21 Gennaio 2021

Una nuova forma di discriminazione: la satirafobia?


della Misantropa


L’incessante e suggestiva lotta contro e per l’ingiustizia nel mondo non finisce mai di stupirci e intrattenerci con la sua mutevolezza. È chiaro che il primo campo di battaglia è oggi quello linguistico. Se una volta c’erano i poveri e gli oppressi, che chiedevano pane e habeas corpus, oggi ci sono i discriminati la cui prima sacrosanta richiesta è quella di far entrare il nome della propria specifica discriminazione nei dizionari, nei social, nelle parole delle canzoni, sulle etichette dei cereali e nel codice penale. Nate dal felice connubio tra political correctness e pride (che, come ci insegna una delle più amate zie di tutte noi, va di solito a braccetto con prejudice), queste nuove parole indicanti la discriminazione costituiscono uno dei settori produttivi maggiormente in crescita, tanto che si sta studiando il modo di introdurlo nel Pil. Tra parentesi notiamo che lo stile di queste parole si è evoluto, passando dal già collaudato -ismo (sessismo, razzismo, classismo ecc.) al più attuale -fobia, più snello e adatto per un uso modulare (es. omo-trans-lesbo-bi-plus-fobia). I suffissi hanno decisamente spodestato i prefissi, resistono la mis-antropia e la miso-ginia che, però, oltre a essere un po’ retrò sono decisamente generiche, a-specifiche e quindi identitariofobiche. La fine delle discriminazioni è prevista per il 2050. Entro tale data saranno forniti a tutti i discriminati parità e uguaglianza: le donne saranno uguali agli uomini, i non-caucasici ai caucasici, i poveri ai ricchi e così via, ma nel rispetto delle differenze (gli uomini, infatti, non saranno uguali alle donne e i ricchi saranno ancora più diversi dai poveri, mentre i caucasici, visto il trend economico dell’Occidente, cercheranno di passare per non-caucasici per trovare un lavoro). […]


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(erbacce.org, 21 gennaio 2021)

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