26 Ottobre 2018
27esimaora.corriere.it

Zewde, l’imperatrice senza armi, nuova guida dell’Etiopia

di Michele Farina

Ha 68 anni ed è la maggiore di quattro sorelle che il padre funzionario del governo imperiale volle far studiare. A 17 anni lasciò Addis Abeba per i corsi di scienze naturali in Francia. Ha un marito e due figli maschi, per tutta la vita ha fatto la diplomatica in Africa da ultimo per l’Onu. Qualcuno l’ha paragonata all’imperatrice Zewditu, che governò un secolo fa. Con i capelli orgogliosamente grigi Sahle-Work Zewde è la prima donna presidente nella storia dell’Etiopia e l’ultimo simbolo della rapida rivoluzione che nel giro di dieci giorni ha «cambiato sesso» al governo di un Paese percepito come sinonimo di rassicurante (e maschile) immobilità.

«Le donne sono meno corrotte degli uomini e ci aiuteranno a portare pace e stabilità» ha spiegato Abiy Ahmed, il quarantaduenne primo ministro che qualcuno chiama «il messia» e qualcun altro vorrebbe fare fuori. Sei mesi fa, il giovane premier che ha chiuso la ventennale guerra con l’Eritrea aveva suscitato un certo scalpore nel discorso di insediamento, citando la moglie per riconoscerne il valore. La moglie? Non l’aveva fatto nessuno dei suoi predecessori nel secondo Paese più popoloso dell’Africa (104 milioni di abitanti). Se non sono campionesse di atletica di norma le donne non vengono «calcolate» in una società patriarcale come quella etiope (dove pure costituiscono la metà della forza lavoro, spesso non pagata, soprattutto in agricoltura), e più in generale in un continente che vanta molti presidenti maschi a vita, con relative first lady più o meno potenti, ma pochissime leader. Su 55 Paesi, ultimamente ne era rimasta soltanto una, a Mauritius, che però di recente si era dimessa proprio per uno scandalo di spese non contabilizzate.

Da zero donne al potere l’Africa è tornata almeno a una, anche se la carica di Sahle-Work Zewde, eletta all’unanimità dal Parlamento di Addis Abeba, è simbolica più che politica. Il potere è nelle mani del primo ministro, che comunque ha voluto portare la parità di genere nel suo governo (in Africa l’aveva fatto finora soltanto il Ruanda): venti ministri (erano 28 in precedenza), di cui dieci donne. Non era mai accaduto. E i dicasteri governati da donne sono tutt’altro che secondari. Responsabile della Difesa è l’ingegnere Aisha Mohammed, una delle due ministre «velate» del governo. L’altra (entrambe sono scelte significative per rappresentare il 30% della popolazione etiope di fede musulmana) è Muferit Kamil, ex speaker del Parlamento, a cui è stato affidato il nuovo ministero della Pace, che non è affatto uno scatolone vuoto. A lei faranno capo le forze di sicurezza, compresi i servizi segreti. È un settore delicatissimo, in un Paese che per tre anni è stato scosso da violente proteste e da ancora più violente repressioni.

Le tensioni a sfondo etnico non si sono ricomposte con l’arrivo del «messia» Ahmed: il primo Oromo (la maggioranza del popolo) a raggiungere il potere è sfuggito questa estate a un attentato in una piazza. Poco più di un mese fa ci sono stati oltre 30 morti nella capitale. Il nodo delle autonomie regionali è cruciale (anche se sotto traccia) in vista delle elezioni 2020. È stata la neo presidente Sahle-Work nel suo primo discorso a indicare la via, chiedendo a tutti di ripudiare la violenza per una ragione, come dire, femminile: «Vi imploro in nome delle madri, le prime a soffrire quando manca la pace».

(27esimaora.corriere.it, 26 ottobre 2018)

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