10 Dicembre 2019
il manifesto

Anna Bravo, nella storia orale e sociale delle donne nel Novecento

di Luisa Passerini


Anna Bravo sapeva alternare, nella vita e nell’intellettualità, l’irriverenza e il rispetto. Un necrologio convenzionale non le si addice e non potrebbe trasmettere il senso della sua personalità. Prendere avvio da frammenti di ricordi condivisi, che evochino le sue attività in molte direzioni, le sarebbe forse stato più gradito.
Asti, fine anni Cinquanta: Anna e io facevamo parte di un piccolo gruppo che si prefiggeva di unire studenti, operai e contadini. C’erano scioperi nelle fabbriche della città, che Anna seguiva con partecipazione. C’erano le serate con ex partigiani che raccontavano le loro storie della Resistenza, bevendo vino e cenando con coniglio al civet nelle campagne del Monferrato. Anna dialogava con loro, ma suonava anche la chitarra e cantava con la sua bella voce profonda.

Erano i canti partigiani e le canzoni rivoluzionarie come Ay Carmela o i poemi di Georges Brassens. Per me, di poco più giovane, lei era un modello di libertà e di una femminilità diversa, che contrastava col grigiore della piccola città di provincia. La solidarietà tra giovani donne, che con le mie amiche era forte ma seguiva le vie tradizionali delle confidenze amorose e degli scambi scolastici, con lei diventava ribellione esistenziale e politica.
Torino, anni Sessanta: Anna lavorava sulla Resistenza, io sulle utopie di Saint-Simon e Comte. Portavamo avanti quello che chiamavamo la rivoluzione della vita quotidiana, intesa soprattutto come libertà nei rapporti tra pari e presa di distanza dalla famiglia. Andammo a Parigi, lei e io, a conoscere i Situazionisti. Vedemmo subito che tra loro non c’erano ruoli di rilievo per le donne, mentre noi avevamo una pratica di emancipazione sebbene non ancora una posizione chiaramente femminista. A Parigi andavamo anche per fare ricerca. Trascorremmo un lungo periodo compilando un catalogo dei periodici dei fuorusciti antifascisti per una ricerca Cnr, alla Bibliothèque Nationale e in varie biblioteche più piccole.

Negli anni successivi, Anna partecipò con pieno trasporto al Sessantotto torinese, al movimento operai-studenti che interveniva a Mirafiori nel ’69, e in seguito si impegnò in Lotta Continua. Dopo la politica della nuova sinistra, ci furono i femminismi, per lei e per me da due angolature diverse nel quadro variegato del movimento delle donne.
Alla fine degli anni Settanta, la ricerca e la pratica didattica seminariale – considerate come indisgiungibili – divennero centrali per molte e molti ex militanti, tra cui Anna, che nell’ambito della storia contemporanea portava contributi fortemente innovativi. Vedo nel suo itinerario di ricerca e scrittura una valenza significativa non solo per capire la sua figura, ma anche quella di più generazioni: dagli studi sulla Repubblica partigiana dell’Alto Monferrato alla storia orale e sociale delle donne nel Novecento; dalle analisi del fotoromanzo all’indagine sulla Shoah e i sopravvissuti – altrettanti passaggi che riflettono lo sforzo di ingaggiarsi con la memoria collettiva, conservando le differenze individuali. E ancora: Anna ha esplorato altre tematiche, dato che i suoi scritti includono lavori sulle donne nella sfera pubblica, riflessioni sulla propria esperienza, rievocazioni del Sessantotto, quest’ultimo nella sua duplice dimensione tra l’est e l’ovest dell’Europa. La continuità nella tensione generata da questa molteplicità di interessi risiede tra l’altro nel perseguire un’arte dell’intervista non solo con i grandi come Primo Levi, ma anche con tante e tanti protagonisti meno noti.

Questo complesso itinerario è il condensato di una storia sociale che si era aperta alla storia della soggettività e delle emozioni, dando progressivamente maggiore spazio ai temi del genere. Anna era consapevole della distanza intellettuale e politica che aveva percorso; dichiarava apertamente i limiti della sua originaria visione della storia della Resistenza, che riteneva non sufficientemente problematizzata, e che solo col tempo si era tradotta in una riflessione storica più lucida e matura.
Un posto a parte meritano le sue riflessioni sulla violenza e la nonviolenza, che rappresentano l’esito di un cammino intellettuale ed esistenziale di parecchi decenni. Partita dalla presa delle armi nella lotta di liberazione, Anna è arrivata a una prospettiva «senza armi». Ha insistito sul tema del «sangue risparmiato», raccogliendo esempi di donne e uomini che avevano agito in modo coscientemente protettivo della vita, con la cura e la difesa dei corpi e delle vite concrete. Gli episodi e le persone che ha studiato hanno spesso il tratto dell’ironia, in forme di disobbedienza civile che danno forza ai più deboli e irridono il nemico in tempi di pace e in tempi di guerra. Ci lascia il retaggio di un’idea di rivolta comprensiva degli aspetti umoristici e creativi che costituiscono un asse portante della soggettività.

Un complesso itinerario di libri

Tra i libri di Anna Bravo, un ruolo cruciale è ricoperto da «La conta dei salvati. Dalla Grande Guerra al Tibet: storie di sangue risparmiato», edito per Laterza nel 2013. Sono storie di chi non ha permesso la deflagrazione dei conflitti o che ha praticato la pace: Mandela e Tutu, King e il Dalai Lama, Ibrahim Rugova o Gandhi. La produzione di Bravo si avvia con monografie importanti già dalla metà degli anni ’60: «La Repubblica partigiana dell’Alto Monferrato». La curatela di «Donne e uomini nelle guerre mondiali» (1991) e l’altra: «Intervista a Primo Levi, ex deportato» (2011). «In guerra senza armi» (1995); «Storia sociale delle donne» (2001); «La vita offesa» (2004); dello stesso anno è anche «Sopravvissuti»; «A colpi di cuore. Il Sessantotto» (2008).


(il manifesto, 10 dicembre 2019)

Print Friendly, PDF & Email