28 Giugno 2022

Una nostra riflessione sulla recente sentenza della Corte di giustizia americana

di Biblioteca delle donne e Centro di consulenza legale UdiPalermo


È sempre sul corpo – e la libertà – delle donne che un patriarcato sempre più in crisi, ma sempre pericolosamente e scompostamente pronto a colpire, cerca ancora di esercitare il suo controllo, con la legge e col discorso. Un orientamento che sembra dominare a livello mondiale, con straordinaria concordanza di vedute, tanto nei regimi autocratici, quanto nelle “democrazie”.

Lo ha dimostrato da ultimo la Corte di giustizia americana con la cancellazione della sentenza #RoecontroWade che nel 1973 aveva consentito di rendere possibile l’aborto in tutti gli Stati Uniti sulla base di un’interpretazione del 14° emendamento della Costituzione che riconosceva come fondamentale il principio della riservatezza e garantiva pertanto alle donne, in tema di riproduzione, l’autodeterminazione sul proprio corpo. Da oggi la scelta delle donne, non più legittimata dalla costituzione federale, sarà di nuovo subordinata all’arbitrarietà delle decisioni politiche di ogni singolo stato.

La questione dell’aborto in Usa porta tuttavia in primo piano l’ipocrisia e il paradosso costituito da un paese dove il tasso di mortalità femminile per parto è il più alto del mondo industrializzato; che non prevede – unica nazione industrializzata – il congedo di maternità retribuito obbligatorio; dove per gli asili nido si spende circa il 2% di quanto destinato da alcuni paesi europei e dove circa il 16% dei/lle bambini/e vive in povertà; infine un paese dove, negli stati in cui l’aborto è stato o sarà vietato, ogni gravidanza non portata a termine potrà essere potenzialmente indagata come reato, anche utilizzando tutti gli strumenti di controllo digitale e dove si avanzano, come già accaduto in Italia, proposte di affermare i “diritti” del feto (lo ha ricordato con lucida analisi Jia Tolentino sul New Yorker del 24 giugno).

Siamo dunque di fronte al paradosso di un paese che si preoccupa della vita solo se in forma fetale.

“Non torneremo indietro” è lo slogan lanciato dalle americane e sebbene appaia contraddittorio rispetto agli eventi presenti, è certamente il segno che le donne contrasteranno questa ennesima controffensiva alla “rivoluzione” femminile che ha segnato il passaggio delle donne da oggetto a soggetto (di pensiero, azione, desiderio) e affermato l’autodeterminazione quale principio etico regolativo della procreazione.

Ma dovremo contrastare anche le posizioni alla Preciado, influente pensatore queer che, intervistato sul Manifesto del 26 giugno, ha affermato che «Le femministe dovrebbero smettere di pensare all’utero e al corpo femminile come qualcosa di naturale, altrimenti, mi dispiace ma non si può abortire», riducendo così l’aborto a mera “tecnologia del corpo” e cancellando ancora una volta corpo ed esperienza femminile.


(https://m.facebook.com 28 giugno 2022)

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