22 Marzo 2018
il manifesto

A Lesbo la nuova vita dei “salvagente”

di Silvia Marastoni

Migranti. L’iniziativa eco-solidale di una Ong di donne greche che ricicla le migliaia di giubbotti abbandonati dopo il soccorso delle persone che scappano da fame e guerre. Dai salvagente riciclati si fanno borse, zainetti e porta computer. Dai “residui” delle barche usate per le traversate: gioielli, candele, vassoi e saponi naturali

Sono stati il simbolo del rischiosissimo viaggio di circa un milione di rifugiate/i dalle coste turche alle isole greche del Mar Egeo, della loro fuga da guerre e persecuzioni, ma anche della loro speranza di costruire una vita migliore, al sicuro, per se stesse/i e le loro famiglie. Poi, abbandonati in discariche a cielo aperto e talvolta bruciati, sono diventati un serio problema eco-ambientale.

Oggi però a Lesbo i giubbotti salvagente acquistano una nuova vita trasformandosi in strumento di riscatto, inclusione e coesione sociale, creazione di occupazione e di una «nuova economia» fondata su principi e pratiche di «consumo critico». Succede grazie ai progetti di riciclo Safe Passage Bags e Humade Crafts di Lesvos Solidarity, una piccola Ong indipendente locale, completamente autofinanziata.

A FONDARLA, NEL 2016, sono stati diversi membri (soprattutto donne) de «Il Villaggio di Tutti insieme», struttura creata quattro anni prima per coordinare le iniziative auto-organizzate di solidarietà nate sull’isola greca per rispondere col «mutuo soccorso» alle conseguenze delle politiche di austerity sulla popolazione locale e ai bisogni dei sempre più numerosi rifugiati in arrivo dalla Turchia. «Proprio per far fronte alle loro necessità di un alloggio» racconta Efi Latsoudi (co-fondatrice e «anima» dell’Ong) «nel 2012 abbiamo occupato un edificio abbandonato, l’ex Pikpa, precedentemente utilizzato come centro vacanze per bambini e ragazzi, che da allora funziona come centro di accoglienza aperto, esempio di un’ospitalità solidale ben diversa da quella dei Campi ufficiali: oggi vi vivono circa 120 migranti, tra i più vulnerabili arrivati sull’isola. Tra «vecchi» e «nuovi» abitanti promuoviamo la costruzione di relazioni che sono le fondamenta di una convivenza non solo possibile, ma feconda per tutte e tutti».

DA QUESTO APPROCCIO È NATO anche il Centro di Supporto Mosaik, che organizza diversi programmi di integrazione e formazione aperte a tutte/i, puntando a sviluppare vocazioni, competenze e talenti di chi vi partecipa. Al suo interno sono stati creati, tra l’altro, i laboratori di Safe Passage Bags e Humade Crafts.

«L’idea di Safe Passage Bags è nata nel 2013» ricorda Efi «ma si è concretizzata con l’arrivo sull’isola di 450.000 rifugiate/i tra il 2015 e il 2016. Le migliaia di giubbotti salvagente abbandonati sulle spiagge, e poi accatastati in aree non abitate sono diventati un serio problema ambientale, perché i materiali sintetici di cui sono fatti si decompongono e penetrano nel terreno; e se bruciati, come in diversi casi si è fatto, le componenti chimiche della loro combustione entrano nell’atmosfera. Alla necessità di smaltirli – e in così grandi quantità – nessuno era preparato: i giubbotti sono rifiuti speciali, che richiedono trattamenti in impianti adeguati di cui Lesbo non era dotata.

«A QUESTA URGENZA SI SONO POI AGGIUNTI altri elementi: il desiderio condiviso da rifugiati e «solidali» di tenere vivo il patrimonio simbolico di memoria, denuncia e speranza che i giubbotti portano in sé, e quello di inventare per loro un nuovo – e totalmente diverso – significato e utilizzo, partendo dalla realtà e dai bisogni attuali della popolazione locale e migrante.

«Nel nostro progetto abbiamo cercato di coniugare valori ambientali e sociali: all’attenzione per il territorio in cui viviamo, per la riduzione di sprechi e rifiuti, per un uso più razionale e più creativo delle risorse (comprese quelle considerate a torto ormai inutili) anche attraverso il loro riciclo e riuso, si è affiancato il tentativo di rispondere alla stringente necessità di opportunità di lavoro».

DA TUTTO CIÒ ALL’IDEA DI RICICLARE i giubbotti ricavandone oggetti di uso quotidiano (borse, zainetti, porta computer, etc.) il passo è stato breve, seppure non semplice. E oggi il laboratorio di Safe Passage Bags occupa nove persone, sei rifugiati di diverse nazionalità e tre donne greche, «a dimostrazione del fatto che trovare insieme soluzioni a problemi comuni è possibile. La creazione di nuovi posti di lavoro resta per noi un obiettivo centrale: perciò continueremo a impegnarci perché le persone in difficoltà, siano esse locali o migranti, possano costruirsi una vita all’insegna della dignità all’interno del nostro contesto sociale. Vogliamo mostrare che dove c’è un desiderio, una volontà, c’è anche una «strada» possibile».

Questa positiva esperienza ha poi dato impulso, nell’estate del 2017, al progetto Humade Crafts. Fondato sugli stessi principii e obiettivi, questo laboratorio utilizza però anche altre «risorse»: differenti «residui» delle traversate (le bottiglie di plastica che quasi tutti portano con sé, parti delle barche su cui hanno viaggiato, etc.), oggetti destinati alla spazzatura o diverse materie prime recuperate. Da loro, grazie alla creatività dei partecipanti e alle abilità acquisite nei workshop, nascono gioielli, accessori, candele, vassoi, saponi naturali e molte altre cose.

(il manifesto, 22 marzo 2018)

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