7 Gennaio 2021
Il Quotidiano del Sud

Agitu Ideo Gudeta la signora della capra felice

di Franca Fortunato


Agitu Ideo Gudeta, la signora etiope della “capra felice”, a pochi giorni dalla fine dell’anno e dal suo 43° compleanno, è stata uccisa nella sua casa da Adams Suleimani, un giovane suo dipendente che dopo averla colpita più volte con un martello, mentre era agonizzante, l’ha violentata. Non importa di che nazionalità è l’assassino, è solo e sempre un uomo che non sopporta che una donna abbia una vita sua, sia libera, autonoma, indipendente e in più abbia successo, come Agitu con la sua azienda agricola “La capra felice” di cui andava fiera. Tra le montagne del Trentino aveva recuperato terreni abbandonati dove allevare le capre mochene autoctone, che voleva salvare dall’estinzione, e al centro della città di Trento aveva aperto la bottega della “capra felice” dove vendere i suoi prodotti. Per la prossima primavera aveva in mente di aprire un agroturismo. Il motivo economico che il suo assassino ha confessato non dice la verità vera di tanta ferocia e violenza, segno di volontà di dominio e di sottomissione di una donna, ai suoi occhi, “troppo” coraggiosa, colta, intelligente, forte, bella, felice come le sue capre, invidiata e odiata fino a ucciderla e stuprarla. Agitu, la donna dallo splendido sorriso, era arrivata in Italia a 18 anni, si era laureata a Trento in sociologia ed era tornata in Etiopia per unirsi alla lotta dei contadini contro le multinazionali che in Africa, come in India e ovunque nel mondo, li espropriano dei loro terreni, ne distruggono l’economia di sussistenza riducendoli alla fame, e vi piantano monoculture estranee e intensive che rendono arida la terra e ne distruggono la biodiversità. La pandemia tra le tante cose ha portato alla coscienza dei tanti il valore del prendersi cura della terra, del vivere in armonia con essa, di contro un sistema economico capitalista vorace e distruttore, responsabile dello sfruttamento della natura, dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua, della distruzione delle foreste e della biodiversità, del surriscaldamento del clima che sta mettendo a rischio la vita stessa sul pianeta. È la cultura della madre terra, della vita della natura e dei popoli, per cui le donne nel mondo si battono in prima fila da sempre, anche nell’Africa e nell’Etiopia di Agitu, che lei porta dentro di sé come un sogno da realizzare quando nel 2010, costretta a scappare dal suo paese perché minacciata di morte, torna in Italia. Un sogno il suo che realizza in un paese e in una regione divenuti il suo paese e la sua regione, dove trova però un clima ostile di cui aveva paura. Subisce, infatti, minacce, offese, molestie per ragioni razziali, si sente gridare “qui non ti vogliamo”, come dal suo vicino di casa che, denunciato, viene condannato a 9 mesi. Lei non molla, resiste, forte delle sue radici a cui è rimasta sempre fedele e che affondano nella cultura dei suoi “pastori”. Radici che ha voluto trapiantare nelle montagne trentine, vivendo in armonia con la natura. «Vedo un equilibrio perfetto tra la terra e le capre, un dare e ricevere reciproco», soleva dire. Non era un’integrata, come molte/i l’hanno definita, ma una donna, venuta in pace da un paese lontano per studiare, lavorare, e creare lavoro – nella sua azienda dava da lavorare anche a rifugiati – e vivere in pace con la popolazione del luogo, senza rinnegare se stessa e le sue origini. Il suo è uno splendido esempio di civile convivenza e con la sua cultura, la sua presenza e il suo lavoro ha reso questo Paese più ricco di umanità e più abitabile. Grazie Agitu per il tuo grande coraggio di donna libera.


(Il Quotidiano del Sud, 7 gennaio 2021)

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