23 Giugno 2021
Wired

Vale la pena parlarne

di Maria Cafagna


Quando vedo le persone che comunicano taggandosi a vicenda nelle storie di Instagram penso: ma perché non vi telefonate? Sarà che sto invecchiando e a volte mi sento la mamma di Zerocalcare, ma trasecolo ogni volta che vedo qualcuno che usa Twitter o Instagram come una chat privata. Qualche giorno fa la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie ha pubblicato sul suo sito un breve saggio che ha fatto molto discutere. Adichie è da anni impegnata nella lotta al razzismo e per le pari opportunità, ed è diventata celebre in tutto il mondo grazie a un TedTalk poi diventato un bestseller dal titolo “Dovremmo essere tutti femministi”. Nonostante si sia sempre battuta per un mondo più inclusivo, nel 2017 Chimamanda Ngozi Adichie è stata accusata di transfobia dopo aver detto in un’intervista che secondo lei «le donne trans sono donne trans». In seguito, Adichie ha spiegato le sue dichiarazioni con un lungo post su Facebook e ha difeso un controverso intervento di J.K. Rowling sull’identità di genere. Con il saggio It’s Obscene, la scrittrice nigeriana è tornata sull’argomento allargando il ragionamento all’odio in rete.

Chimamanda Ngozi Adichie racconta che di tutta quella vicenda è stata particolarmente colpita dall’atteggiamento di due persone a lei vicine: entrambe avevano frequentato i suoi corsi ed entrambe, seppure a diversi livelli, godevano della sua stima. Dopo le sue dichiarazioni del 2017 però, hanno preso le distanze da lei accusandola pubblicamente di essere una persona transfobica e aizzando shitstorm ai suoi danni. La prima persona di cui parla Adichie ha poi provato a contattarla chiedendole perché avesse interrotto i rapporti con lei in seguito a quell’episodio; la seconda persona (l’autore Akwaeke Emezi) ha poi usato il nome della scrittrice nella quarta di copertina del suo romanzo d’esordio, mandando su tutte le furie la stessa Chimamanda Ngozi Adichie che, come è facile immaginare, ha chiesto all’editore che il suo nome venisse cancellato. A questa richiesta sono seguite altre frasi pesanti: la persona in questione ha infatti scritto che la morte dei genitori di Adichie durante la pandemia è stata la punizione divina per le sue frasi transfobiche.

Dopo aver ricostruito l’accaduto, Chimamanda Ngozi Adichie si chiede se un atteggiamento così aggressivo e chiuso di una parte sempre più importante di giovani attivisti e attiviste non sia dannoso e controproducente.

Mentre la maggior parte di chi ha commentato il saggio si è concentrata su queste questioni, a me ha colpito il passaggio in cui, riferendosi alla giovane scrittrice che aveva aiutato e a cui si era molto affezionata, Chimamanda Ngozi Adichie dice «naturalmente [quella persona] avrebbe potuto benissimo avere dei problemi con quell’intervista. Questo è abbastanza legittimo. Ma ho avuto un rapporto personale con lei. Avrebbe potuto scrivermi un’e-mail, chiamarmi o scrivermi. Invece è andata sui social media per mettere su una performance pubblica». Insomma, anche lei come me si è chiesta perché certe cose non si possono risolvere in privato o al telefono anziché usare i social come uno sfogatoio. Il motivo, spiace dirlo, è molto semplice: è tutta una questione di engagement. Lo vedo sul mio profilo Instagram quando commento un fatto d’attualità: salgono le condivisioni, le interazioni e i follower. Se quell’opinione me la tenessi per me, non accadrebbe niente di tutto ciò. Non sono io, non siete voi, sono i social che funzionano così. Se ci stiamo dentro, stiamo alle regole del gioco. C’è un saggio che ho trovato illuminante a riguardo e che vi invito a leggere: si chiama Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social ed è scritto da Jaron Lanier, pioniere dell’informatica che appare anche nel documentario Netflix The Social

Dilemma. Una delle ragioni per cui secondo l’autore dovremmo cancellare i nostri account è che i social network ci stanno facendo diventare stronzi/e: «Ho notato che scrivevo cose in cui non credevo» – scrive Lanier – «solo per procurarmi una botta all’umore. Scrivevo quello che sapevo che la gente voleva sentire, oppure il contrario, perché sapevo che sarebbe partito un flame». Ecco perché non ci telefoniamo, ecco perché partiamo all’attacco, ecco perché siamo aggressive/i: abbiamo venduto l’anima a Zuckerberg. Credo che, oltre a farci diventare ogni giorno più stronzi/e, i social ci stiano facendo diventare sempre più maleducate/i: ringraziamo poco, salutiamo ancora meno, ci arrabbiamo spesso e volentieri. Di questo passo, dice la mia amica farmacista, toccherà rendere il galateo materia curriculare e adottare Il saper vivere di Donna Letizia come testo base alla scuola dell’obbligo. Io sono molto d’accordo con lei, ma ripartire dalle buone maniere potrebbe non bastare. Diverse inchieste riportano che sempre più creator digitali stanno mettendo a rischio la propria salute mentale. Il fenomeno sta diventando preoccupante e diverse testate internazionali danno spazio a questo argomento. C’entrano naturalmente le pressioni e gli hater, ma anche il mondo del lavoro contemporaneo. C’è poco da ridere e tanto da fare, ma possiamo cominciare dalle piccole cose: come alzare il telefono e parlarne.


(Wired.it, 23 giugno 2021)

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