28 Maggio 2016
Il Paese delle donne

Vita Cosentino – Scuola. Sembra ieri, è già domani – L’autoriforma come trasformazione della vita pubblica

di Donatella Borghesi


La buona scuola siamo noi! Lo sosteneva pochi mesi gran parte del popolo della scuola, durante la discussione in parlamento della riforma Giannini. Uno slogan – che al di là delle contestazioni ai singoli punti – metteva in evidenza la frattura tra il corpo insegnante e le istituzioni. Un’incomprensione che viene da lontano, da anni in cui ogni governo si sentiva in obbligo di buttare all’aria la riforma fatta dal governo precedente, inseguendo in modo affannato la crisi di sistema che cominciava a profilarsi. È stato un susseguirsi di riforme decisamente poco amate, soprattutto quelle di Moratti e di Gelmini. Quest’ultima – sempre secondo maestre e insegnanti – ha dato il colpo di grazia all’eccellenza riconosciuta in tutta Europa della scuola elementare italiana, riportandola al “maestro unico” (che in realtà non è neutro, ma al 98 per cento fatto di maestre!).

Chi sono questi insegnanti, che giorno per giorno continuano eroicamente a far funzionare il momento più importante e delicato della società, la formazione, e a presidiare il luogo privilegiato di incontro tra generazioni? Ora una di loro – “comune” insegnante di scuola media nelle periferie milanesi, come si definisce Vita Cosentino – dà voce alla storia sommersa degli insegnanti, nella grande maggioranza donne, che dagli anni Novanta hanno portato avanti quella che si è chiamata “l’autoriforma della scuola”, con la convinzione che il sapere nasca dall’esperienza, dal rapporto vivo. E che il cambiamento della scuola deve partire da quello che c’è già e che funziona.

Un’autoriforma fatta di incontri personali e collettivi, di articoli, libri, convegni, film. Un percorso che ha scelto non la contrapposizione sterile, ma il sostegno alla “buone pratiche” che chi insegna mette in atto con gli studenti e le studentesse. Perché, sostiene Vita Cosentino – e con lei Marina Santini e Alessio Miceli che hanno curato il libro – «la crisi riguarda i linguaggi, l’approccio al sapere e le forme della sua trasmissione. Questo può suscitare smarrimento e tendenze nichiliste, ma può essere visto come un’occasione di cui approfittare per diventare insegnanti che sanno insegnare a giovani persone a cui piace imparare».

È con l’amore per il suo lavoro che l’autrice ripercorre questi anni, dando largo spazio ai contributi dei suoi compagni di viaggio – uomini e donne – in una sorta di autobiografia corale. Il filo rosso che la guida è la “pedagogia della differenza”, nata dalla soggettività femminile e dalla sua indipendenza simbolica che si afferma con il pensiero della differenza sessuale. I punti di forza di questa proposta di autoriforma sono: autorizzarsi alle proprie esperienze soggettive, porre la relazione al centro dell’impegno didattico, capovolgere il rapporto tra razionalità ed emozione. Più cura per i rapporti reali con allievi e allieve e meno ossessione per tecnicismi, schede e test, insomma. Più spazio al desiderio, alla parola, anche al sogno e alla felicità… Richiamandosi alle tesi del sociologo francese Alain Touraine, secondo cui è entrata in crisi la visione tradizionale del sociale e viene avanti un mondo fatto di identità e soggettività culturali, l’autrice mostra che una nuova politica è possibile, e che può essere ancora appassionante.

Al racconto dei percorsi e degli incontri vissuti dall’autrice, segue una scelta di alcuni saggi e articoli lasciati vicino alla situazione in cui sono nati, perché ne rimanga impigliato qualcosa dei fatti e delle relazioni che li hanno prodotti. Sono idee che nascono da quello che c’è e accade, nel continuo scambio umano, con la consapevolezza che contrapporsi, anche se i motivi non mancano, può risultare sterile o, peggio, controproducente. C’è sempre qualcosa che si può fare, invece di arrendersi.

