6 Aprile 2020
27esimaora.corriere.it

Se non allontana d’urgenza i maltrattanti, lo Stato viola i diritti umani

di Annarosa Buttarelli


Non ha avuto riscontro soddisfacente l’appello al nostro governo di non accontentarsi di creare un numero nazionale da chiamare in caso di violenza domestica. Alcune donne sono riuscite a convincere la ministra Bonetti a fare delle farmacie un punto dove andare a consegnare segnalazioni di violenza, ed è qualcosa in più rispetto a un numero che in realtà non mette in movimento quasi nulla, a parte un ascolto generoso al telefono.

La via giusta era stata imboccata dalla Procura di Trento cheha ripristinato le ragioni della legge stabilendo di allontanare, anche in tempi di coronavirus, i maltrattanti anziché le donne e i bambini. Nelle interlocuzioni avute in seguito al mio intervento sulla 27Ora, L’1522 non basta. Cara Bonetti e caro Conte aiutate le procure a lasciare le donne e i bambini nelle loro case. E trovate luoghi idonei a ospitare i maltrattanti, l’obiezione più comune si può riassumere così: «Non si può allontanare d’urgenza un maltrattante sulla base della sola denuncia telefonica alla questura. Ci sono le garanzie costituzionali, bisogna garantire la libertà e la certezza del procedimento penale».

Ma allora in questo caso non sono violati i diritti umani, il diritto alla vita? Ancora una volta la vita di una donna deve venire dopo la finta correttezza delle garanzie civili?

È l’unico caso che si conosca questo in cui prevale il diritto alla libertà di un assassino potenziale denunciato in flagranza di violenza. Solo se sta picchiando una donna, un uomo ha diritto ai suoi mesi di burocratico procedimento penale, di processo ecc. Che orrore!

Qual è lo strumento che si dimentica di applicare in tutta Italia?

È l’art. 384 bis del Codice di procedura penale (DPR 22 settembre 1988 n. 477 aggiornato al 28/2/2020) che ha come titolo Allontanamento d’urgenza dalla casa familiare. Recita così:

«1. Gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’art. 282 bis, comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa. La polizia giudiziaria provvede senza ritardoall’adempimento degli obblighi di informazione previsti dall’art. 11 del d.l. 23 febbraio 2009 n. 11 convertito ecc. ecc.

2. si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli art. 385 e seguenti del presente titolo. Si osservano le disposizioni di cui all’art. 381 comma…

3. Della dichiarazione orale di querela si dà atto nel verbale delle operazioni di allontanamento».

È questo l’articolo del codice penale che non è applicatoperché alla telefonata di una donna che denuncia di essere oggetto di “condotte criminose” nessuno si muove, così da non prendere in flagranza di reato il maltrattante, il che autorizzerebbe la procedura d’urgenza in seguito alla dichiarazione orale di querela, ecc. ecc.

C’è una clamorosasentenza dellaCorte europea dei diritti dell’uomo– Prima sezione – Causa Tapis c. Italia – (ricorso n. 41237/14) – Sentenza Strasburgo 2 marzo 2017 (presidente Mirjana Lazarova Trajkovska): all’origine un ricorso presentato contro la Repubblica Italiana da una cittadina rumena e moldava che lamentava in particolare un inadempimento delle autorità italiane al loro dovere di protezione contro la violenza domestica che essa avrebbe subito e che avrebbe portato al tentativo di omicidio nei suoi confronti e alla morte di suo figlio. Problema del quale sto discutendo qui. Nella sentenza si trova scritto:

«Il diritto ha i suoi limiti. Persino il diritto in materia di diritti umani. Quando viene presentato un ricorso perché lo Stato non ha adottato ogni ragionevole misura per evitare che si perpetrasse un omicidio, sorge un conflitto tra la domanda di giustizia dei parenti delle vittime e l’imposizione di oneri poco realistici sulle forze di polizia governate dallo stato di diritto. La decisione giudiziaria in merito a tali controversie, derivanti da eventi drammatici, richiede pertanto che si raggiunga un delicato equilibrio tra questi due interessi contrastanti basato sull’applicazione oggettiva e imparziale di norme giuridiche chiare e prevedibili».

Un giudice della Camera che ha emesso la sentenza si dichiara dissenziente e dice, a proposito del “delicato equilibrio”, che i principi stabiliti all’articolo 2 della Convenzione (Obbligo preventivo dello Stato di proteggere la vita) si sono legati ai fatti presenti nella causa, così da indurre indebitamente la Corte a trovare l’equilibrio a favore dell’obbligo “preventivo dello Stato di proteggere la vita”, senza tenere in debito conto le garanzie che le forze di polizia devono riconoscere all’omicida.

C’è da aggiungere altro? Sì c’è da aggiungere che Lamorgese, Bonetti, Conte, ecc. hanno l’obbligo di richiamare le forze di polizia a eseguire la legge per la priorità assoluta del diritto alla vita fisica e psichica delle donne.


(27esimaora.corriere.it, 6 aprile 2020)

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