5 Luglio 2023
La Stampa

Annie Ernaux: “Nel mio Paese il razzismo è endemico i migranti non sono considerati francesi”

di Danilo Ceccarelli


La Nobel della Letteratura: “I disordini sono ancora una conseguenza della colonizzazione. I giovani maghrebini attaccano i simboli di quello che desiderano ma non possono avere”


PARIGI – «Dove abito io sono state distrutte tre fermate dell’autobus e delle macchine parcheggiate in un garage». Annie Ernaux, Premio Nobel della Letteratura 2022, quando parla delle sommosse che hanno agitato il suo Paese in questi ultimi giorni, spiega che anche a Cergy-Pontoise ci sono stati disordini. Un piccolo comune dove la scrittrice francese vive dagli anni Settanta, situato nella banlieue a nord-ovest di Parigi. «I giovani attaccano i simboli di quello che desiderano ma non possono avere», afferma una delle più importanti autrici della scena letteraria internazionale, prima di aggiungere che la devastazione di alcuni luoghi pubblici è «meno comprensibile». Ernaux uscirà in Italia a novembre con “Perdersi” (Edizioni L’Orma): un libro in cui racconta la sua relazione con un diplomatico russo avvenuta alla fine degli anni Ottanta. Una diario personale, dove viene sviscerata l’intimità e la passione di quel rapporto.

Che idea si è fatta dei tumulti di questi ultimi giorni?

«I disordini sono compiuti da giovani che provengono dall’immigrazione, di seconda, terza o quarta generazione, in particolar modo quella magrebina. In quanto francese e bianca sono consapevole del fatto che non posso mettermi nella loro posizione, che è molto difficile. Detto questo non giustifico le violenze. Ma la situazione attuale dimostra come l’influenza della colonizzazione francese perduri, perché si tratta di persone che non vengono considerate come gli altri francesi. In questo Paese c’è un razzismo endemico che viene incoraggiato da un certo linguaggio».

Ad esempio?

«Si è parlato molto di un volantino di un sindacato della polizia, che li ha definiti “nocivi».

Cosa fare adesso che le contestazioni sembra stiano scemando?

«Bisogna chiedersi come agire, perché non è stato fatto molto fino ad oggi. Questo è il vero problema perché c’è una personache intantostalì e aspetta, come una ragno sulla tela: è Marine Le Pen. Se ci fossero delle elezioni oggi l’esito sarebbe terribile».

Lei è nata e cresciuta in un ambiente modesto, in Normandia. Il suo passato la porta ad avere dell’empatia nei confronti di questi giovani che vengono dalle periferie delle grandi città, vivono in contesti difficili e spesso molto poveri?

«Io posso capire il disprezzo di classe, ma quello che vivono è un disprezzo di razza nella società francese. Posso condividere con loro il fatto di non essere stata considerata come gli altri, ma io sono un’immigrata dell’interno (della Francia, ndr), mentre loro lo sono dell’esterno. Ai miei tempi chi quelli come me hanno vissuto la loro situazione individualmente, in modo solitario ognuno nella sua vergogna sociale. Ora invece assistiamo ad un movimento collettivo»

Con i giovani della banlieue parigina lei è entrata in contatto quando faceva l’insegnante a Cergy-Pontoise, alla fine degli anni Settanta. Quanto sono cambiati i ragazzi e le ragazze di oggi che vivono in quelle zone rispetto ai loro coetanei di allora?

«Moltissimo. Ma già all’epoca c’erano parecchie tensioni tra gli immigrati e quelli che erano soprannominati “petits blancs” (piccoli bianchi, termineutilizzato per indicare i cittadini francesi delle classi più povere che non discendono dall’immigrazione e abitano nelle zone rurali o periferiche, ndr). È una tensione sociale che c’è da sempre in Francia. Dopo la guerra di Algeria, ad esempio, sono moltissimi gli algerini che sono arrivati per lavorare insieme alle loro famiglie. Credo che molti in Francia si aspettassero stranamente una loro permanenza temporanea, ma alla finesono rimasti».

Da femminista avrà notato che si tratta di una protesta tutta al maschile, non ci sono ragazze a protestare nelle strade o a commettere disordini.

«Tra i giovani insorti c’è una cultura maschile, della virilità, che è molto forte. Ma questo elemento è presente anche in tutta la cultura francese, in modo meno evidente, meno rivendicato. E soprattutto non si esprime con la violenza fisica»

Quindi una simile situazione fa emergere la cultura maschilista che è latente in tutti i livelli della società, dalle banlieue alle grandi metropoli?

«Assolutamente. Sappiamo che le ragazze che vengono da quegli ambienti nella vita riescono a cavarsela meglio rispetto ai ragazzi».

Perché?

«Le ragioni sono diverse, alcune sono positive e altre negative. Hanno l’abitudine di essere più sottomesse e obbedienti. A scuola ad esempio, sono più attente, sono pronte. Poi, spesso, non hanno il diritto di uscire, quindi dedicano il loro tempo al lavoro. Dalla loro sottomissione relativa ne consegue una forma di adattamento alla società».

Siamo praticamente nel paradosso.

«Certo! Anche io ho conosciuto questa condizione nell’ambiente popolare dal quale provengo. Le donne che conducevano un’esistenza più libera, come alcune mie cugine che uscivano più di me, non hanno avuto successo a scuola. Quindi, indipendentemente dalla categoria sociale alla quale si appartiene, la dominazione maschile è onnipresente. Attraversa e si inserisce nelle società di tutto il mondo».

Passiamo al suo libro, “Perdersi”. È uscito in Francia nel 2001, nove anni dopo “Passione semplice”, un’altra sua opera in cui già parlava del rapporto con quel diplomatico russo, sempre citato in forma anonima. Come sono collegati due romanzi?

«Il diario che sarà pubblicato in Italia a novembre l’ho scritto proprio durante la relazione. “Passione semplice” l’ho realizzato in seguito, anche se l’ho pubblicato per primo (in Francia è uscito nel 1992, ndr). Il motivo sta nel fatto che “Perdersi” è rimasto sotto chiave per almeno cinque anni, perché l’uomo con il quale ho avuto un rapporto non voleva che lo pubblicassi. Ma una volta che tra di noi è finita ho riletto quelli che avevo scritto e ho avuto l’impressione che fosse la storia di un’altra donna, non la mia».

Cosa aggiunge “Perdersi” alla sua storia con quell’uomo?

«Ci sono molti più elementi personali, intimi, ma anche complessi, In un certo modo è più crudo rispetto a“Passione semplice”». Forse anche un’evoluzione della definizione dell’amore tra voi due. «Non si è mai d’accordo su quello. L’amore è la cosa più condivisa la mondo ma anche la meno definibile».


Annie Ernaux, Premio Nobel per la Letteratura 2022, ha vinto la 16esima edizione del Premio Crédit Agricole «La storia in un romanzo», riconoscimento nato su impulso di Crédit Agricole Italia in collaborazione con Fondazione Pordenonelegge.it e Link, Festival del giornalismo di Trieste. La scrittrice riceverà il Premio sabato 16 settembre alla 24esima edizione di pordenonelegge (13/17 settembre). I suoi libri sono editi in Italia da L’Orma.


(La Stampa, 5 luglio 2023)

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