17 Giugno 2017
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Vita o teatro? La storia vista da Charlotte Salomon

di Silvia Aonzo

In mostra sino al 25 Giugno, nelle Sale al piano terra di Palazzo Reale a Milano, possiamo visitare gran parte di un’opera autobiografica che racconta insieme il vissuto di una donna di inizio secolo ‘900 e gli avvenimenti di quel periodo. Charlotte Salomon la definì “dramma con musica” o secondo un’altra traduzione “melodramma”, perché il dramma era per lei la forma d’arte più completa. L’intera opera è rappresentata da un lungo racconto pittorico integrato da dialoghi, poesia e musica, che si compone di ben 1325 documenti tra i quali la stessa autrice selezionò a suo tempo 800 tempere quali immagini del racconto definitivo. La parte esposte a Milano, 270 tempere sotto il titolo Vita? O teatro?, rappresenta una formidabile testimonianza della grandezza dell’impresa che l’Artista nella sua purtroppo breve vita è riuscita a compiere.

Nella prima sala della mostra veniamo accolti da un filmato che ci introduce nel mondo dei suoi affetti; nelle seguenti possiamo osservare le tavolette colorate dipinte a tempera, insieme a fotografie in bianco e nero, esposte con uno stratagemma originale: cinque assi di legno bianco a simulare un  pentagramma musicale, nel cui registro centrale sono collocate le tempere a guisa di note, ogni tavoletta sviluppa un tema a sequenze successive di fotogrammi, i personaggi si muovono ed interagiscono intercalati da frasi scritte e commenti a latere.

Particolarmente carica di pathos è la tavola nella quale l‘Artista si immagina al capezzale della madre: guardando  la sequenza da sinistra a destra si percepisce il movimento “dal distacco – al ricongiungimento” e viceversa guardando da destra a sinistra si legge il movimento opposto “dall’abbraccio – al commiato”; alle anime poste in alto sapienti espedienti pittorici sottraggono via via peso fino a renderle puro spirito.

Le tavole risultano tutte vive ed eloquenti grazie ad una tecnicalità pittorico-letteraria di grande suggestione e genialità che rende il racconto avvincente, a volte persino struggente, altre volte lieve ed allusivo; la loro sequenza ci fa intendere la particolarità dell’espressione artistica che Charlotte Salomon porta a maturazione: le figure, che nelle prime tavole erano ancora di carattere ritrattistico,  nelle ultime si assottigliano sino a farsi scrittura. Il racconto pittorico divenendo calligrafia fa sì che l’aspetto figurativo e quello semantico-narrativo appaiano la stessa cosa; di fatto una “pittura gestuale”, dove il gesto è il segno, e il segno assurge a simbolo. Il calligrafismo pittorico della Salomon può apparire anticipatore di alcuni aspetti della ricerca segnico-linguistica di artiste che, facendo riferimento al femminismo degli anni 70, intendevano liberare la loro arte da schemi precostituiti, abitudini, ritualità ed ideologie dominanti.

Il talento espressivo che la Salomon dimostra nel sapersi muovere trasversalmente ai cinque sensi ed esplorarli in tutta la loro potenzialità, la porta a travalicare il limite bidimensionale della pittura per condurci alla multispazialità dei concetti, alla razionalità ma anche alla loro radice inconscia. La concettualità della sua pittura ci rimanda al fermento artistico presente in Europa già dalla fine dell‘800 e al clima culturale che l’artista ha respirato nell’ambiente ebraico del primo 900; ricordiamo che in quell’ambiente prende vita e forza il lavoro di  grandi filosofe come Simone Weil, Hannah Arendt ed Edith Stein, anch’esse vittime in vario modo dell’atroce piega che aveva preso la storia. L’opera dell’artista come quella delle filosofe può apparire come un urlo che parte dalle viscere della storia rivolto alle coscienze, ma in grado di parlare all’inconscio di contemporanei e posteri con iconica immediatezza.

Senza mai cadere nell’autocelebrazione Charlotte Salomon mette in scena la sua esperienza, il suo profondo rispetto per l’umanità, per richiamare i contemporanei ad un altro ordine di priorità; possiamo dire che, come proprio le donne oggi che ci stiamo nuovamente involvendo in una drammatica crisi di civiltà, da mirabile prova di quella particolare sapienza ed amore femminile per il mondo cui è stato dato nome “primum vivere”. Nella sua elaborazione artistica dell’olocausto e del nesso tra il destino di morte toccato alla linea femminile della sua famiglia e l’ascesa del nazismo, non è difficile trovare un’interpretazione ante-litteram del tema della genealogia femminile, che emergerà nel pensiero e nelle pratiche politiche del femminismo qualche decennio dopo.

Charlotte Salomon costruisce quindi la superficie del suo racconto con estrema naturalezza ma riesce a far scorrere al di sotto, del tutto coscientemente, una elaborazione concettuale articolatissima. Se teniamo conto che questa è anche la grande sfida delle avanguardie di quegli anni, possiamo concludere che non solo c’è riuscita in modo magistrale ma dobbiamo anche riconoscerle il merito di aver dato prova che l’espressione artistica può essere disincagliata dall’estetismo, malattia endemica alla produzione maschile di ogni epoca.

Nella bella intervista su Rai 3, trasmissione “A3 il formato dell’arte” di sabato 1 aprile 2017 ore 10.50 possiamo ascoltare il curatore della mostra milanese Bruno Pedretti intervistato da Elena Del Drago, e l’intervista a Airin Faber conservatrice presso il  Museo Storico Ebraico di Amsterdam, che ci parlano di lei e della sua grandezza.

Charlotte Salomon nasce a Berlino il 16 aprile 1917 da una famiglia borghese ebrea molto colta e agiata. La madre era infermiera e pianista amatoriale; il padre medico universitario, si risposerà, dopo la sua morte,  con una famosa  cantante d’opera. La formazione di Charlotte è completamente immersa nella cultura e nell’arte, pertanto è naturalmente portata ad imboccare, dopo il liceo, la strada artistica. Frequenta dal 1935 al 1938, unica allieva ebrea ammessa, l’Accademia di Belle Arti di Berlino, ove sarà premiata e stimata. Nel 1939 lascia la Germania per rifugiarsi dai nonni materni a Villefranche-sur-Mer, vicino Nizza dopo la terribile “notte dei cristalli”. Qui, nel 1940, a seguito del suicidio della nonna, scopre che anche la madre, tempo addietro, e la giovane zia di cui aveva preso il nome, erano anch’esse morte suicide. La terribile rivelazione, insieme alla drammaticità degli eventi che gravavano sulla sua sorte di perseguitata la spinge a concepire e realizzare la sua grande opera autobiografica, “Vita o Teatro?”.Ultimato da pochi mesi l’immenso lavoro, a fine settembre 1943 Charlotte viene arrestata insieme al marito e condotta ad Auschwitz, dove il 10 ottobre 1943, incinta di alcuni mesi, giunge nel campo di sterminio dove incontra la morte. I familiari di Charlotte salvarono il grande lavoro e decisero di affidarlo dapprima al Rijksmuseum di Amsterdam. Successivamente, nel 1971, l’opera passò al nuovo Jewish Historical Museum della stessa città, dove è tuttora conservata a cura della Fondazione Charlotte Salomon, e dal quale parte periodicamente per esser esposto.

(https://eredibibliotecadonne.wordpress.com/  17 giugno 2017)

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