31 Agosto 2021
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Sulle madri in rivolta come soggetto imprevisto

del Collettivo Donne InCuranti


La nostra campagna #madriinrivolta è, almeno per ora, giunta a conclusione: si sono tenuti presìdi ed è stato consegnato il nostro appello alle Prefetture nelle città di Venezia, Reggio Emilia, Piacenza, Pisa, Firenze, Napoli, Roma, Bologna, Rimini, Parma, Palermo, Catania.

Nel ringraziare tutte coloro che hanno sostenuto l’iniziativa, proviamo ora, nella pausa estiva, a fare un breve bilancio, anche nel contesto del nostro percorso come Collettivo.

Dai presìdi sono anzitutto emersi il bisogno e la volontà delle donne di esprimere la loro rabbia per questa restaurazione neo-patriarcale, la quale sta attaccando il legame materno con ferocia e determinazione implacabili. Donne di tutte le città d’Italia che, sempre più numerose, hanno chiesto di unirsi ai presìdi e di accedere ai materiali, unite nella condanna della legge 54 e della bigenitorialità. Grazie alle testimonianze dirette di queste madri presenti ai presìdi, associazioni e personalità della politica e del femminismo e singole donne hanno potuto prendere coscienza anch’esse di questa mattanza. Dal 2006 è infatti in atto un massacro fatto di decreti di allontanamento di bambini verso case-famiglia o presso padri maltrattanti, di spese processuali addebitate alle madri e di veri e propri trattamenti sanitari obbligatori dal nome di CTU – consulenze tecniche di ufficio – con il quale si comminano pene e attribuiscono diagnosi di sindromi inesistenti come l’alienazione genitoriale. Riteniamo, tuttavia, che la violenza istituzionale contro madri e bambine/i rappresenti solo la punta dell’iceberg. Alla base c’è la precisa volontà di ri-assoggettamento delle donne che ci tocca tutte ed in tutti gli ambiti, con la finalità di ricollocarci nel ruolo tradizionale di “corpi di servizio”.

Si rende necessario, dunque, connettere questi ambiti in uno spazio di riflessione, elaborazione e azione politica. Proviamo dunque a ripercorrere le tappe di questo processo e inserirlo in una analisi politica più ampia.

La legge 54/2006 su bigenitorialità e affido condiviso venne approvata velocemente e quasi all’unanimità, con voto trasversale di quasi tutti i partiti. Andava a soddisfare il paritarismo, che vedeva nella condivisione del carico di cura la strada della libertà femminile e della responsabilità maschile, ed è ciò che pensano ancora oggi molte donne. Ma questa legge furono i padri separati a volerla. Organizzati in lobbies bene attrezzate sia dal punto di vista economico che politico, costoro erano stanchi di riconoscere alle madri il “privilegio” della contribuzione economica paterna al mantenimento, decisi a mettere in discussione la preminenza del legame materno nella crescita dei bambini, preminenza sancita e protetta dalla riforma del diritto di famiglia risalente al 1975. L’effetto paradossale della legge 54, poiché basata sul concetto di bigenitorialità, è stato quello di dividere in due i bambini, anziché le responsabilità. Anche osservando ciò che accade in ambito internazionale siamo nel pieno di un passaggio teoretico cruciale, quello dalla differenza all’indifferenza sessuale, ove a perdere sono ovviamente coloro che sono oppresse sulla base del loro sesso: le donne.

Rimossa, politicamente e simbolicamente, la differenza sessuale delle donne, diviene priva di linfa la loro liberazione sessuale.

La campagna del senatore Simone Pillon (Lega Nord) con il suo Ddl per il mantenimento diretto, poi archiviato nel 2019, non sarebbe stato che il ‘perfezionamento’ della legge 54, il suo rafforzamento. Il volere di Pillon e delle associazioni dei padri separati era quello di cancellare quel margine di valutazione processuale per l’affido esclusivo alle madri, in tutte le situazioni in cui vi era una estrema evidenza di inadeguatezza paterna, con le conseguenze patrimoniali del caso. Si badi bene che l’applicazione della legge 54 ha assicurato ai “comunque padri” ordinanze di verifica e rafforzamento delle capacità genitoriali persino nei contesti di violenza, ma a Pillon questo non bastava.

Si provi a immaginare situazioni come queste: un bambino di pochi mesi affidato pariteticamente a due genitori, o una madre che cerca di proteggere questo stesso bambino in un contesto violento e che viene accusata di simbiosi, malevolenza o istigazione all’odio del padre.

Sembrerebbero situazioni incredibili, assurde, eppure è ciò che accade nei Tribunali italiani e non solo. D’altra parte, i giudici applicano le leggi, e la legge impone la bigenitorialità. Trattasi del ripristino della patria potestà, che ha come conseguenza la macelleria di madri e bambini, questi ultimi sovente allontanati, messi in casa-famiglia o persino affidati al maltrattante.

Intorno, un fiorente mercato di consulenze tecniche e legali, con le madri soccombenti costrette a pagare cifre astronomiche in spese processuali e di difesa.

