18 Febbraio 2024
Avvenire

Armi all’Ucraina: la terza via della diplomazia (invece delle armi)

di Lucia Capuzzi


«La storia guarda alla Camera dei rappresentanti Usa. Un mancato sostegno all’Ucraina in questo momento critico non verrà mai dimenticato». La morte di Aleksej Naval’nyj era stata annunciata appena da qualche ora quando il presidente Joe Biden, nel commentare la notizia, ha colto l’ennesima occasione per chiedere al Congresso lo sblocco dei 60 miliardi di dollari per gli aiuti militari a Kiev. Lo stesso ha fatto, da Monaco, la vice Kamala Harris: non dare il via libera – ha dichiarato – sarebbe un «regalo a Vladimir Putin».

Parole simili a quelle impiegate da un buon numero di leader europei, a partire dal cancelliere tedesco Olaf Scholz. Volodymyr Zelensky, ovviamente, ha colto la palla al balzo per supplicare gli alleati di «non far vincere» Mosca. In quest’ottica – in sintonia con il segretario della Nato, Jens Stoltenberg – ha messo in relazione la penuria di armi e munizioni con i rovesci al fronte come l’esempio di Andiïvka, lasciata dall’esercito ucraino proprio nella notte tra venerdì e ieri, sembra confermare. Le affermazioni finora esposte contengono un’indubbia parte di verità.

A preoccupare, però, è “la parte mancante” di tali affermazioni. A quasi due anni dall’ingiusta aggressione russa all’Ucraina, i leader globali continuano a riproporre una strategia a senso unico, incapace – il tempo lo sta rivelando – di produrre risultati: o armi o Putin. Quasi che decenni di sforzi per la costruzione di un’architettura multilaterale non ci fossero mai stati.

La terza via – quella della diplomazia – non è semplicemente contemplata. Si potrebbe obiettare che è impossibile scendere a patti con il capo del Cremlino, sempre pronto all’esterno a farsi beffe del diritto internazionale e, all’interno, a impiegare il pugno di ferro con gli oppositori. Le organizzazioni multilaterali, tuttavia, sono state create proprio per far fronte all’arbitrio del singolo, leader o Stato.

I limiti nel loro funzionamento non ne giustificano l’archiviazione. Richiedono semmai l’urgente riforma. E soprattutto la volontà di immaginare e percorrere strade nuove. Un sogno ingenuo? Non più di quello di credere che l’attuale smania bellicista possa sciogliere gli intricati nodi del presente. Più che alla determinazione a trovare soluzioni, l’ansia della trincea sembra la reazione alla paura di fronte alla complessità di questo cambiamento d’epoca. Il terrore di una politica ostaggio dell’affanno delle risposte immediate, a portata di “like”. La diplomazia richiede spazio, tempo e coraggio. Il coraggio di accordi imperfetti. L’alternativa è la guerra. E dall’Ucraina a Gaza, passando per altri 182 Paesi lacerati, di conflitti ne abbiamo fin troppi.


(Avvenire, 18 febbraio 2024)

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