche degli appuntamenti dei prossimi giorni, a partire dalla Direzione richiesta e appositamente convocata. Credo che oggi sia arrivato il momento di osare e chissà che un episodio tanto serio e doloroso come quello accaduto non possa essere foriero di qualcosa di positivo e virtuoso. Voglio provare a credere che sia possibile.

*(avvocata, senatrice del PD e Presidente della Commissione d’inchiesta sul Femminicidio)


(HuffPost, 20 febbraio 2021)

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