Fatta una estrema sintesi dello stato delle cose, passiamo ora all’analisi politica e simbolica, e all’elaborazione di una possibile via d’uscita per le madri e le donne tutte.

Prima di ogni altra cosa va chiarito il concetto di bigenitorialità: esso, come trapianto alieno in un corpo sociale misogino, è nato con la precisa volontà di cancellare il legame materno. Non è infatti possibile omologare la responsabilità paterna al legame materno, neanche sapendo che molti padri sono perfettamente adeguati.

Il legame materno, chiariamo, non è né la mistica della maternità – ahimè già messa con le spalle al muro dalla totale assenza di sostegno e dalla decostruzione del suo valore simbolico – né l’esercizio di una rendita di posizione. Il legame materno è la necessità psicofisica del bambino, così come assodato dalla trattazione psicologica di massima autorevolezza e vissuto nella concretezza delle relazioni. Il legame materno è anche la misura ed il modello di tutti i legami di dipendenza dell’umano, la chiave per crescere e vivere nella consapevolezza della fragilità e della interdipendenza. Ecco, però, che il legame materno come paradigma relazionale pone un profondo problema di compatibilità con l’etica del presente, motivo per cui se ne vuol fare piazza pulita materiale e simbolica, da più fronti e con eccezionale impiego di risorse.

Noi pensiamo che il sostegno a queste madri parta da qui, dalla consapevolezza profonda del perché su di loro e su ciò che rappresentano si scagli tanta violenza.

Mettendo da parte sovrastrutture e trascorsi, abbiamo visto nelle madri la soggettività imprevista e autentica. La loro resistenza è altrove rispetto ai tentativi di creare spazi di accettabilità della bigenitorialità. Sono infatti le madri stesse che ci hanno spiegato che la bigenitorialità è una trappola, un inganno, un raggiro, raccontandoci il concreto del vissuto quotidiano, dall’ordinaria trascuratezza a casi agghiaccianti in cui padri abusanti di cui è impossibile dimostrare la colpevolezza diventano affidatari dei bambini (!). Sono queste madri che hanno pagato sulla loro pelle, e a carissimo prezzo, quell’errore giuridico e politico clamoroso che è la legge 54/2006.

Questo percorso di consapevolezza è doloroso e difficile, e impone di guardare ai limiti di certe visioni adottate finora: come può una donna con quattro figli in casa-famiglia preoccuparsi dell’adeguamento normativo europeo in materia?

Piuttosto, è giunto il momento di una connessione tra tutte le madri d’Europa, della creazione di un fronte comune di lotta, si impone la necessità di una lettura politica e simbolica di ciò che sta accadendo.

Il sogno paritario degli anni ’70 ha lusingato le figlie promettendo loro la libertà contro le proprie madri, contro ciò che esse rappresentavano. Siamo pronte, oggi, nel 2021, a riconoscere l’ingenuità di quel pensiero, a ravvisare in esso la volontà di recisione della genealogia femminile? Se le madri non sono libere nella loro differenza non potranno crescere figlie libere, e le donne resteranno corpi da riproduzione al servizio del patriarcato.

Adesso siamo ad uno snodo. Il tema comincia a chiarirsi e sempre più donne condividono l’idea che la lotta imprevista delle madri richiami la vecchia guerra tra i sessi mai risolta, che il patriarcato sia in buona salute al punto di proporre una neo-potestà genitoriale.

A ciò si aggiunga la condizione socio-economica delle madri, spesso precarie, indigenti, morte sul lavoro, sole a crescere figli che il destino talvolta vuole campioni olimpionici, donne designate come erogatrici di servizi sessuali e riproduttivi, dalla prostituzione alla surrogazione, ignorate nei carichi di cura e invisibilizzate, quando non ridicolizzate, nella sapienza sulla riproduzione della vita materiale. Queste sono sfide sociali e politiche che stanno attraversando materialmente, concretamente i corpi delle donne e che dà ragione di tanta partecipazione. Madri in Rivolta è stata la sola resistenza obbligata e autentica, al di fuori di tatticismi e opportunismi, di fondi e professionismo femminista, una campagna in aperto conflitto verso la politica lontana dal presente, identitaria, dirittista. Le madri in rivolta fanno i conti con bisogni radicali non comprimibili, come quello di un legame spezzato da un allontanamento in casa-famiglia.

La battaglia per l’abrogazione della legge 54/2006 è una battaglia di civiltà ed autorità femminile. Ci domandiamo, infatti, quale femminismo per il futuro, per una speranza concreta di liberazione per le donne, ci può essere senza le madri? Riprenderemo da qui, con chi vorrà unirsi a noi, il nostro percorso.


Collettivo Donne InCuranti


#madriinrivolta è una campagna su iniziativa di: Collettivo Donne InCuranti, Comitato Madri Unite, MaternaMente, MovimentiAMOci Vicenza. Con il supporto di Chegender.


Molte associazioni hanno aderito ai presìdi locali.

Qui album foto e video: https://bit.ly/3xDNASb

Qui album rassegna stampa: https://bit.ly/3fVvDIZ


(Facebook, 17 agosto 2021)

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