16 Febbraio 2021
Wired

Storia della mia vita da scambiata per Mara Carfagna

di Maria Cafagna


L’8 maggio 2008 Mara Carfagna è diventata ministra per le Pari opportunità e da quel momento anche la mia vita non è stata più la stessa: iniziava anche per me una nuova carriera, quella da quasi omonima. E se fino a quel momento non sapevo niente di politica e di sessismo, col tempo avrei imparato molte cose sia dell’una che dell’altro.

Fino al giorno del suo primo giuramento avevo visto Mara Carfagna ai Fatti vostri con Giancarlo Magalli e sapevo che era di Salerno perché era lì che mio cugino faceva il finanziere: per me era un volto televisivo come un altro. Quando fu eletta ministra mi chiesi anche io come fosse arrivata a ricoprire quell’incarico, dato che i telegiornali passavano in continuazione immagini della sua carriera da soubrette accostandole a quelle – diverse e più conformi al ruolo – dei suoi primi passi da ministra, come se il passaggio da Miss Italia alla politica fosse avvenuto da un giorno all’altro.

A settembre dello stesso anno in cui Carfagna diventa ministra, io faccio il mio primo stage. Il mio compito era quello di fare chiamate e mandare mail, ed è lì che iniziano i «come ha detto: Carfagna?» e i «gentilissima Mara». Poi sono arrivati i social network. Sempre nel 2008 mi sono iscritta a Facebook, che all’epoca era ancora un posto carino in cui potevo contattare i miei parenti in Argentina e spizzare le foto del ragazzo che mi piaceva. Quando sono arrivati i primi messaggi d’insulti di persone che mi scambiavano per la mia quasi omonima, ci ho riso su: pensavo che sarebbe finita prima o poi. E invece no, non è mai finita: il 13 febbraio 2021, dopo che Mara Carfagna ha giurato per la seconda volta come ministra, un signore di Siracusa mi ha mandato un messaggio per chiedermi di aiutarlo a trovare lavoro scambiandomi per lei.

Luisella Costamagna, durante il talk-show che all’epoca presentava su Rai3, chiese all’ex-ministra in tono provocatorio come fosse stato possibile per lei passare da soubrette a incarichi istituzionali così importanti; Carfagna non si scompose e rispose con eleganza, ma a tono: «Anche sul suo conto ci sono stati molti pettegolezzi» – disse alla giornalista – «ma io ho sempre pensato che lei fosse arrivata dove è arrivata non per avvenenza ma per il suo merito».

Nonostante abbia passato più tempo in politica che in televisione insulti, accuse e insinuazioni continuano a essere rivolti a Carfagna in continuazione. E lo so perché parte di quegli insulti me li sono presi io. Sono stata taggata in post e commenti rivolti a lei, mi hanno dato della bocchinara e mi hanno detto di tornare a fare i calendari. Se empatia vuol dire mettersi nei panni di un’altra persona, io nei panni di Carfagna mi ci sono trovata mio malgrado. E quegli attacchi ricevuti per interposta persona col tempo mi hanno spinto non solo a solidarizzare con la ministra, ma anche con tutte le soubrette e le olgettine che da anni subiscono lo stesso trattamento. Del resto io da bambina sognavo di fare la letterina, mica l’ingegnera. Imparavo gli stacchetti, il mio mito era Alessia Mancini di Passaparola. Insomma, prendendo in prestito le parole di Michela Giraud: la verità è che io volevo essere una fregna! Se anziché restare un brutto anatroccolo fossi diventata uno splendido cigno, anche io avrei tentato la carriera da valletta, e forse mi sarei trovata in mezzo allo stesso tritacarne mediatico in cui si sono trovate tutte quelle donne che hanno scelto di fare carriera puntando sulla propria immagine. 

Questo non è comunque il caso di Mara Carfagna che, nonostante sia nata bella e benestante, ha scelto di complicarsi la vita e fare politica. Per quanto sia legittimo non essere d’accordo con le sue posizioni, è innegabile che Carfagna abbia subito degli episodi di vera e propria violenza verbale rivoltele molto spesso (e questa forse la parte peggiore) da altre donne.

Durante il Sundance Film Festival è stato presentato il documentario Framing Britney Spears che, tra le altre cose, ha evidenziato come la narrazione tossica e misogina fatta dai media abbia contribuito ad affossare l’immagine pubblica della cantante americana. In seguito alla diffusione del documentario, alcuni utenti su Twitter hanno condiviso un’intervista di David Letterman a Lindsay Lohan in cui le battute del conduttore sulla salute mentale dell’attrice la spingono fino alle lacrime. Mara Carfagna non ha mai ceduto agli attacchi e si è sempre dimostrata forte e risoluta nel restituirli al mittente, ma è innegabile che negli anni verso di lei sono state fatte delle insinuazioni volgari e pesanti da quel pezzo di società civile che in teoria dovrebbe rappresentare la parte più progressista del paese.

Mentre Carfagna combatteva la sua battaglia contro il sessismo, io proseguivo la mia quotidiana guerra con la razionalità su Twitter, dove continuavo – e continuo tuttora – a essere scambiata per lei. Ogni volta che un mio tweet esce dal mio consueto giro di follower, qualcuno corre a congratularmi o a insultarmi a seconda dei casi. Una volta sono perfino finita al tg perché sono stata scambiata per un suo account fake. E dire che l’ho pure scritto nella bio, «da non confondere con la più famosa Mara», ma non c’è verso.

Un giorno ricevo una telefonata da uno strano prefisso 06. Riconosco il numero della Camera dei deputati: un mio ex fidanzato ci lavorava, poteva capitare che mi chiamasse dal fisso. Rispondo e dall’altra parte c’è l’ufficio della vicepresidente Carfagna che ha il piacere di invitarmi a un incontro sulla violenza contro le donne. Ringrazio, rido, chiamo la deputata per cui lavoro e le chiedo se è uno scherzo, ma lei mi giura di no. Poco dopo mi arriva una mail ufficiale dall’ufficio della vicepresidente Carfagna con ora e giorno dell’evento.

Quella sera, insieme a tante donne che come me avevano subito abusi, ho partecipato a una splendida serata ricca di testimonianze molto toccanti. Quando le luci si sono spente e qualcuna è andata a ringraziare Carfagna, le persone che erano con me hanno insistito affinché andassi a salutarla. Mi ero preparata tutto un discorso in cui la ringraziavo per avermi aiutata a riconoscere e a combattere il sessismo senza perdere l’eleganza, e mi ero ripromessa di dirle che nonostante l’essere distanti politicamente, io verso di lei provo un senso di autentica sorellanza; che con lei mi sento capita perché, nel bene e nel male – anche se lei non lo sa – quella battaglia l’abbiamo combattuta insieme. Ma non le ho detto niente di tutto questo, perché mentre mi facevo coraggio il suo staff la portava via. Poco male: quando chiamano il nostro nome risponderemo sempre come un’unica donna.


(Wired.it, 16 febbraio 2021)

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