11 Dicembre 2020
Il Quotidiano del Sud

Anna-Maria-Gesù, una differente trinità

di Franca Fortunato


Nadia Lucchesi con il suo libro ben documentato Anna. Una differente trinità ci riporta all’origine materiale e spirituale di quell’evento straordinario, che si ripete ogni Natale, dell’irrompere di Dio nella storia umana. Maria, madre di Cristo, è colei che con il suo sì ha reso possibile quell’evento, ma prima di lei c’è Anna, sua madre, che, secondo il vangelo armeno dell’infanzia, l’ha concepita senza macchia e senza peccato, immacolata, evento proclamato dogma per la religione cattolica da Pio IX (1854). La maternità di Anna prepara quella di Maria. Con lei, infatti, madre forte e amorosa, piena di Grazia divina – è questo il significato del suo nome – “ripiena di Spirito santo”, si compie, prima che con Maria, la “maternità divina” con la venuta al mondo di “una creatura nuova”, “una creatura eccezionale già prima della nascita” che, perfetta erede della Grazia e dello Spirito santo della madre, dà alla luce il “figlio nuovo”, il “figlio divino”. Una relazione madre figlia alle origini del mistero stesso della nascita di Cristo, come suggeriscono alcune immagini pittoriche della santa “trinitaria”, come Sant’Anna “metterza” di Masaccio e Masolino che raffigura la santa in piedi dietro Maria che tiene in braccio Gesù. Eppure di Anna nei Vangeli canonici non c’è traccia, cancellata, ignorata. Sulla cancellazione della relazione madre figlia si è costruito il patriarcato – anche quello cristiano – che Gesù, l’“uomo nuovo”, è venuto a distruggere. La storia di Anna, che conosciamo dai Vangeli apocrifi (nascosti) dell’infanzia di Maria e Gesù, dai padri della Chiesa, che nei vari Concili scelsero il “canone biblico”, venne considerata una favola per anime semplici, per orecchie infantili e incolte, eppure è ancora a loro che la stessa Chiesa e la tradizione popolare fanno riferimento per la Natività e la devozione della santa. La “favola” è raccontata in particolare nel Protovangelo di Giacomo (I sec. d. C.), indicato come fratellastro, fratello o cugino di Gesù. Anna, sposa sterile di Gioacchino, disperata per l’incapacità di generare, seduta ai piedi di un alloro, su cui avevano nidificato dei passeri, pregava e si lamentava, quando le apparve un angelo del Signore, annunciandole che la sua preghiera era stata esaudita, che lei avrebbe concepito e partorito e che si sarebbe parlato in tutta la terra della sua discendenza. Una prodigiosa maternità, vista l’età avanzata. Alla nascita della sua creatura, dono divino, saputo di aver generato una bambina, a cui impone il nome di Maria, Anna si sente “magnificata”, “capovolgendo la visuale di una società misogina e indicando nel legame madre figlia il valore di una felicità che può cambiare il mondo”. Quando Maria compie tre anni, Anna e Gioacchino l’affidano al tempio e “tutta la casa d’Israele prende a volerle bene”. Giunta a 12 anni, un angelo appare ai sacerdoti e impone loro di chiamare a raccolta tutti i vedovi, ognuno con un bastone. Da quello di Giuseppe uscirà una colomba, segno della scelta divina di uno sposo per Maria. D’ora in poi la protagonista è lei, la futura madre di Dio. Anna e Gioacchino spariscono dalla scena, ma non dalla memoria popolare, in particolare Anna, la cui devozione nel mondo cristiano è ancora oggi intensa per quel «bisogno insopprimibile di ricostituzione di un continuum materno che sembrava sparito, dopo l’affermazione storica di un simbolico patriarcale (Padre-Figlio-Spirito Santo), anche nella tradizione cristiana». Anna, Maria, Gesù, una trinità differente da ricordare ad ogni Natale, come gratitudine verso la madre.


(Il Quotidiano del Sud, 11 dicembre 2020)

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