19 Dicembre 2023
Feministpost

Quando l’aborto è una violenza

di Marina Terragni


Ammesso che ce ne fosse bisogno, all’on. Maria Rachele Ruiu di ProVita ho detto con la massima franchezza che obbligare la donna intenzionata ad abortire di ascoltare il battito del cuore del feto non è una proposta ammissibile. Si tratta di un’idea insensata, sadica, punitiva e probabilmente incostituzionale che avrebbe probabilmente come unico effetto quello di incentivare l’aborto clandestino. Forse la proposta non andrà mai in discussione e resterà mera propaganda. Cattiva propaganda però.

Ancora una volta nel mirino ci sono le donne, ferocemente colpevolizzate. Vero che in materia di procreazione l’ultima parola non può che spettare a loro, a meno di non pensare di poterle obbligare a condurre la gravidanza con qualche mezzo di contenzione (tenerle in cella? legarle al letto fino al parto?). Vero però anche che sono molti i fattori esterni che pesano nella decisione di abortire, primo fra questi fattori la posizione dell’uomo con cui la donna ha concepito.

Quando si parla di aborto invece gli uomini scompaiono regolarmente dalla scena, così come spesso scompaiono dalla vita delle donne. Ma a una rilevazione empirica probabilmente scopriremmo che forse nella metà dei casi, probabilmente di più, le donne abortiscono perché non hanno accanto un uomo intenzionato a diventare padre e non possono permettersi di crescere un bambino da sole. La gran parte degli uomini ha un’idea di comodo dell’aborto: giusto un piccolo intervento, un fastidio che evita ben altri guai. La RU486 – pillola abortiva – ha rafforzato questa convinzione: si butta giù come un antinfiammatorio e la gravidanza magicamente sparisce. Ma gli uomini non vengono mai tirati in mezzo. Nemmeno dai ProVita.

«Per il piacere di chi sto abortendo?» si è chiesta Carla Lonzi.

Una donna che si ritrova costretta a interrompere la gravidanza a causa dell’irresponsabilità procreativa di un uomo sta subendo una violenza. È una violenza di cui non si parla mai, che viene sottaciuta anche dalle donne e non compare mai nel multiforme novero delle violenze maschili. Ma è ora che questo silenzio venga rotto, anche e non solo dal fronte pro-life.

Che il numero degli aborti diminuisca è un obiettivo condivisibile: meno dolore c’è e meglio è. Ma combattere per questo obiettivo non può significare combattere contro le donne. Ogni mossa in questa direzione va piuttosto intesa come supporto e vicinanza alle donne e non come giudizio e punizione: in questa chiave va letto il buon lavoro del Centro di Aiuto alla Vita milanese di Paola Bonzi, apprezzato perfino dagli avversari politici, perfino dai radicali che videro con favore l’attribuzione dell’Ambrogino d’Oro.

È ora quindi che questa violenza maschile misconosciuta venga nominata. Compresa la violenza economica: a parità di mansioni una donna continua a guadagnare meno di un uomo, in media 8.000 euro annui nel settore privato, per non parlare delle interruzioni di carriera fino alla perdita del lavoro. Anche questo rende molto difficile farcela da sole e tenersi il bambino, se lo si vuole.

Per essere credibili nel lavoro politico sull’aborto queste violenze vanno nominate.


(Feministpost, 19 dicembre 2023)

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