19 Giugno 2020
Ytali

Una contraddizione antica portata a galla dal Covid-19

di Luisa Muraro


Sarà prossimamente presentato alla Camera il disegno di legge contro l’omotransfobia, che ha l’obiettivo del contrasto alla violenza e alla discriminazione per motivi legati al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere, in linea con una risoluzione del Parlamento europeo sull’omofobia in Europa, risalente al 2006 e rimasta finora fuori del nostro ordinamento. E, proprio nei giorni scorsi, una presa di posizione del ministro Provenzano, che ha disdetto la sua partecipazione a un convegno perché il panel era composto di soli uomini, ha portato al centro dell’attenzione il tema delle donne e della donna nella vita pubblica italiana. Prendendo spunto da queste ultime vicende, abbiamo chiesto a Luisa Muraro il suo punto di vista.


È stato sensato e opportuno, secondo me, che l’autorità scientifica abbia tolto l’omosessualità dall’elenco delle malattie e trovo che sia giusto ricorrere anche alla legge per difendere le minoranze sessuali, comprese le trans, intendo con trans (al femminile) quelle persone che non accettano di dedurre la loro identità sessuale dal sesso anatomico con cui sono venute al mondo, quello maschile, e chiedono di essere considerate di sesso femminile.

Ma c’è un’obiezione. La sessuazione, cioè il sesso e la differenza sessuale pongono degli interrogativi alla nostra umanità, interrogativi la cui formulazione domanda molta finezza, da una parte e dall’altra molta franchezza. Il linguaggio della legge non è fatto per rispondere a queste contrastanti esigenze, per cui, a voler proteggere le minoranze con la legge, si rischia di favorire l’ipocrisia del potere.

Che fare? Una strada si apre con l’analisi delle contraddizioni. Le contraddizioni spesso sono risposte mancate che fanno vedere uno sprazzo di realtà, così come fanno i lapsus rispetto all’inconscio. Non vanno corrette di corsa ma, se siamo alla ricerca del vero (ossia, di quello che vuol dire la realtà), vanno ascoltate.

Durante la pandemia ancora in corso, è venuta a galla una contraddizione istruttiva che ora esporrò nei termini con cui si è mostrata in Italia.

L’Italia, come noto, è il primo paese occidentale investito dall’epidemia di Covid-19 e i responsabili politici, per prendere le decisioni che, secondo il nostro ordine costituzionale, toccava a loro prendere, si sono aiutati con l’autorità alla scienza. Di fatto si sono affidati quasi esclusivamente a uomini, perché uomini sono i personaggi più in vista nei diversi ambiti del sapere codificato.

A un certo momento questo involontario sessismo è diventato evidente; poi vedremo con quali conseguenze. D’altra parte – una tutt’altra parte! ma sempre di uomini e donne si tratta – l’epidemia ha messo in evidenza quello che i progressi della medicina ci fanno dimenticare, e cioè che, “per la genetica, il sesso debole è quello maschile”, come ha esplicitamente detto, sul terzo canale tv, il mercoledì 10 giugno scorso, il telegiornale della scienza e dell’ambiente, con il tono della cosa risaputa.

Domanda: è solo per caso che l’“eccellenza” scientifica sia esibita dal sesso “debole”?

Forse no, forse è un capovolgimento sensato (non dico giusto) che si è prodotto nella traduzione culturale della differenza sessuale. Lo fa pensare il fondatore stesso del patriarcato, Aristotele, nella sua teoria della generazione. Di lui è nota l’immagine del piccolo forno usata per la funzione dell’utero durante la gestazione, paragonata alla cottura di una pagnotta preparata e messa in forno dal fornaio (l’uomo di sesso maschile). Bisogna sapere che Aristotele faceva scienza sui fenomeni non direttamente osservabili ricorrendo anche all’immaginazione e al ragionamento, per cui, volendo forse dare un fondamento alla prevalenza sociale del maschile sul femminile, inventò una teoria della differenza sessuale in cui indovina genialmente come vanno le cose… ma all’incontrario! Infatti, per Aristotele la differenza si determina, dopo il concepimento, per una specie di incidente casuale in un programma che, di suo, prevedeva soltanto maschi. Ragionando anch’io, ma aiutata dalla critica storica e dalla scienza di laboratorio, due specialità moderne, rispondo dunque alla questione posta sopra, che sì, potremmo ipotizzare che l’emergenza dell’epidemia ha riportato a galla, nelle decisioni del relativamente innocente Giuseppe Conte, un collegamento profondo tra l’inferiorità biologica e un bisogno di rivalsa, che si nasconde nella ricerca maschile di autoaffermazione. “Si nasconde”, ho scritto; infatti il bisogno di rivalsa degli uomini civilizzati non si esprime direttamente sul sesso femminile, ma nella gara tra maschi, cioè tra uomini per primeggiare civilmente. Sono sicura che Giuseppe Conte, nominando quasi esclusivamente uomini, non l’ha fatto apposta, non ci aveva pensato, semplicemente.