Tutti i sistemi scolastici occidentali sono in una crisi strutturale e i processi riformatori, ispirati all’aziendalismo, il più delle volte la aggravano. La crisi riguarda i linguaggi, l’approccio al sapere e le forme della sua trasmissione. Questo può suscitare smarrimento e tendenze nichiliste, ma può anche essere visto come un allentamento di vincoli non necessari, quindi un’occasione di cui approfittare per diventare insegnanti che sanno insegnare a giovani persone cui piace imparare.

Il libro propone di seguire l’itinerario di una soggettività femminile che si appassiona al suo lavoro e inventa pratiche politiche per cambiarlo. L’autrice è una comune professoressa di scuola media che pensa e agisce ma non da sola, impegnando se stessa, gli altri, e prima di tutto alunni e alunne, a trasformare il mondo in cui vivono. Ne scaturisce un bagaglio di pensiero e di esperienze capaci davvero di cambiare in meglio la scuola. Il percorso  parte dagli anni ’80, con la presa di coscienza della pedagogia della differenza, per poi dare vita a un movimento di donne e uomini: l’autoriforma della scuola, una rete molto attiva nel pubblicare articoli e libri collettivi, con le idee scaturite dall’incontro con studenti e studentesse. Uno di questi libri, Buone notizie dalla scuola, tradotto in lingua spagnola, ha camminato fino in Cile, ispirando di recente la tesi di dottorato di un giovane insegnante, Julio H. Fernández, che fin dal titolo parla esplicitamente del “movimento per l’autoriforma italiana della scuola come un’esperienza di trasformazione personale”.

Il libro mostra una politica possibile che tiene insieme l’approfondimento delle pratiche a scuola e una trasformazione più ampia della società. Con una sorta di autobiografia professionale e politica, fa vedere che, nelle condizioni più comuni, si può uscire dall’anonimato e restare fedeli a sé, strappando la propria esistenza alla ripetizione e al conformismo. Si può diventare qualcuno, qualcuna nel senso vero della parola: un essere umano che agisce con altri partendo dalla modificazione di sé e rimanendo in rapporto vivo con i luoghi e le persone.

La scrittura non si perde mai nelle vicende biografiche, ma ci resta sempre legata. Non c’è il distacco oggettivo della teoria, ma c’è il distacco che esige il riattraversamento critico della propria storia: fare i conti con le grandi concezioni culturali che l’hanno segnata, per riformulare le scommesse dell’oggi, di un mondo di uomini e donne. E i conti da fare sono tanti.

Vita Cosentino è nata a Roma e vive a Sesto San Giovanni, dove ha insegnato per trentacinque anni nella scuola dell’obbligo.  Ha curato Buone notizie dalla scuola (Pratiche, 1998) e Lingua bene comune (Città aperta, 2006). È coautrice del docufilm sulle maestre L’amore che non scordo (2008). Fa parte della Libreria delle donne di Milano e della redazione della rivista Via Dogana, ora on line.

Marina Santini vive a Milano e insegna nella scuola superiore. Ha scritto saggi di storia e articoli sull’esperienza didattica. Fa parte della Comunità di storia vivente e della redazione di Via Dogana.

Alessio Miceli vive a Milano e insegna nella scuola superiore. Ha scritto con altri Uomini in educazione (Stripes, 2012) e collabora con le associazioni Maschile Plurale e Officina, con cui è coautore della campagna “Riconoscersi uomini – Liberarsi dalla violenza”, 2014.

VITA COSENTINO – SCUOLA. SEMBRA IERI, È GIA’ DOMANI L’autoriforma come trasformazione della vita pubblica

a cura di Marina Santini e Alessio Miceli – Moretti & Vitali editore, pagine 288, euro 18.00 – collana “Pensiero e pratiche di trasformazione”  diretta da Annarosa Buttarelli – in libreria da giugno

Info: donatella.borghesi@alice.it

(Il Paese delle donne, 28 maggio 2016)

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