17 Aprile 2024
la Repubblica

Azar Nafisi: “Il regime non fa più paura, la nostra guerra è per la libertà”

di Francesca Caferri


Se il governo a Teheran pensa che basti spaventare la gente per fermare le proteste, che basti dire “siamo in tempo di guerra”, si sbaglia. Azar Nafisi segue le ultime convulsioni della crisi in Medio Oriente dagli Stati Uniti, dove vive da più di vent’anni. Per modo di dire. Perché la scrittrice diventata famosa con Leggere Lolita a Teheran, considerata una delle voci più importanti dell’Iran in esilio in realtà vive legata a filo doppio – via telefono o via internet – con Teheran e con i familiari e gli amici che ha ancora lì.

Signora Nafisi, ha sentito i suoi contatti? Qual è stata la reazione dopo l’attacco di sabato?

«Davvero lo vuole sapere? Allora le devo raccontare che abbiamo scherzato molto su questo grande attacco… che non ha fatto nessun danno. Ora, a parte le battute, le reazioni che ho raccolto sono di scetticismo: i miei amici, i miei parenti, tutti dicono che la guerra vera per gli iraniani non è quella contro Israele ma quella contro il regime islamico che li opprime. E che ora usa questa crisi come diversione dai problemi domestici che non vuole affrontare. Come credo stia facendo anche Netanyahu».

Però la Storia insegna che un Paese in guerra o sotto attacco si unisce dietro al governo: anche a un governo impopolare…

«Certo, ma non è questo il caso. Se il governo a Teheran pensa che basti spaventare la gente per fermare le proteste, che basti dire “siamo in tempo di guerra”, si sbaglia: in Iran la paura non funziona più. Sono tante le persone che non hanno più paura: quelle che scendono in piazza nonostante gli sparino addosso, le donne si tolgono il velo e finiscono in carcere, i giovani che ballano e come risposta trovano i proiettili. Tutto questo è accaduto per mesi: eppure, nessuno si è fermato, la protesta è andata avanti. Per gli iraniani il concetto di vita ormai coincide con quello di libertà. Non c’è vita se non c’è libertà: per questo la gente è pronta a morire. E per questo il regime non può più spaventare tutti quelli che vogliono la libertà».

Quindi questo può essere un momento di cambiamento anche interno?

«Il cambiamento interno è già in atto. Si chiama Donna Vita Libertà. Questo movimento ha cambiato l’Iran: ci vorrà tempo, ma non si torna indietro. La gente ha trovato il suo potere, lo hanno trovato le donne, che usano il loro corpo, i loro abiti, i loro movimenti, il trucco per dire se stanno o no col regime. E che sono pronte a pagare il prezzo del loro “no”».

Sui social network che fanno riferimento all’Iran, da dentro il Paese e da fuori, si legge sostegno a Israele: come dobbiamo interpretare questo segnale?

«Alla gente piace tutto quello che non piace al regime. Nel momento in cui Israele è indicato come il nemico, la reazione di chi si oppone al regime è “Be’, allora non deve essere così male”. Non lo leggerei come un segnale politico. Anche perché anche sulla questione palestinese le idee sono confuse: pochi capiscono veramente che c’è una differenza fra essere palestinese ed essere necessariamente di Hamas. Lo stesso vale per i libanesi e Hezbollah. Le informazioni che arrivano in Iran non sono affidabili: chi vuole capire davvero deve andare a cercare in rete. E non tutti lo fanno».

Ha una speranza per il futuro del suo Paese?

«Certo che ce l’ho. All’inizio del regime islamico, l’ayatollah Khomeini emise il decreto che rendeva obbligatorio il velo per le donne. Decine di migliaia di donne scesero nelle strade a protestare. Uno dei loro slogan principali era: “La libertà non è occidentale o orientale. La libertà è globale”. Queste parole oggi sono valide per l’Iran, la Palestina, Israele, l’Ucraina, l’Afghanistan e ogni nazione del mondo. Sono queste parole che rinnovano la mia speranza per il futuro del mio Paese».


(la Repubblica, 17 aprile 2024)

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