“Hai ragione, non ci avevo pensato!” è l’esatta risposta che ricevette la ministra guardasigilli del governo Monti, quando fece il nome di una giovane studiosa molto dotata: la risposta veniva da un collega che cercava e non trovava il nome di un giovane dotato per una promozione. In un paese di patriarcato antico (che non vuol dire peggiore) come l’Italia, capita più spesso che in altri che in certi contesti gli uomini “non pensino” alle donne: sono i contesti della loro omosessualità rimossa, essenzialmente il contesto della gara per il potere.

Quando gli uomini onesti e civili se ne accorgono, corrono ai ripari.

Che cosa mettono al riparo? Con questa domanda comincia la seconda parte del mio ragionamento, che riassumo perché chi mi legge probabilmente lo sa. Mettono al riparo se stessi proponendo di chiudere la contraddizione, divenuta manifesta, con la soluzione moderna. Che è l’uguaglianza o, più precisamente, la parità uomo-donna basata sull’uguaglianza dei diritti.

Più facile a dirsi che a farsi, per più ragioni. Quella di fondo (e siamo arrivati al dunque) è questa, che la differenza sessuale, prima di essere tradotta nella versione patriarcale della gerarchia tra i sessi, era un’invenzione della vita per durare e consisteva (anzi consiste, la vita non ha cambiato idea) in una asimmetria radicale e irrimediabile tra due, due che tra gli umani si sono chiamati sesso femminile e sesso maschile. La parità è una risposta al patriarcato, non alla vita. La quale vita, per giunta, ha inventato la sessuazione per riprodursi, ma non ha inventato la separazione matematica tra i due sessi. I sessi sono due ma l’appartenenza degli individui all’uno o all’altro ha dei margini di approssimazione con i quali si può giocare, cosa che gli uomini, senza escludere le donne, non hanno mancato di fare in tanti modi, ricorrendo all’ingegnosità (oggi, la tecnoscienza), alle idee (religiose, etiche o filosofiche) e alla politica (il patriarcato antico e moderno, superato grazie al femminismo).

Alla domanda che traspare dalla contraddizione delle scelte “maschiliste” dell’Italia, rispondo dunque con l’ipotesi “aristotelica” corretta dal contributo della scienza di laboratorio. Rispondo cioè che la differenza maschile, nella traduzione o passaggio dal biologico all’ordine mediato dal linguaggio, a un qualche livello viene sentita come un tralignare dal programma materno, una specie di tradimento biologico della madre, e come tale occultato. La migliore, sorprendente, conferma viene dalla transessualità qui presa in considerazione, che è il voler essere di sesso femminile, lo stesso della madre da parte di individui che nascono sessuati maschili, individui che oppongono un altrimenti misterioso rifiuto ad appartenere al sesso sedicente primo o superiore, e comunque socialmente privilegiato. Dicono no per fedeltà al programma materno.

È solo un’ipotesi, certo, ma trovo sospetto che, nella proposta di legge attualmente in discussione, primo firmatario il deputato Zan, si pretenda difendere le trans cancellando la differenza sessuale, cioè il significante della loro trasgressione, per sostituirla con un’espressione neutra: “identità di genere”. “Sarebbe stato difficile ricorrere a una terminologia diversa”, ha detto il deputato Zan. Perché, mi chiedo.


(Ytali., 15 giugno 2020)

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