13 Settembre 2021
Feminist Post

Salvateci dai talebani. Ma anche da Judith Butler

di Bina Shah


Ieri ho scritto un tweet arrabbiato.

Afghan woman: Save me from the Taliban.

Judith Butler: We’ll redefine womanhood, you’ll be fine.


È andata così:

«Ho solo bisogno di sapere come si applica la definizione di donna di Judith Butler alle afghane che vengono picchiate per strada dai talebani. Hai mai considerato che la tua esperienza legata all’ambiente accademico non si adatta davvero alla vita delle donne nel Sud del mondo?».

Ho pubblicato il tweet di cui sopra dopo aver letto dell’ormai famigerata intervista al Guardian in cui Butler ha affermato [nella prima versione dell’intervista che il Guardian ha successivamente modificato – vedere la nota finale dell’intervista sul sito del quotidiano. NdR] che le TERF (femministe radicali trans-escludenti) si allineano con destra e con i fascisti. Non mi identifico come TERF o altro, e neppure come cis perché anche questo mi sembra un’imposizione, perché questo dibattito sui diritti trans e sull’identità di genere sembra così lontano dalla realtà che viviamo io e milioni di donne nella regione dell’Asia meridionale e dell’Asia centrale. Certamente non sono d’accordo con gli uomini di destra e con i fascisti e il mio pensiero è diverso e molto più indipendente dal pensiero che utilizzano persone che lavorano in ambito accademico per conformarsi alle nuove “regole e leggi” sul genere.

Ma l’affermazione di Judith Butler che «dobbiamo ripensare alla categoria delle donne» mi ha dato una spinta. Il mio pensiero nasce da molte riflessioni che ho fatto sulla teoria dell’identità di genere adottata nei paesi occidentali. Questo accade nello stesso periodo in cui ho visto donne afghane picchiate dai talebani mentre protestavano per i loro diritti, per la sicurezza e per l’inclusione nel governo, e per la libertà di lavorare e studiare.

Mi è stato chiesto di chiarire la mia affermazione, perché sembrava vaga o non chiara per chi trova la teoria dell’identità di genere molto più familiare e accettabile. È bello essere sfidate perché ti costringe a pensare più approfonditamente a quello in cui veramente credi.

In Afghanistan (come esempio estremo) ma anche in Pakistan, dove vivo, in India, in Nepal, Bangladesh, nei paesi del Medio Oriente, in Nord Africa, le donne (o le persone con corpi femminili) vengono maltrattate, vessate, aggredite e uccise non solo perché hanno corpi femminili, ma perché si rifiutano di consegnare quei corpi agli uomini per farne ciò che vogliono.

Poiché questo dominio dei corpi femminili è assolutamente legato alla biologia femminile e alla generazione di bambini e all’uso per conforto sessuale degli uomini, separare il sesso dal genere nega completamente questa forma di oppressione; ciò è enormemente offensivo per noi tutte che lottiamo, nei nostri Paesi, per porre fine alla discriminazione basata sul sesso. 

Allo stesso tempo, una cosa particolarmente potente per le donne è il fatto che i loro corpi sono in grado di produrre vita. Questo è qualcosa di così innato nell’identità e nel senso di sé delle donne nei paesi musulmani/del Sud del mondo/non bianchi che insistere che è qualcosa che non appartiene loro è in realtà una forma di violenza mentale ed emotiva, un doppio trauma prodotto su di loro da quelle femministe occidentali che desiderano imporre le loro idee sul genere e sesso a coloro che hanno un’idea e un’esperienza molto diversa su questi temi.

Immaginate una donna musulmana nel Regno Unito che deve sfuggire a un matrimonio violento e alla minaccia del delitto d’onore. Va in un rifugio protetto dove si sente al sicuro perché è uno spazio per sole donne e non solo perché è lontana dal regno della violenza maschile, ma anche perché come donna musulmana non si sentirebbe a suo agio nel condividere spazi intimi con una persona dal corpo maschile. Questo le permette di conciliare la sua terribile situazione e il suo bisogno di sentire che sta agendo in conformità con la sua identità e con i principi di pudore di donna musulmana.

Ma se una donna trans con un pene si trova nello stesso spazio, allora la donna musulmana sarà in un terribile conflitto riguardo al fatto di lasciare la sua casa. All’improvviso non sarà in grado di togliersi l’hijab o di spogliarsi perché non può fare quelle cose di fronte a una persona con un corpo maschile che non è un membro della famiglia. Non è solo un’ipotesi, ci sono donne musulmane, sikh e indù che oggi sono escluse dagli spazi riservati al sesso femminile perché la definizione di donna è stata modificata per includere donne con il pene. Chiamare TERF quella donna musulmana perché esprime disagio è l’ennesima violenza su di lei.

Tutto questo per dire che dobbiamo ancora negoziare sicurezza e libertà per le donne con corpi femminili e non possiamo ignorare o scavalcare le donne delle minoranze in Occidente o le donne della mia parte del mondo che sono fuori da queste negoziazioni. Le ragazze e le donne afghane hanno dovuto travestirsi da ragazzi e da uomini per poter uscire di casa, guadagnarsi da vivere o svolgere lavori come collaboratrici familiari sotto il dominio dei talebani. Questo sarebbe “fare il genere” come lo chiama Judith Butler, o solo una strategia di sopravvivenza che le donne afghane hanno adottato per poter vivere?

Temo che gli attivisti per i diritti trans si stiano comportando come nuovi colonizzatori occidentali e imperialisti, imponendoci le loro idee di genere e sessualità nello stesso modo in cui i loro imperi ci sono stati imposti per buona parte del ventesimo secolo. Non voglio davvero un colonialismo di genere nel XXI secolo.

Grazie per aver partecipato al mio TERF Talk.


Bina Shah 


(feministpost.it, 13 settembre 2021, traduzione nostra)

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