7 Gennaio 2024
Outlook India

Senz’acqua né privacy, le donne di Gaza resistono. Ma per quanto tempo?

di Farah Barqawi


Ero un’adolescente quando vivevo a Gaza vent’anni fa. Ricordo che un giorno avevo un ciclo pesante. Ero alla fermata dell’autobus al valico di Rafah, che aveva sedili di plastica bianca. Ho traboccato e ho macchiato il sedile. Una donna anziana mi ha chiamato e mi ha indicato il sangue. Sono una femminista e sono cresciuta bene con mia madre femminista. Indossavo addirittura un assorbente e avevo preso tutte le precauzioni. Eppure, ricordo quanto fu stigmatizzante per me quel momento.

Oggi, seduta a Brooklyn, negli Stati Uniti, guardando la mia città ridotta in macerie, continuo a pensare a quel giorno alla fermata dell’autobus e mi chiedo cosa stiano attraversando le donne mestruate in questo momento a Gaza, che è sotto assedio israeliano da quasi tre mesi. Posso sentire la vergogna e l’umiliazione che devono provare. Molte di queste ragazze e donne portavano con sé solo uno zaino quando se ne andavano. Cosa potrebbero portare in quello zaino? Non sorprende sentire che a Gaza la richiesta di pillole per bloccare le mestruazioni e contraccettivi è aumentata dopo questa invasione. Le donne non vogliono avere le mestruazioni perché non c’è acqua.

Mi chiamo Farah Barqawi. Attualmente sto terminando un MFA [Master of Fine Arts, cioè in belle arti, Ndt] in scrittura creativa saggistica e sono una poeta. Scrivo di Gaza, del confine, di mia madre e dell’ULFA [University of Lethbridge Faculty Association]. È tutto sconvolgente perché mia madre Zainab al Ghonaimy, settant’anni, ora è a Gaza City. Attivista femminista e difensora dei diritti umani, è stata lì fin dall’inizio, sopravvivendo all’artiglieria israeliana, alle bombe e al fosforo bianco. Ha co-fondato un rifugio per donne sopravvissute a violenza domestica e abusi. Nonostante gli immani bombardamenti è rimasta nel suo appartamento a Gaza City. Nel bel mezzo del conflitto, deve sopravvivere da sola e anche gestire il rifugio. Non so quando e se potrò rivederla.

Da queste parti, la guerra ha un impatto sulle donne a molti livelli. Naturalmente stiamo perdendo un gran numero di uomini, giovani, ragazzi e anziani, e questo è devastante. Ma in queste guerre, le donne che sopravvivono si trovano arretrate di decenni nelle condizioni di vita. Le donne devono diventare le principali fonti di sostentamento per i loro figli e dovranno prendersi cura per tutta la vita dei loro familiari maschi mutilati o invalidi. Bisogna anche ricordare che, nonostante l’enorme autonomia delle donne palestinesi, la nostra è una società alquanto conservatrice e la maggior parte delle donne non si sente a proprio agio nel cambiarsi, fare il bagno o anche fare pipì negli spazi pubblici.

Ora pensate a tutte le migliaia di donne sfollate a causa di questa guerra che attualmente trovano rifugio in appartamenti o stanze anguste che condividono con altri rifugiati, uomini e donne. E si tratta pur sempre di donne della classe media o medio-alta. I poveri vivono in tende di plastica o in baracche improvvisate. Non c’è acqua, essenziale per mantenere l’igiene genitale. Ristrette in questi spazi o rimaste orfane o sfollate a causa dei bombardamenti, molte giovani donne sono anche a rischio di abusi sessuali. Ci sono così tante donne incinte e così pochi servizi di emergenza ancora sopravvissuti.

Intenzionalmente o no, l’esercito di occupazione israeliano ha preso di mira gli ospedali. L’ospedale arabo Al Ahli, che disponeva delle migliori strutture di maternità e parto di Gaza, è stato uno dei primi a essere bombardato. Molti dei miei cugini erano nati lì. Tante donne incinte hanno avuto aborti dolorosi a Gaza a causa della mancanza di strutture per il parto e di medicinali.

Alcune delle mie compagne di scuola sfollate dalla zona di Al-Remal a Gaza sono madri giovani o di mezza età con tre-quattro figli ciascuna. Le loro case sono state completamente demolite. Mi dicono che la situazione nei rifugi di fortuna e nei campi degli sfollati è orribile. Si mettono in fila per l’acqua e per l’uso del bagno e poiché non c’è acqua potabile, molti vengono umiliati e trattati come animali e costretti a bere l’acqua non potabile del bagno.

Questo è il motivo per cui mia madre si è rifiutata di lasciare la sua casa a Gaza City. Ha detto che è vecchia e che le fanno male le ginocchia, e che preferirebbe morire a casa piuttosto che vivere una vita di umiliazione come sfollata abusiva, per sempre in fuga. Mi preoccupo per lei. Tutti mi dicono di portare via mia madre da Gaza. Ma lei è forte e la sua forza dà forza anche a me.

L’organizzazione di mia madre rappresenta e difende le donne che divorziano, vengono private dell’eredità e combattono per l’affidamento dei figli. Nei giorni normali ha un team di avvocate che lavora con lei. Per tutta la vita ha lavorato duramente per creare spazi umani in cui le donne potessero interagire tra loro e con i loro figli, in particolare le donne divorziate in causa per l’affidamento.

Tutto questo lavoro ora è stato interrotto. Il rifugio è ancora in funzione, ma è un rifugio antiaereo. Non sappiamo quando potrebbe essere bombardato.

Io stessa ho seguito un corso per formatrici della CEDAW [Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination Against Women, Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, Ndt], un’iniziativa delle Nazioni Unite in base alla quale le organizzazioni per i diritti delle donne si trovano a marzo di ogni anno e discutono di protezione delle donne. Ma qual è il punto adesso? Chi formerò? A Gaza sono stati violati tutti gli accordi per i diritti minimi indispensabili delle donne.

Di tutti i servizi che Gaza ha sviluppato nel corso degli anni, come l’assistenza sanitaria, l’emancipazione delle donne, l’istruzione e la sensibilizzazione sui diritti, il cambiamento di uomini e donne – tutte le generazioni che sono cambiate o che ci stavano lavorando – metà degli operatori e operatrici sono morte o non sono più lì. Chi penserà ai diritti adesso? Al femminismo? È un passo indietro in tutti i sensi per il movimento femminista. Eppure le donne – le femministe – di tutto il mondo stanno ancora decidendo da che parte stare. Ciò che sta accadendo a Gaza è una punizione collettiva e le donne sono quelle che la subiscono.

Mentre sto scrivendo, mia madre è a Gaza e così la sua famiglia: due delle mie zie, tutti i miei cugini e le mie cugine da parte di madre sono a Gaza, solo un paio di noi è all’estero. Non sappiamo cosa ne sarà di loro, ma finora mi è stata risparmiata la tragedia di perdere una persona cara. Per questa volta. Ma due anni fa, nella guerra di maggio a Gaza, ho perso mia cugina, suo marito e due figli. Il suo unico figlio sopravvissuto ora ha dodici anni.

Continuo a pensare a cosa deve passare oggi quel dodicenne. Quali immagini gli passano per la testa? È sopravvissuto una volta. È sopravvissuto sotto le macerie come tante persone adesso a Gaza. Le donne forti di Gaza tengono duro e continuano a combattere. Ma per quanto tempo? Rivedrò mai mia madre? Per ora non ho risposte.


(Outlook India, 7 gennaio 2023. Traduzione nostra, qui l’originale.

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