26 Novembre 2021
Il Quotidiano del Sud

Alla frontiera polacca si sta consumando il senso dell’umano

di Franca Fortunato


Un bambino di appena un anno muore di freddo nella foresta al confine tra Biolorussia e Polonia. La famiglia era nel bosco da un mese e mezzo, dopo essere scampata ai militari polacchi che avevano ferito madre e padre nel tentativo di respingerli al di là del recinto di filo spinato. Vivevano nascosti nella foresta. Se i soldati polacchi li avessero trovati l’avrebbero arrestati, come hanno fatto con altri, violando la Convenzione internazionale sull’asilo e la protezione umanitaria. Il tutto con la complicità di un’Europa dei respingimenti che ipocritamente, per bocca del suo presidente David Sassoli, nel mentre dice essere “straziante vedere un bambino morire di freddo alle porte dell’Europa” con i Paesi del G7, tra cui l’Italia, esprime solidarietà alla Polonia “colpita (da Lukashenko) da un uso provocatorio della migrazione irregolare come tattica ibrida”, recitando la sua parte nel gioco sporco geopolitico con la Bielorussia. Solidarietà alla Polonia i cui soldati usano lacrimogeni e getti d’acqua gelata contro i profughi nel tentativo di allontanarli dal filo spinato e lascia morire nella foresta quei pochi che riescono ad attraversare la frontiera. I 15mila soldati schierati in difesa dei confini contro donne, uomini, bambine/i inermi, impediscono ai volontari di portare loro cibo, acqua, vestiti, scarpe, medicine. Cosa c’è di più criminale? I volontari e i medici della Ong polacca che hanno trovato e soccorso la famiglia siriana lo hanno fatto clandestinamente. Il piccolo, di cui non conosco il nome, bimbo senza nome come i tanti che continuano ad annegare nel Mediterraneo, giace sotto terra nella foresta, che con la sua fitta vegetazione veglierà su di lui da morto, non avendolo potuto fare da vivo. In quel mese e mezzo sua madre ha cercato di scaldarlo con il suo corpo, ma i suoi abiti erano sempre fradici per la fitta nebbia che ogni notte scende nella foresta, con temperature fino a -7°. Il padre gli aveva dato tutto il poco cibo che avevano. Non poteva accendere un fuoco, i soldati li avrebbero scoperti. Quando gli era stato proposto da un’agenzia un volo diretto da Damasco a Minsk pensava che raggiungere l’Europa sarebbe stato facile. Voleva andare in Germania, come molti degli esseri umani ammassati alla frontiera polacca. Ha pagato il biglietto aereo e poi hanno raggiunto la frontiera in pullman. I bielorussi gli avevano detto che in dieci minuti sarebbero arrivati in Polonia, invece, attraversato il confine, avevano vagato per settimane nella foresta, feriti e col figlioletto in braccio. Quando ho sentito della morte del piccolo mi sono accorta di non avere più parole per dire il mio sgomento e dolore, le ho consumate tutte negli anni per dire l’orrore, la disumanità in cui stava precipitando l’Europa, un buco nero che evoca fantasmi di un passato recente. Ma nel buio so che c’è sempre la speranza e io l’ho cercata dentro la Polonia. L’ho trovata nelle donne che illuminano di verde le loro case in segno di accoglienza. Nelle madri scese in piazza a Varsavia per manifestare solidarietà ai profughi e profughe e chiedere l’apertura di corridoi umanitari. Nei tanti volontari che vivono nella foresta, in case diroccate e capanne, e ogni giorno di nascosto pattugliano la frontiera, alla ricerca di migranti da aiutare, soccorrere e accogliere. Vivono nel bosco dal 2017 per impedire la distruzione di uno degli ultimi tratti della foresta che un tempo copriva l’intera Europa orientale. Ma l’Europa non dà voce alla speranza e, nell’indifferenza dei più, alla frontiera polacca si sta consumando il senso dell’umano.


(Il Quotidiano del Sud, 26 novembre 2021)

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